A colloquio con Fabio Guidi, autore de I miei anni con Gesù

Posted in Blog

A colloquio con Fabio Guidi, autore de I miei anni con Gesù

Abbiamo recentemente pubblicato uno dei nostri “best sellers”: I miei anni con Gesù; un vangelo psicosintetico, di Fabio Guidi. Ne abbiamo anche realizzato la versione digitale. Con l’occasione io e Fabio abbiamo fatto un’altra intervista/chiacchierata dopo quella realizzata diversi anni fa, nell’allora comunità Hodos (fondata dallo stesso Fabio), in occasione del nostro primo e “felicissimo” incontro.

Per fortuna di entrambi, parecchia acqua è passata sotto i rispettivi ponti.

Non mi resta altro che augurarvi buona lettura!

Manuel Olivares

 

Buongiorno Fabio, io direi di iniziare questa nostra chiacchierata con una tua breve autopresentazione.

Sono laureato in Filosofia e diplomato in Scienze Religiose. Potrei essere visto come un ricercatore spirituale, ma preferisco definirmi un analista esistenziale, nel senso di un’analisi a tutto tondo della realtà interiore dell’uomo all’interno del contesto socio-culturale nel quale vive. Ho scritto diversi libri che riguardano la psicosintesi e, in genere, lo sviluppo della consapevolezza: Iniziazione alla psicosintesi (Mediterranee), I miei anni con Gesù (VivereAltrimenti), Gurdjieff e la psicosintesi (GalassiaArte), Livelli di guarigione (Dissensi), L’eredità di Gurdjieff (Mediterranee). Ho ultimato recentemente un ultimo libro dedicato al Cristianesimo Esoterico, in senso gurdjieffiano, un excursus storico-spirituale da Zarathustra a Gurdjieff.

 

Tu sei un autore piuttosto prolifico. Con Viverealtrimenti hai pubblicato I miei anni con Gesù; un vangelo psicosintetico. Puoi spiegarci brevemente cosa intendi con vangelo psicosintetico?

Il ‘vangelo’ è un genere letterario piuttosto fortunato, vista la mole di vangeli che sono stati pubblicati. Nessuno di questi, compresi i vangeli canonici, può dirsi storicamente fondato. Tutti costituiscono una interpretazione della figura e del messaggio di quel personaggio straordinario che è Gesù il Nazareno, ognuno con un taglio diverso a partire dalle differenze fra i quattro vangeli della tradizione ufficiale. C’è  chi ha voluto dare un taglio sociale o politico, e c’è chi ha voluto sottolineare l’umanità di Gesù, dimenticando talvolta che si parla di un grande maestro spirituale. C’è da dire, inoltre, che l’interpretazione di questa vicenda storica, non può prescindere dal contesto originario e dai destinatari del messaggio evangelico. Rispondendo alla tua domanda, posso allora dirti che il termine ‘psicosintetico’, attribuito al mio vangelo, ha il significato di mettere in luce, in modo particolare, gli aspetti che maggiormente si prestano ad essere un insegnamento per la nostra crescita interiore, intesa come un’integrazione della nostra personalità in senso evolutivo, e non semplicemente un messaggio più o meno moraleggiante. Mi sembrava che un approccio di questo tipo mancasse nel panorama pur folto dei ‘vangeli’, almeno di quelli in lingua italiana.

 

Il libro in questione è un’inusuale agiografia in cui l’apostolo Tommaso, prossimo alla morte, racconta al suo discepolo indiano Deviprasad la storia degli anni che ha trascorso con Gesù. Dei dodici apostoli perché hai scelto proprio Tommaso?

Possiamo dire per due ragioni. La prima è che si narra che il discepolo Tommaso fosse particolarmente vicino a Gesù, come un fratello. Tommaso, infatti, non è un nome, ma un soprannome: tomà in lingua aramaica, tradotto in greco con didimo, significa ‘gemello’. E nell’apocrifo Atti di Tommaso, il discepolo viene detto “fratello gemello di Cristo”. La seconda ragione è la storia attribuita all’apostolo Tommaso, che pare abbia terminato la sua esistenza come missionario in India, dove sarebbe morto poco dopo il 70, nella regione del Kerala. E avevo bisogno, per lo svolgimento del mio racconto, che fosse ambientato in una cultura del tutto diversa dal mondo giudaico originale, perché così avevo la possibilità di spiegare, nella narrazione, aspetti culturali che non avrebbe avuto senso spiegare a un destinatario ebreo.

 

Ti chiederei alcune considerazioni sulla figura del Gesù storico, da molto tempo oggetto di un dibattito acceso e controverso. Quanto, a tuo parere, la figura del Gesù storico incide sulla contemporanea cristianità dove viene piuttosto, dai tempi del Concilio di Nicea, enfatizzata la sua dimensione divina?

Del Gesù storico si sa veramente poco, e forse è proprio questo l’aspetto più intrigante, perché questo grande innovatore religioso si presta a costituire un archetipo su cui proiettare le più diverse sensibilità ed esigenze spirituali. Riguardo alla sua natura divina, bisogna innanzitutto chiederci che cosa voglia dire l’espressione “figlio di Dio”. Prendere l’espressione in senso letterale mi sembra non solo un assurdo antropologico, ma anche un elemento di divisione all’interno di un proficuo dialogo interreligioso. Perché se il Nazareno è “figlio di Dio”, ne consegue che è ontologicamente superiore ad ogni altro rappresentante religioso di ogni altra epoca e di ogni altra cultura. Parlo delle religioni tuttora viventi. Ad esempio, il Buddha non è mai stato definito un dio, ma appunto, un ‘risvegliato’. In questo senso, Gesù andrebbe visto semplicemente come un ‘Unto’ (l’ebraico mashiah, ‘messia’, e il greco christòs, ‘cristo’, hanno il medesimo significato di ‘unto’), cioè un uomo consacrato a Dio per svolgere una particolare missione. Nella storia del popolo d’Israele venivano unti re, sacerdoti, profeti… ‘Figlio di Dio’ è dunque una metafora. Lo stesso popolo ebraico non avrebbe mai potuto accettare l’idea della divinizzazione di un uomo. Penso che la cristianità oggi debba rivedere la mitizzazione della figura di Gesù, in modo da farlo diventare quello che realmente ci serve: un grande maestro di spiritualità, capace di ispirare il nostro cammino interiore, e non semplicemente un dio che dall’alto dei Cieli viene a salvare le nostre anime perse. Perché questo è il rischio che noi, come cristiani, corriamo: quello di indulgere in ogni debolezza umana, tanto c’è quel povero Cristo che, sacrificandosi una volta per tutte in nostro favore, ci libera da ogni pena. Quello che dico è chiaramente una banalizzazione di tutta la teologia del passato, ma ritengo, comunque che il rischio c’è, e grosso. Basti vedere che tipo di civiltà abbia prodotto l’intero Occidente cristiano, una civiltà fondata sul denaro, sul materialismo e sull’uso della forza e della sopraffazione. Una civiltà che oggi, sempre più, mi sembra abbia perso la bussola.

 

Io nel mio testo Gesù in India? mi sono soffermato sulla dimensione trans-culturale di Gesù. In effetti, vivendo a lungo nel subcontinente, ho potuto constatare di persona quanto la figura di Gesù fosse molto popolare e profondamente riverita tanto nel mondo hindu quanto in quello buddhista e, infine, nel mondo musulmano. Questa è stata, per me, una sorta di rivoluzione cognitiva perché noi “cristiani più o meno anonimi” siamo abituati a dare per scontato che Gesù sia patrimonio quasi esclusivo della nostra cultura. Ho scoperto che non è affatto così! Tu cosa pensi al riguardo?

Sono d’accordo. Gesù è patrimonio dell’intera umanità, ma anche SiddharthaGautama lo è, come lo sono Lao Tzu, Muhammad e altri. Questo non vuol dire approdare all’indifferentismo o al sincretismo. Le vie sono molte, ed ogni via è completa in se stessa. Compito di ognuno di noi è scegliere una via, una tradizione spirituale, religiosa, e seguirla fino in fondo. Non ha senso, dal mio punto di vista, prendere un elemento di qua e un altro di là, per crearsi la propria religione, ad uso e consumo del proprio ego. Questo è ciò che fanno tanti ‘turisti spirituali’, incapaci di penetrare in profondità negli insegnamenti spirituali, e desiderosi quindi di stimoli sempre diversi che facciano da alibi alla loro inconcludenza. Acquisire un’appartenenza di facciata, si sa, è molto facile. Difficile è mettere sul serio in discussione il proprio ego, il proprio falso io, attraverso una pratica realmente spirituale.

 

Parliamo dunque di Gesù nell’Islam. Iniziamo con il dire che Gesù è presentato, nel mondo islamico, non solo come un grande Profeta ma anche come il Messia, colui che giungerà alla fine dei tempi per preparare l’umanità al giorno del Giudizio Universale. Una posizione di tutto rispetto che, da sola, dovrebbe creare molte perplessità a chi veda l’Islam ed il Cristianesimo come religioni concorrenti e addirittura nemiche. A tuo modo di vedere, nel momento in cui malatempora currunt, quanto la figura di Gesù può rappresentare una sorta di trait d’union tra queste due grandi tradizioni che, a partire dai loro vertici, stanno cercando ponti di dialogo e collaborazione (Basti pensare all’enciclica Fratelli tutti e alla visita di Papa Francesco alle massime autorità del mondo sunnita, nel febbraio 2019 e sciita, nel marzo 2021)? Secondo un autore musulmano contemporaneo, Mustafa Akyol — autore di The Islamic Jesus — Gesù dovrebbe addirittura divenire una fonte di ispirazione per i musulmani di oggi che si troverebbero in una situazione molto simile a quella degli ebrei agli albori dell’Era Cristiana. Segnaliamo qui un articolo di approfondimento per i lettori interessati: https://www.oasiscenter.eu/it/gesu-nel-corano-e-la-terza-via-tra-estremismo-e-laicismo che tu, naturalmente, rispondendo a questa non facile domanda, puoi citare e commentare.

Torno a dire che le fonti d’ispirazione possono essere molte. Il Nazareno senz’altro può essere fonte d’ispirazione per un musulmano – l’articolo che citi ne è un valido esempio – ma anche un cristiano può attingere alle perle preziose della tradizione sufi, ad esempio. Gurdjieff proveniva dalla tradizione cristiano ortodossa ed è stato sepolto secondo il rito della chiesa ortodossa. Eppure, nella sua Quarta Via ha inserito molti insegnamenti e metodi delle confraternite sufi da lui visitate nei suoi viaggi giovanili alla ricerca della verità. Il problema che è venuto a crearsi oggi, per ogni credente, è quello di rivitalizzare l’esperienza religiosa all’interno di un clima materialista, consumista e profondamento nichilistico. Il nichilismo, come già profetizzava Nietzsche, è l’esito inevitabile della nostra civiltà fondata su un atteggiamento banalmente ‘scientifico’ che ha prodotto la «morte di Dio». Dio è assente, ormai, dalla vita dell’uomo contemporaneo ‘emancipato’, non parla più, è impotente, non può più imporre la sua Legge. Se Dio è morto, tutto è lecito e l’uomo, nella società postmoderna, è immerso nel relativismo dei punti di vista, confuso, inquieto, timoroso, insicuro. Coloro che detengono il potere, quello vero, non i politici di turno, incoraggiano e sostengono questo disorientamento, questa perdita di identità forti, perché in questo modo riescono a imporre il loro sistema di valori, un nuovo pensiero unico, che soppianta i valori tradizionali, fondati sulla fede religiosa. Queste sono le sfide che deve affrontare la ricerca spirituale oggi, perché c’è il rischio che anche le religioni si facciano intrappolare all’interno di questa cultura nichilistica. Oggi non è facile riscoprire Gesù nei suoi insegnamenti più rivoluzionari che pure emergono all’interno dei vangeli, ma senz’altro il Nazareno potrebbe essere un grande trait d’union, come dici tu, tra un Cristianesimo e un Islam che si mostrino come un’alternativa critica al vuoto di valori che sta vivendo l’Occidente.

 

Infine, pensi che modi diversi di proporre e presentare la figura di Gesù, rispetto a quello ufficiale delle gerarchie cattoliche, possano essere, in qualche modo, di aiuto ad un mondo cristiano che sta indubbiamente attraversando momenti piuttosto critici, tanto da un punto di vista identitario quanto da un punto di vista culturale e spirituale laddove altre tradizioni stanno dando mostra, pur a fronte di molte criticità, di mantenere ancora una buona aderenza presso i loro membri?

Oggi la Chiesa non sembra rendersi conto del disagio di molti uomini e donne che vivono una sincera nostalgia del sacro nelle loro vite. Lo sbaglio più grosso della Chiesa è non essere abbastanza critica del pensiero unico che si sta imponendo nella nostra società occidentale. Dal momento che sempre più uomini e donne ne sono irretiti, le gerarchie cattoliche pensano di risolvere il problema assecondando, in qualche modo, questa deriva, per evitare di spopolare ancora di più le chiese e di inimicarsi il potere, due aspetti che non hanno certamente impensierito l’insegnamento del Nazareno. La condanna del pensiero dominante e i contrasti con il potere sono del tutto evidenti nella figura di Gesù, ma, purtroppo, non sono sempre stati al primo posto nel magistero ecclesiastico, anzi… Non sono ottimista. Penso che la radicalità del messaggio evangelico – come di qualsiasi altra religione – possa raggiungere solo un’esigua minoranza di individui sinceramente attratti dalla verità.