Storia del fenomeno comunitario: I diggers, tra diciassettesimo e ventesimo secolo
«You noble Diggers all, stand up now, stand up now,
You noble Diggers all, stand up now,
The wast land to maintain, seeing Cavaliers by name
Your digging does maintain, and persons all defame
Stand up now, stand up now.
Your houses they pull down, stand up now, stand up now,
Your houses they pull down, stand up now.
Your houses they pull down to fright your men in town
But the gentry must come down, and the poor shall wear the crown.
Stand up now, Diggers all.
[…]»
The Digger Song di Gerrard Winstanley .
Il termine diggers sta per “zappatori” e designa un movimento che si sviluppò, in Inghilterra, a cavallo della cosiddetta “rivoluzione inglese” (1642-1660). Questa ebbe come esito, dopo una breve stagione repubblicana, il ridimensionamento dei poteri della monarchia e l’uscita definitiva dalla monarchia assoluta.
I diggers vengono annoverati tra i più radicali esponenti del protestantesimo inglese, nonché, a parere di alcuni utopisti, gli antesignani, nella prassi, del comunismo anarchico teorizzato dal principe russo Pietro Kropotkin.
Il loro programma prevedeva, difatti, una riforma sociale di tipo comunistico ed un decentramento dello stato in tante piccole comunità agricole coordinate tra di loro.
La matrice religiosa, tuttavia, tendeva a surclassare quella politico-sociale.
La storia dei diggers ha difatti inizio, come si può leggere nel loro testo di riferimento The New Law of Righteousnes (La nuova legge di giustizia, del 1649) del loro fondatore, Gerrard Winstanley, con un’esperienza mistica nel corso della quale questi avrebbe sentito, direttamente dalle labbra di Dio, le seguenti parole: “lavorate insieme e mangiate il pane insieme”.
Di lì a poco, il primo aprile dello stesso anno, Winstanley ed un primo nucleo di seguaci iniziano a lavorare, in maniera comunitaria, alcune terre a Saint George’s Hill, nella contea del Surrey, nel sud-est del paese, poco distante da Londra.
In risposta alle prime, fisiologiche ostilità delle istituzioni pubblicano il loro “manifesto”: True Levellers Standard Advanced. È il venti aprile 1649.
Rivendicano il diritto di utilizzare la terra come “tesoro comune”, sostenendo sia il migliore viatico per liberare l’umanità dalla piaga della schiavitù, conseguenza diretta della proprietà privata.
Merita menzionare che anche presso i diggers, intenzionati a cambiare il mondo senza far ricorso ad alcun tipo di violenza ma solo attraverso il lavoro, viene valorizzato lo spirito comunistico dei primi cristiani, presentato negli Atti degli apostoli in passaggi come quello che segue:
«La moltitudine di coloro che eran venuti alla fede aveva un cuore solo e un’anima sola e nessuno diceva sua proprietà quello che gli apparteneva, ma ogni cosa era fra loro comune. Con grande forza gli apostoli rendevano testimonianza della risurrezione del Signore Gesù e tutti essi godevano di grande simpatia. Nessuno infatti tra loro era bisognoso, perché quanti possedevano campi o case li vendevano, portavano l’importo di ciò che era stato venduto e lo deponevano ai piedi degli apostoli; e poi veniva distribuito a ciascuno secondo il bisogno» (Atti, 4: 32-35).
La comunità del Surrey, quella maggiormente documentata, a seguito di ripetuti attacchi resiste appena un anno dal momento della sua fondazione.
Il modello dei diggers ha comunque modo di conoscere una breve fioritura, ispirando la creazione di altre comunità in diversi angoli del paese, di cui non sono pervenute molte notizie.
L’esperienza digger, pur nella sua “fugacità”, ha rappresentato una pagina importante nella storia del comunitarismo inglese; non manca chi sostiene che i diggers siano stati i precursori dei fermenti socialisti del diciannovesimo secolo, alcuni dei quali (ad esempio il filone del filantropo gallese Robert Owen, vissuto tra il 1771 ed il 1858) avrebbero avuto un interessante esito comunitario. «Tuttavia», scrivono sull’Encyclopedia of community, «il leader, Gerard Winstanley, sembra più essere a capo di un gruppo fondamentalista cristiano che il proto-socialista vagheggiato da alcuni storici marxisti» .
Non dissimile è il commento su di un versante anarchico (nel cui alveo alcuni sono stati tentati di inserire il movimento in analisi).
Filippo Pani e Salvo Vaccaro, ne Il pensiero anarchico, si premurano di sottolineare che, nella visione dei diggers, avevano un ruolo non secondario «la supremazia del pater familias, un’etica spartana del lavoro ed una rigida morale ascetica».
Il termine, tuttavia, ha avuto un discreto successo nel tempo, avendo modo di “fiorire” su terreni diversi.
Per fare un primo esempio, si qualificano come diggers i membri di «una piccola combriccola di utopisti dotati di molto senso pratico, ladri visionari autoproclamatisi difensori del Santo Crocicchio di San Francisco» .
Siamo nella seconda metà degli anni ’60 del Novecento; momento d’oro per visitare Haight Ashbury, lo storico quartiere della capitale californiana riprogrammato come «Nuova Gerusalemme terrena, fondata sull’amore e sulla chimica» .
Un Eldorado hippie dove è possibile trovare…
«una inesauribile vita culturale (spettacoli nei parchi, teatro da strada che invita alla partecipazione e all’azione gioiosa); una corporazione di mercanti (ben rappresentata dai fratelli Thelin, proprietari di un head shop, lo Psychedelic Shop); la sua stampa (l’Oracle e la Communication Company); le sue cerimonie (i be-in, i chalk-in , banana-in, ovvero amore, pittura, provocazioni per strada); un servizio sanitario (la Free Clinic, centri di assistenza per chi fa brutti viaggi); luoghi di culto (centri di meditazione e di studio); una stazione radio (KMPX-FM, la prima a mandare in onda intere facciate di LP e ad iniziare la programmazione leggendo i I-Ching); un comitato di ricevimento che cura i rapporti con i rappresentanti dell’America; un servizio di distribuzione alimentare e di assegnazione alloggi (per i ragazzi scappati di casa e per chi non ha posto per dormire); diverse sartorie; una rete di trasporti per cose e persone; un servizio di distribuzione di droghe a domicilio» (Matteo Guarnaccia, Hippies, Malatempora, Roma, 2002, p. 33).
In questo contesto — come dire: “vivace” ― i diggers californiani sono una sorta di «corpo di vigilantes psichedelici»:
«imitando spavaldamente Robin Hood, trasformano Haight Ashbury in una succursale della foresta di Nottingham, proclamando senza appello la fine del denaro e il diritto ad accedere ad una vita libera. Pionieri dello scambio cosmico, organizzano una serie infinita di servizi gratuiti (dal Free Store, dove chi entra può portare via ciò che gli serve senza pagare, alla zuppa distribuita quotidianamente nel parco a centinaia di persone). Iniziative di welfare alternativo sponsorizzate in maniera molto disinvolta da benestanti “accesi” dall’acido o da inconsapevoli commercianti presi di mira. I diggers utilizzano l’arma dell’happening provocatorio (come bruciare mazzette di dollari davanti alle banche); giocano a nascondino con la polizia e la criminalità organizzata della città, seguono il vecchio adagio che afferma che “per stare fuori dalla legge bisogna essere onesti”, rifiutano il culto della personalità e assumono un nome collettivo quando devono parlare alla stampa; per confondere le acque producono una letteratura delirante mutuata dai surrealisti, che firmano “cavallo del mirtillo fresco, bocca pelosa piena di torsoli mela”» (Ibidem).
Il termine diggers, dagli Stati Uniti, avrà anche modo di ritornare nella propria terra natale, nel Vecchio Continente. Diggers and Dreamers sarà difatti il nome di una guida biennale delle comunità intenzionali e degli ecovillaggi in Gran Bretagna. È un progetto attivo ancora oggi; l’ultima Guide to communal living data, infatti, 2008/2009. Il sito di Diggers and Dreamers, inoltre, rappresenta un importante spazio di networking del mondo comunitario anglosassone. È possibile trovarvi tante informazioni utili (ad esempio in merito a quali comunità abbiano bisogno di volontari o di nuovi membri, quali gruppi si stiano adoperando per avviare un progetto comunitario) o annunci per la ricerca di luoghi, con determinate caratteristiche, per ospitare nuove comunità o altro genere di annunci.
Infine, anche l’Italia ha avuto i suoi diggers: gli Zappatori senza padrone, una comunità di una quindicina di persone nella zona dell’ “Acqua Cheta” sull’Appennino tosco-emiliano, in provincia di Forlì.
Il breve brano che segue lo dobbiamo ad una simpatica cariatide comunitaria, Guerrino, uno dei fondatori della comune di Bagnaia, nella Montagnola senese.
È il racconto della sua visita, anni or sono, a questa radicale enclave di diggers nostrani.
Al tempo del racconto di Guerrino (sei anni fa), del nucleo originario era rimasta solo una famiglia ma la loro esperienza segna una pagina importante nella storia del comunitarismo italiano:
«Sull’Appennino, all’Acqua Cheta, non molto distante da Gran Burrone [il villaggio più antico del Popolo degli Elfi, un’importante esperienza comunitaria italiana che verrà debitamente presentata più avanti] era nata questa comunità. Ora c’è solo una famiglia. Era l’83 e avevano appena fatto una strada che loro avevano contestato moltissimo perché non volevano strade, volevano andare a piedi. Mi partii da Bagnaia, caricai una bella damigiana di vino e andai a trovarli. Prima di andare lì sono andato alla forestale, perché la strada era chiusa e loro mi hanno detto: visto che non l’hanno voluta, non gliela facciamo usare ed io ho detto: ed io che faccio, mi porto la damigiana in spalla? Allora mi diedero la chiave. Arrivammo all’Acqua Cheta e la strada arriva in un punto dove l’Acqua Cheta la vedi giù in basso. C’è questa cascata bellissima e la prima cosa che abbiamo notato è un orto favoloso, tenuto benissimo, perfetto, grandissimo, tutto zappato a mano e invece, quando abbiamo raggiunto la casa, era un casino. Loro abitavano in un’unica casa ma le case erano due, molto belle strutturalmente ma tenute malissimo. Loro erano una quindicina con i bambini e c’era una distesa di zappe appese e quando siamo arrivati in casa il cortile era tutto smosso dai maiali che non avevano il recinto ed erano sempre lì intorno. Erba dappertutto e questa gradinata che portava in cucina e questa cucina era una cosa…tutta nera, il lavandino era impresentabile e poi ho avuto occasione di parlare con qualcuno e c’hanno raccontato la loro storia, perché erano Zappatori senza padrone, perché non volevano usare trattori. Tutte le cose meccaniche non le volevano usare. Non volevano l’acqua, non volevano niente che non fosse naturale. Quindi in casa non doveva esserci acqua, né luci, né servizi, niente. Siamo arrivati a mezzogiorno e ci hanno dato questa minestra ed io non ho mangiato e ho bevuto una tazza di latte. [Loro] intanto fumavano sempre, non c’era un momento che non fumavano e poi vedevo che alla fine, quando la gente non voleva più la minestra, la ributtava nel pentolone ed io la sera ho ripreso il latte, perché tutte queste minestre…insomma tutta questa gente fuori…a me non andava. Poi siamo andati a letto, ti dico, questa camera era una cosa indecente, proprio da non voler dormire e poi la notte, per fare i bisogni, bisognava uscire, andare fuori…insomma una cosa…e so che la prima acqua che è stata portata in casa è stata portata per uno che era un po’ fuori di testa. Era, poverino, tutto senza denti. Lui portò con un tubo l’acqua in una stanzina dove poi si usava come doccia eccetera e non avevano stufe in casa, le camere non potevano essere riscaldate e loro utilizzavano solo la legna dei rami secchi. Non tagliavano il bosco, per principio e secondo me i loro principi erano sani perché sta bene che uno decida di non usare il trattore, la fresa per l’orto e ara con le mucche, con i cavalli, per me come principio era sanissimo ma non riuscivo ad accettare il loro modo di comportarsi, questo esser sempre sballati, questo disordine obbligatorio, come fosse una cosa onorevole e poi una cosa che loro hanno sbagliato, una contraddizione…perché l’ENEL gli aveva fatto la proposta di centraline a vento e gli avrebbe portato la corrente in casa e le centraline sarebbero state loro e avrebbero avuto anche questa occasione di utilizzare energia pulita e invece si sono rifiutati e penso che, in generale, la loro rigidità li abbia portati al fallimento, perché poi alla fine una vita così rigida, così dura e non regolata non c’è rimasto nessuno. Si sono poi disgregati. L’ultima volta che ci sono stato anche l’orto era trascurato, c’era solo un pezzettino» .
Per approfondire
Quindici anni di studi — in biblioteca e sul campo — sul vivere insieme.
Il quarto di una fortunata serie di testi sull’universo comunitario, ogni giorno più multiforme. Un excursus che, dalle prime comunità essene, giunge alle contemporanee esperienze di cohousing tentando di non trascurare nessuno: esponenti radicali della riforma protestante, socialisti utopisti, anarchici, hippies, kibbutzniks, ecologisti più o meno profondi, new-agers, cristiani eterodossi, musulmani pacifisti e altro ancora.
Una mappatura ragionata — su scala italiana, europea e mondiale — di gruppi di persone che abbiano deciso di condividere, in vario modo, princìpi, ambienti, beni di vario genere e denaro, di comunità sperimentali — spesso ecologiste — dove si sondino le suggestive sfide di uno spazio vitale comune.
Manuel Olivares, sociologo di formazione, vive e lavora tra Londra e l’Asia.
Esordisce nel mondo editoriale, nel 2002, con il saggio Vegetariani come, dove, perchè (Malatempora Ed). Negli anni successivi pubblicherà: Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia (2003) e Comuni, comunità, ecovillaggi in Italia, in Europa, nel mondo (2007).
Nel 2010 fonda l’editrice Viverealtrimenti, per esordire con Un giardino dell’Eden, il suo primo testo di fiction e Comuni, comunità, ecovillaggi.
Seguiranno altre pubblicazioni, in italiano e in inglese, l’ultima e di successo è: Gesù in India?, sui possibili anni indiani di Gesù.
Leggine l’introduzione
Prezzo di copertina: 16.5 euro
Disponibile anche in formato Kindle