Nel Corano la fondazione metafisica dell’etica ambientale. Intervista al Professor Ibrahim Ozdemir

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Ho avuto l’onore e il piacere di incontrare il Professor Ibrahim Özdemir a Bologna dove ha partecipato, tra il 12 ed il 15 ottobre, al G20 Interfaith Forum.
Abbiamo passato due belle serate insieme ed il 15 ottobre è ritornato a Istanbul.
Possiamo dire sia nata una bella amicizia e ora siamo più o meno regolarmente in contatto, in vista di future collaborazioni.
Il professor Özdemir è una persona molto informale ma è uno studioso di fama internazionale e, sicuramente, ha meritato un’intervista sul rapporto tra l’Islam ed il pensiero ecologico che è uno degli argomenti di suo maggior interesse.
Gli ho inviato le domande e lui, sorprendentemente, ha risposto in meno di un’ora.
Buona lettura!

Manuel Olivares

 

 

Caro professor Özdemir, lei è uno dei massimi esperti di ambientalismo islamico. Può cortesemente farsi conoscere meglio dai nostri lettori con una rapida auto-presentazione?

 

Sono un professore di filosofia all’Università di Uskudar, Istanbul-Turchia. Mi sono laureato all’Università di Ankara nel 1985 e nella stessa università, nel 1996, ho concluso il mio dottorato.
Sono nato in un villaggio, ultimo di 8 figli (6 maschi e due femmine), nel 1960. Mio padre, Mustafa, era un contadino analfabeta. Mia madre, Ayşe, era una donna curda forte e, a sua volta, analfabeta. Non c’erano né scuola né moschea nel nostro villaggio. Ogni giorno dovevo camminare per 2 miglia per raggiungere un villaggio vicino ed essere scolarizzato. Inoltre, nel nostro villaggio non c’era acqua potabile che dovevamo andare a prendere, quotidianamente, con gli asini.
Da figlio di un piccolo villaggio, il mondo naturale ha sempre attratto la mia curiosità, riempiendomi di stupore e di meraviglia. Da allora, sono stato un appassionato lettore del libro della natura, cercando di comprendere il rapporto che questa ha con l’uomo nella prospettiva di quella che l’ecofilosofo norvegese Arne Naess chiama “ecologia profonda”.

La mia tesi di dottorato, La dimensione etica dell’atteggiamento umano nei confronti della natura (Titolo originale:
The Ethical Dimension of Human Attitude Towards Nature, pubblicata da Insan Publications: Istanbul, 2a edizione, 2008) è stata considerata la prima realizzata da uno studioso musulmano sulla filosofia e l’etica ambientale.
L’obiettivo principale della mia tesi è stato quello di esplorare le “dimensioni filosofiche ed etiche dei problemi ambientali”.
Ho iniziato a insegnare, divulgare e condividere le mie scoperte con i miei colleghi, musulmani e non. Pertanto, ho lavorato a stretto contatto con gruppi ed eco-attivisti nel mondo musulmano, in Occidente come in Oriente. Ho tenuto conferenze in scuole estive, seminari e workshop in Indonesia, Malesia, Sud Africa, Germania, Stati Uniti, Brasile, Arabia Saudita, Grecia, Maldive e Turchia. Durante queste conferenze e panel, ho incontrato e parlato di persona con Nelson Mandela, il Dalai Lama, Mikhail Gorbachev e molte altre figure conosciute al grande pubblico internazionale.
Sono stato membro del gruppo che ha redatto la Dichiarazione islamica per il cambiamento climatico globale nell’agosto 2015. Per la mia dedizione alla consapevolezza ambientale e all’impegno attivo con Organizzazioni Non Governative e gruppi ambientali, sono stato nominato consulente dell’UNEP (Programma ambientale delle Nazioni Unite), 2015 -2016.
Nel marzo 2019 ho partecipato all’Assemblea ONU sull’ambiente a Nairobi . Durante l’Assemblea, l’ICESCO (l’Organizzazione islamica per l’educazione, la scienza e la cultura, che rappresenta 57 paesi musulmani) mi ha incaricato di preparare un documento strategico per la Conferenza islamica dei ministri dell’ambiente. Con il Dr.Fachruddin M. Mangunjaya dell’Universitas Nasional di Jakarta, Indonesia, abbiamo preparato il documento: Come attivare fattori culturali e religiosi per proteggere l’ambiente e raggiungere uno sviluppo sostenibile nel mondo islamico.
Il nostro documento strategico sarà utilizzato come modello per lo sviluppo sostenibile e il cambiamento climatico nei paesi musulmani in futuro.
In un libro pubblicato di recente: Contemporary Thought in the Muslim World: Trends, Themes, and Issues (Routledge Press, 2019), l’autrice – Carool Kersten – mi ha presentato come “il più importante ambientalista islamico in Turchia”.

Un altro progetto in cui sono coinvolto (sotto la supervisione e la guida dell’UNEP) è: Al-Mizan: un patto per la terra. AL-MIZAN, in arabo, sta per “equilibrio”. Il progetto si basa sulla Sura Ar-Rahman (Il Misericordioso) in cui Allah Onnipotente descrive la creazione nel suo perfetto equilibrio:

«In nome di Allah, il Compassionevole, il Misericordioso. Il Compassionevole, ha insegnato il Corano, ha creato l’uomo e gli ha insegnato ad esprimersi [Lett. «gli ha insegnato il “bayân”», cioè il discorso chiaro ed esauriente]. Il sole e la luna [si muovono] secondo calcolo [preciso]. E si prosternano le stelle e gli alberi. Ha elevato il cielo e ha eretto la bilancia, affinché non la frodiate: stabilite il peso con equità e non falsatela!». (Il Corano 55:1-9)

Al-Mizan presenta una visione islamica dell’ambiente nel tentativo di rafforzare le azioni locali, regionali e internazionali che si oppongano al cambiamento climatico e ad altre problematiche di natura ecologica. È uno sforzo globale per coinvolgere, in questa missione, studiosi ed istituzioni del mondo islamico.
Il progetto, inoltre, considera la dimensione etica che dovrebbe ispirare il modello sociale dell’esistenza umana.
Principi riconducibili allo stesso profeta Muhammad che aveva stabilito una serie di regole per uno stile di vita che fosse realmente olistico.
Questo si basava sul Corano e poteva essere sintetizzato in tre categorie: incoraggiare il bene pubblico, vietare l’azione sbagliata ed agire sempre con moderazione:

«Sorga tra voi una comunità che inviti al bene, raccomandi le buone consuetudini e proibisca ciò che è riprovevole». (Il Corano 3,104)

Ho partecipato a centinaia di incontri, programmi di formazione per insegnanti, ho ideato un programma su Religione e Ambiente per il Dipartimento di Teologia dell’Università di Ankara, utilizzato da quasi tutti i dipartimenti di teologia.
Scrivo regolarmente articoli sull’ambiente e sui cambiamenti climatici per i giornali turchi. Qualsiasi lettore interessato può consultare la mia pagina web per maggiori informazioni:

LinkedIn: https://www.linkedin.com/in/ib60dmr/
Accademia: https://abo.academia.edu/IbrahimOzdemir

 

 

Sappiamo che il pioniere dell’ambientalismo islamico è stato il professore iraniano Seyyed Hossein Nasr. Lei ha avuto modo di conoscerlo ed in che modo ne è stato ispirato?

 

Quando stavo lavorando alla mia tesi nei primi anni Novanta, il suo libro Man and Nature: The Spiritual Crisis in Modern Man è stato uno dei miei riferimenti chiave. L’ho incontrato per la prima volta durante una conferenza, a Konya, nell’aprile del 1997. Un anno dopo l’ho incontrato alla conferenza sull’Islam e l’ecologia ad Harvard nel maggio 1998. Ha ascoltato attentamente il mio intervento, ha fatto osservazioni molto importanti al riguardo e mi ha incoraggiato ad approfondire il rapporto tra Islam ed ecologia. Ho letto quasi tutti i suoi lavori sulla cosmologia islamica, il sufismo e il rapporto uomo-natura. Il professor Nasr ha riacceso l’interesse per la conoscenza sapienziale, inducendoci a riscoprire la ricca tradizione dell’Oriente e dell’Occidente. Ha indicato l’essenza della crisi ecologica mettendola in diretta relazione con la crisi di natura più prettamente spirituale che sta attraversando il mondo.
Nella sua prospettiva la crisi ambientale è frutto dell’erosione della saggezza spirituale ed esistenziale umana, che si traduce nell’oblio di Dio e, di conseguenza, nella noncuranza di fronte al miracolo della creazione e del creato. Ci ha inoltre presentato la ricchezza della tradizione islamica sufi per scoprire il significato più profondo della realtà e presentare nuove proposte per risolvere i nostri problemi.

 

 

In un articolo apparso su The New Arab (firmato da Austin Bodetti): lei viene presentato come uno studioso che crede che “il crescente numero di ambientalisti musulmani possa trovare ispirazione per la loro campagna contro il riscaldamento globale nell’ambito dello stesso Islam”. Potrebbe gentilmente commentare quest’affermazione?

 

Gli studiosi musulmani, di fronte a nuovi problemi e sfide, hanno guardato prima al Corano come parola e messaggio finale di Dio e poi alla Sunnah del Profeta, che è considerata una realizzazione pratica della Scrittura o per dirla in altri termini, passatemi l’espressione: il Corano vivente. Nel caso dell’ambiente o del mondo naturale, possiamo applicare lo stesso metodo e trovare qualche fondamento per la conservazione dell’ambiente o per aumentare la coscienza ambientale delle società musulmane avendo come primo riferimento l’enfasi che ripone il Corano sulla dimensione metafisica e sacra della natura.
Quando osserviamo i primi capitoli e i versetti del Corano, che furono rivelati nel periodo meccano, vediamo che il suo scopo principale era “risvegliare nell’uomo la coscienza superiore delle sue molteplici relazioni con Dio e l’universo”. Così, risvegliando nell’uomo una coscienza più alta e più profonda, prima cambia la sua visione complessiva del mondo, poi costruisce la sua immagine di se stesso. Di conseguenza, i suoi atteggiamenti, sentimenti ed il suo rapporto con la realtà iniziano a cambiare. Tutto ciò dovrebbe essere considerato come il risultato della Weltanschauung coranica.
Il Corano, quindi, con la sua enfasi sulla dimensione metafisica della natura, ha sostituito la concezione della natura degli arabi pagani con un concetto nuovo e vivido. Oggi, il Corano è ancora una volta pronto a sfidare la moderna concezione materialistica della natura, che è dominante anche nelle società musulmane e fornire un approccio più completo e olistico allo sviluppo di un teoria e di un’etica ambientali.
È mia ferma convinzione che, una volta scoperto il fondamento metafisico di un’etica ambientale all’interno del sistema di valori coranico, non sarà difficile implementarla nella dimensione sociale. Inoltre, comprendere la dimensione metafisica del messaggio coranico ci darà l’opportunità di comprendere e apprezzare lo sviluppo di idee e atteggiamenti sensibili riguardo all’ambiente nel corso della storia islamica, il primo esempio di ciò, credo, è il comportamento e l’atteggiamento del Profeta riguardo l’ambiente.
Il Profeta Muhammad (pbsl), per esempio, sia nelle sue pratiche che in molti dei suoi Hadith, attribuiva grande importanza al piantare alberi, proteggere quelli esistenti, piantare foreste e conservare quelle esistenti. A’isha, una delle sue mogli, disse: “Egli personificava il Corano”. Le sue pratiche e comportamenti relativi alla conservazione dell’ambiente dovrebbero quindi essere considerati dal punto di vista coranico. Per noi, le sue azioni sono una continua fonte di ispirazione cui siamo obbligati a guardare. Dunque possiamo dire che il modello esemplare di condotta islamica in merito all’ambiente ma anche a tutto il resto, sia quello del Messaggero di Dio.

 

 

Lei ha partecipato alla stesura della Dichiarazione islamica sui cambiamenti climatici globali nel 2015. Quali passi sono stati fatti da allora?

 

Le reazioni positive e la buona accoglienza della Dichiarazione, a livello internazionale, sono state sorprendenti e, direi, travolgenti. Giornali, riviste, social media e militanti ambientalisti hanno espresso il loro apprezzamento e pieno sostegno. Bill McKibben, uno dei principali eco-attivisti, sostiene che “sebbene questa dichiarazione, da sola, non porterà a molto poiché l’Islam, nel bene e nel male, manca di un organo di governo centrale – non ha un papa – essa rappresenta un cambiamento in corso nello spirito del tempo (zeit-geist), nel momento in cui esprime una generale presa di coscienza in merito all’inevitabilità di azioni cruciali, persino radicali, per fare fronte alla crisi emergente”.
Come ha osservato Syed Hossain Nasr, “il valore principale della dichiarazione sta nel ricordare ai musulmani che la natura non è solo una macchina; ha un significato spirituale”. I musulmani, quindi, hanno la responsabilità di sviluppare un’etica ambientale che li motivi e li guidi verso un atteggiamento più responsabile nei confronti del pianeta terra e dello sviluppo sostenibile.
In breve, la Dichiarazione islamica sui cambiamenti climatici globali del 2015 è stata un campanello d’allarme per i musulmani. Subito dopo la dichiarazione, abbiamo ricevuto inviti da diversi paesi per parlare della realizzazione e del contenuto della stessa. Ho tenuto discorsi in Turchia, Sud Africa, Malesia, Finlandia, Maldive, Hong Kong, Germania e Stati Uniti. Ho preparato alcuni documenti importanti come “Ambiente, religione e cultura nel contesto dell’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile” che ho poi fornito all’UNEP.
Qualche anno dopo, nel 2019, abbiamo preparato, per la Conferenza islamica dei ministri dell’ambiente, il documento, cui ho già accennato, intitolato: “Come attivare fattori culturali e religiosi per proteggere l’ambiente e raggiungere lo sviluppo sostenibile nel mondo islamico”.
Infine, sempre sulla scia dei lavori per la redazione della Dichiarazione islamica sui cambiamenti climatici è partito il progetto cui pure abbiamo già fatto cenno: al-Mizan: A Covenant for the Earth che è in fase di realizzazione e sarà presto finalizzato e presentato all’ONU.

 

 

Dall’articolo di Austin Bodetti, sappiamo anche che lei ha avuto scambi fruttuosi con personaggi del calibro di Mikhail Gorbachev, Nelson Mandela e il Quattordicesimo Dalai Lama. Cosa ha imparato da queste icone culturali?

 

Ne ho sicuramente ricevuto grandi insegnamenti. Mandela, ad esempio, ci ha detto di non perdere mai la speranza e, al contempo, di lottare sempre per il cambiamento. La speranza difatti, da sola, non basta. Devi lottare per la trasformazione con ogni mezzo necessario. Non dimentico mai il suo motto “la lotta è la mia vita”. Ho difatti comprato una t-shirt con impresso questo motto per mio figlio Abdullah. Il Sig. Gorbacev ci ha ricordato come abbiamo trascurato e quasi dimenticato il ruolo dell’etica per gli esseri umani e lo sviluppo. Ha sottolineato che abbiamo una responsabilità morale e spirituale nei confronti delle generazioni future e del resto della creazione. Il Dalai Lama ci insegna come essere umili e risolvere i nostri problemi in uno spirito di pace, compassione ed incrollabile tenacia.

 

 

Sta collaborando con altri accademici – musulmani e non – sui temi della crisi ambientale e del cambiamento climatico? Cosa pensa di un approccio interreligioso?

 

Certo! Non dimentichiamo che la conferenza sull’Islam e l’ecologia è stata organizzata nel 1998 come parte della serie di conferenze “Le religioni del mondo e l’ecologia” organizzata da Mary Evelyn Tucker e John Grim presso il Center for the Study of World Religions (CSWR) della Scuola di divinità di Harvard. Da allora, Mary e John sono stati miei colleghi e partecipiamo a molti incontri sull’ambiente con membri di altre religioni e fedi. Frequentiamo con Mary E.Tucker una scuola estiva organizzata dalla Gadjah Mada University, Jogyakarta, Indonesia, dal 9 al 16 agosto 2005.
I miei studi mi hanno convinto che le minacce ambientali, sociali ed economiche sono rivolte a tutti senza discriminazioni, siano essi cristiani, ebrei, musulmani e buddisti. Il problema è se i membri di diverse religioni, nel preservare le loro differenze, possono lavorare insieme per rispondere a queste sfide moderne per l’umanità o meno.
Abbiamo scoperto che abbiamo più cose in comune di quanto pensiamo. Come dice il Profeta: siamo sulla stessa barca, cioè il pianeta terra. Penso che sarebbe una buona idea ascoltare la metafora usata dal Profeta e ricordare le nostre responsabilità legate all’ambiente:

«Pensa alle persone sulla stessa barca, alcune sopra e altre sotto.
Quando quelli di sotto vogliono fare un buco nella nave per soddisfare i loro bisogni d’acqua, se quelli di sopra non lo impediscono, la nave finirà per affondare e tutti annegheranno; in caso contrario, tutti saranno salvati».

Noi, cioè tutta l’umanità, siamo sulla stessa barca di questo mondo. Il comportamento che farà affondare la nave non dovrebbe essere accolto con silenzio e indifferenza. Non solo, ma ci si dovrebbe aspettare da tutti un contributo positivo per rafforzare il tessuto sociale e migliorare l’ordine sociale e l’ambiente.
Nel mondo globale di oggi, dove i confini tra Oriente e Occidente, tra “noi” e “loro”, e tra ebrei, cristiani e musulmani non sono più chiaramente definiti grazie allo sviluppo delle comunicazioni di massa e della mobilità globale, la necessità di dialogare – con altre culture, con altre persone e con altre religioni – è ancor più urgente che in passato se si vuole che la convivenza pacifica e il dialogo prevalgano sul conflitto.
In altre parole, la capacità di adattarsi e far fronte alle manifestazioni del cambiamento climatico come siccità, inondazioni e disastri naturali dipende da fattori quali le risorse locali e nazionali, nonché le capacità individuali e comunitarie, tra cui governance, reddito, mezzi di sussistenza, capitale sociale e risorse individuali. Essendo un fenomeno globale, le minacce ambientali, sociali ed economiche sono rivolte a tutti senza discriminazioni, siano essi cristiani, ebrei, musulmani e buddisti. Pertanto, il cambiamento climatico ci costringe ad affrontare questioni fondamentali sulla giustizia sociale e sulla responsabilità nell’aiutare coloro che sono già colpiti e continueranno a esserlo per i prossimi decenni e forse anche secoli.

 

 

Come si collega, nel suo lavoro, la politica alla pratica?

 

Penso che un approccio islamico all’ambiente stia facendo espliciti progressi. I gravi problemi politici e sociali che affliggono le società musulmane fanno sì che venga data ancora la priorità ad altre questioni. D’altra parte, il potere e il controllo dello Stato permeano ancora tutto, non lasciando molto spazio alla società civile per contribuire alla soluzione dei problemi.
Tuttavia, registriamo sviluppi interessanti sia nel mondo accademico che nella società civile. Quando guardiamo alla letteratura sull’argomento possiamo vedere quanto si stia progressivamente arricchendo e quanto stia crescendo l’interesse per la protezione dell’ambiente. Tuttavia, non dobbiamo dimenticare che nelle società musulmane c’è ancora uno spazio molto limitato per coinvolgere la popolazione nella risoluzione di problematiche come quelle di natura ambientale, poiché tutto è sotto il controllo dello stato. Non sorprende vedere che anche alcune importanti organizzazioni ambientaliste sono create o finanziate dallo stato. Non è difficile immaginare come un’Organizzazione Non Governativa, nel momento in cui non è indipendente economicamente e finanziariamente, non possa prendere posizione contro politiche statali che rechino danno all’ambiente.
Credo, tuttavia, che a fronte di una maggiore apertura alla società civile, i musulmani potranno dare un maggiore contributo non solo alla soluzione di problemi legati all’ambiente ma anche ad altri problemi che affliggono l’umanità, dal razzismo alla violenza e povertà, dall’analfabetismo all’assistenza sanitaria. Va detto che i musulmani dovrebbero investire maggiormente sulla loro tradizione democratica e sul concetto di pluralismo. Questo, nuovamente, sulla base del concetto coranico di uomo e di consultazione, da un lato e reinterpretando in maniera critica la loro tradizione politica, dall’altro. Pertanto, credo che vi sia uno stretto legame tra la prospettiva ambientale e lo spirito democratico, ovvero la partecipazione del pubblico al processo decisionale.

 

 

Come stanno procedendo la Turchia e il Medio Oriente nell’affrontare la crisi ambientale e il cambiamento climatico?

 

Stiamo assistendo a un risveglio tra i giovani. Ogni anno abbiamo diversi tesi di laurea e Master sull’ambiente. Ho studenti laureati provenienti da diversi paesi che hanno lavorato sull’ambiente da prospettive filosofiche, teologiche antropologiche e psicologiche.
Recentemente, il pubblico ha iniziato a capire che i problemi ambientali sono le cause profonde della deforestazione, delle inondazioni, della siccità, della fame, del razzismo, delle migrazioni internazionali e del terrorismo, delle violazioni dei diritti umani, della tratta di esseri umani e persino del nichilismo.
D’altra parte, quando si cerca di capire gli attuali conflitti in Medio Oriente, dovremmo pensare anche agli effetti negativi e devastanti del riscaldamento globale sulla regione, da un lato e alla corsa degli stati potenti a controllare la regione per le enormi risorse di combustibili fossili. Fintanto che la nostra dipendenza da queste risorse continuerà, i conflitti nell’area non si arresteranno.
Ci sono, tuttavia, segnali che fanno ben sperare nella regione. La Turchia, ad esempio, era tra i sei paesi che, fino ad oggi, non hanno ratificato l’accordo di Parigi. Sembra che gli enormi incendi boschivi e le inondazioni a cui abbiamo assistito quest’estate in Turchia e nel mondo abbiano convinto il governo a firmare l’accordo. Il mese scorso il presidente Erdogan ha dichiarato al mondo, nel corso della 76a sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite a New York, che la Turchia sta pianificando di presentare il patto sul clima di Parigi al parlamento per l’approvazione. Questo dovrebbe accadere il mese prossimo, in linea con i suoi passi costruttivi ed una sua dichiarazione d’intenti.
Le osservazioni di Erdogan sono importanti per vedere che c’è un cambiamento nella mentalità e nella politica nei confronti dell’ambiente e dello sviluppo. Lui ha, difatti, dichiarato: “La Turchia non è indifferente a nessun problema o cosiddetta crisi globale, e farà anche la sua parte nella lotta al cambiamento climatico e a favore della protezione ambientale”. Inoltre, sottolinea, ci auguriamo tutti che “…questo processo porterà a cambiamenti radicali nelle nostre politiche di investimento, produzione e occupazione, come uno degli elementi principali della nostra visione 2053”.

 

 

Bene, la ringrazio molto per le risposte esaurienti che ha dato a tutte le domande. Ha qualche considerazione conclusiva?

 

Prima di tutto, consentimi di esprimere la mia sincera gratitudine per avermi dato questa opportunità di condividere le mie umili opinioni su una questione così importante. Siamo alle soglie di una nuova era di cambiamento. Assistendo a così tanti problemi in un momento di pandemia, abbiamo ripensato a noi stessi, alle nostre priorità, al nostro modello di sviluppo, ai nostri obblighi per le generazioni future e al resto del creato.
Oggi, gli studi scientifici ci mostrano che il nostro modello economico, i modelli di consumo e lo stile di vita sono incompatibili con la vita sulla Terra e nel mare. Non possiamo cambiare le leggi della natura, ma possiamo cambiare il nostro modello economico ed i nostri stili di vita insostenibili. Il cambiamento climatico, quindi, non è solo un disastro, ma anche un momento critico di passaggio e di trasformazione/evoluzione. Dunque rappresenta anche la nostra migliore occasione per chiedere e costruire un mondo migliore. Shakespeare una volta disse: “essere o non essere, questo è il problema”. Se vedesse questi nostri tempi difficili, potrebbe suggerirci “cambiare o non cambiare questo è il problema”.
Pertanto, i nostri leader, studiosi, scienziati e ONG hanno bisogno di un radicale piano d’azione per affrontare il degrado ambientale e le relative sfide dell’insostenibilità sociale ed economica. Pertanto, possiamo immaginare un mondo in cui i nostri figli e nipoti possano godere di una crescita economica sostenuta, inclusiva e sostenibile e dove ci sia un lavoro dignitoso per tutti.
Per fare questo abbiamo bisogno di un nuovo quadro di riferimento che ho cercato di prospettare come basato sul Corano e sulla vita esemplare del Profeta (PBUH) e agire di conseguenza.
In primo luogo, abbiamo bisogno di una strategia solida e globale per l’ambiente, il cambiamento climatico, lo sviluppo sostenibile, i movimenti di popolazione e persino il trasferimento di tecnologie. Per fare questo abbiamo bisogno di una trasformazione basata su:

-costruire conoscenza ecologica; educare tutti i cittadini allo spirito dell’apprendimento permanente sull’impatto degli esseri umani sugli ecosistemi a breve e lungo termine;
-iniziare con la formazione degli insegnanti sui cambiamenti climatici e sui problemi ambientali;
-sviluppare reti sociali; cooperare per proteggere l’ambiente, fornendo visione e obiettivi in ​​un quadro completo.

Non dovremmo mai dimenticare che l’istruzione è la chiave per il cambiamento; per raggiungere il quadro globale integrato di obiettivi di sviluppo sostenibile e per formare generazioni e cittadini rispettosi dell’ambiente. La formazione deve essere quindi al centro dei nostri sforzi, sia per adattarci al cambiamento che per trasformare il mondo in cui viviamo.
L’istruzione e la formazione devono riguardare l’imparare a vivere su un pianeta sotto pressione e a beneficiare delle risorse naturali in uno spirito di sostenibilità. Deve riguardare l’alfabetizzazione culturale, basata sul rispetto e sulla pari dignità, che aiuta a intrecciare le dimensioni sociale, economica e ambientale dello sviluppo sostenibile.
Pertanto, non c’è forza trasformativa più potente dell’istruzionee della formazione di qualità per promuovere i diritti umani e la dignità, per sradicare la povertà e approfondire la sostenibilità, per costruire un futuro migliore per tutti, fondato su pari diritti e giustizia sociale, rispetto per la diversità culturale e la solidarietà internazionale.
Se vogliamo che i nostri figli amino la natura, l’ecologia marina e le barriere coralline, dobbiamo educarli dalla scuola materna in modo che si sforzino per proteggere tutto ciò, in futuro.
I paesi scandinavi hanno riformato il loro sistema educativo classico e hanno sviluppato un sistema di istruzione più rispettoso della natura, che non è ideologico ma scientifico. Per fare ciò, i bambini devono avere il tempo di giocare all’aperto, comunicare con le piante e rapportarsi con l’eroica marcia delle formiche. Stare nella natura fa semplicemente bene a bambini e adulti. Quindi, abbiamo bisogno di programmi educativi che aiutino i nostri figli a capire come le loro scelte individuali influenzano la creazione di Dio.

Le attività con i bambini per muovere in questa direzione includono: fare escursioni, conoscere gli ambienti fluviali, i parchi nazionali, le barriere coralline, l’ecologia marina, rimuovere le specie invasive e creare opere d’arte che esplorino le diverse tradizioni e le diverse fedi, scoprire l’impatto e l’impronta della vita quotidiana sulla natura e sulle altre creature, scoprire i sistemi ecologici e i cicli della vita in natura. In una parola: imparare dal “Libro della Natura”.

Il Corano ci insegna a guardare la natura e vedere “Come è stata creata meravigliosamente da Dio!”.
Permettetemi solo di raccontarvi una storia del maestro sufi Bayazid al-Bistâmi (m.848).

Bayazid acquistò alcuni semi di cardamomo ad Hamadhan e prima di partire ne mise nella sua borsa una piccola quantità che era avanzata. Raggiunto Bistam e ricordando ciò che aveva fatto, tirò fuori il seme e scoprì che conteneva diverse formiche. Dicendo: “Ho portato via le povere creature dalla loro casa”, partì immediatamente e tornò ad Hamadhan, una distanza di diverse centinaia di miglia [738 km], per riportare le formiche nel luogo in cui presumibilmente si trovavano prima di finire nella sua borsa.

Non dovremmo mai dimenticare che “se allevi i bambini con l’amore per la natura, diventeranno in futuro buoni custodi dell’ambiente”, come spesso accade nei paesi scandinavi.
Bambini ben istruiti all’amore per la natura possono addirittura indurre al cambiamento le loro famiglie.
In breve, oggi è tempo per noi di cercare di capire i doni che la grazia di Allah ha riversato su di noi e vivere una vita eco-compatibile con il resto della creazione, senza mai dimenticare le nostre responsabilità morali nei confronti delle generazioni future.
Vorrei concludere il mio discorso con un versetto in cui il Profeta Shu’ayb dice: “Desidero solo (il tuo) miglioramento al meglio delle mie forze; e il mio successo (nel mio compito) può venire solo da Allah: in Lui confido e a Lui guardo”. (Hud, 11:88).