Fondazione Bhole Baba
Questa realtà comunitaria credo si presti ad essere definita un po’ anomala.
Il fatto di essere dimensioni “spurie” accomuna una buona parte delle esperienze italiane.
Del resto, le dinamiche che entrano in gioco quando si decide di vivere in una piccola società nella società — per usare un’espressione del poeta americano Gary Snider ― sono diverse e non di rado tra di esse non c’è la massima coerenza.
La Fondazione Bhole Baba non è un ecovillaggio ma da sempre è in rapporti relativamente stretti con la RIVE. Ha il suo baricentro negli insegnamenti di un maestro indiano, Baba-ji, la cui storia è alquanto curiosa.
Citando ancora una volta il sito del Centro Studi Nuove Religioni (www.cesnur.org ), diretto dal sociologo Massimo Introvigne:
«Leggende relative a Babaji, un avatar immortale nella tradizione shivaita e un maestro impareggiabile di kriya yoga, sono diffuse nel Nord dell’India da diversi secoli. Nel 1946 ne parla Paramahansa Yogananda (Mukunda Lal Gosh, 1893-1952), accreditando l’identificazione di Babaji con Hairakhan Baba, un personaggio misterioso che aveva insegnato in una foresta himalayana fra il 1890 e il 1922.
Nel giugno 1970 riappare a Hairakhan (una località il cui nome è traslitterato in Occidente anche come Herakhan e Haidakhan) un giovane che afferma di essere Babaji, e comincia a insegnare in una grotta ai piedi del Monte Kailash (nella regione himalayana del Kumaon). Questo personaggio depone le sue spoglie mortali nel 1984, ma naturalmente i discepoli — guidati da Sri Maha Muniraji, che fonda dopo la scomparsa del maestro l’Associazione Mondiale Haidakandhi Samaji ― ritengono che lo spirito di Babaji non sia morto e possa manifestarsi nuovamente in altre forme».
Ai piedi di Baba-ji ci sarebbero stati molti italiani ed italiane, tra cui Lisetta Carmi (conosciuta anche con il suo “nome spirituale”: Janki Nirani) e Gora Devi (laureata in filosofia con una tesi sulle comunità utopiche), attualmente le due figure più carismatiche.
Janki Nirani arriva in Puglia nel 1970, viene profondamente impressionata dalla magia e sacralità di quella terra e decide di comprare un trullo.
Nove anni più tardi, il maestro le chiede di fondarvi e gestire un ashram.
In principio, mi ha detto Janki, erano solo lei ed altre due donne e c’era una quantità impressionante di lavoro da fare.
Presto, tuttavia, aderiscono al progetto molte altre persone, venendo anche dall’estero.
La “famiglia” ha dunque modo di crescere (il posto diventa un ashram-comunità con 18-20 membri fissi).
Con i nuovi residenti sopraggiungono diversi problemi, legati soprattutto a trascorsi di tossicodipendenza ed emarginazione.
Janki tiene un comportamento molto severo — sequestra le droghe, anche quelle leggere, utilizzate dai devoti con una certa disinvoltura e le porta ai carabinieri ― e questo, ancora oggi (malgrado non sia più, dal 1997, alla guida dell’ashram), la fa evocare come una figura ad un tempo carismatica ed autoritaria.
L’ashram mantiene una struttura ampiamente comunitaria fino a buona parte degli anni ’90. Viene considerato da molti uno dei più importanti centri spirituali in Italia e, in misura minore, in Europa.
Viene visitato da persone di ogni parte del mondo, da gente di Auroville ed anche da Peter Caddy, uno dei fondatori di Findhorn Foundation.
Ottiene molte donazioni, anche particolarmente generose e vi si pratica un po’ di agricoltura biologica.
A quest’ultimo proposito può essere interessante segnalare che una decina di anni fa l’ashram è stato visitato dal giapponese Fukuoka e che, per un certo periodo, vi si sono sperimentate le sue tecniche.
Sul finire degli anni ’90 nasce formalmente la Fondazione Bhole Baba che ha, ancora oggi, la responsabilità dell’ashram.
Al momento vi vivono stabilmente tre persone, che ricevono una piccola maintenance e vitto e alloggio per svolgervi mansioni, generiche, di gestione.
La sadhana che ha dato Baba-ji e che, oggi come allora, viene seguita, è la ripetizione del mantra Om namah shivaya (io mi inchino a Shiva), il Karma-yoga, la meditazione e la vita di comunità.
«Quest’ultimo punto», mi dice Gora, «è quello su cui si dovrà lavorare di più».
Sin dai primi anni diversi devoti si sono trasferiti nella valle (la Valle d’Itria) e, nel tempo, si è creato un fenomeno curioso, una comunità sfilacciata, frammentata ma, di fatto, presente: la Bhole Baba City.
Oggi sono circa 70 le persone che vi vivono, avendo l’ashram come collante comune. «L’impulso comunitario», mi dice ancora Gora, «è naturalmente presente ma c’è una certa difficoltà a condividere aspetti del quotidiano che non siano immediatamente legati alla dimensione religiosa».
In passato si era ventilata l’ipotesi di una cooperativa agricola ma non ha avuto successo.
Una speranza, tuttavia, è rappresentata dai figli più grandi dei devoti, che iniziano ad avere 18-20 anni e stanno manifestando un certo interesse alla vita comunitaria, condiviso anche da alcuni “anziani”.
«L’idea della cooperativa», sostiene Gora, «è ancora nell’aria ed anche quella di riuscire a creare un ecovillaggio».
Il concetto stesso di comunità, tuttavia, può essere interpretato in molti modi diversi e dunque mi sbilancerei a dire che l’esperienza della Bhole Baba City possa essere già considerata un’espressione comunitaria.
I livelli di condivisione possono essere molti e possono anche avere un basso grado di coesione, l’importante, a mio parere, è riuscire comunque a creare un contesto dove vivere rapporti umani più autentici, condurre un’esistenza più limpida e sostenibile in una ritrovata realizzazione individuale.
«In uno dei suoi discorsi», conclude Gora, «Baba-ji diceva: non fate piccoli ashram personali, fate grandi comunità dove imparare a lavorare e vivere insieme. Queste comunità debbono essere come isole di luce nell’oceano del mondo materiale».
Stando alla mia esperienza (4-5 giorni di permanenza in tutto, nel 2005), la Fondazione Bhole Baba e la Bhole Baba City — pur con i loro limiti e la loro incompletezza — mi si sono rivelate come due piccole-grandi isole di luce.
Fondazione Bhole Baba
Casella Postale 138, 72014 Cisternino (BR)
Tel 080.4449880
Email info@bholebaba.org
Sito internet www.bholebaba.org
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Per approfondire il fenomeno comunitario
Quindici anni di studi — in biblioteca e sul campo — sul vivere insieme.
Il quarto di una fortunata serie di testi sull’universo comunitario, ogni giorno più multiforme. Un excursus che, dalle prime comunità essene, giunge alle contemporanee esperienze di cohousing tentando di non trascurare nessuno: esponenti radicali della riforma protestante, socialisti utopisti, anarchici, hippies, kibbutzniks, ecologisti più o meno profondi, new-agers, cristiani eterodossi, musulmani pacifisti e altro ancora.
Una mappatura ragionata — su scala italiana, europea e mondiale — di gruppi di persone che abbiano deciso di condividere, in vario modo, princìpi, ambienti, beni di vario genere e denaro, di comunità sperimentali — spesso ecologiste — dove si sondino le suggestive sfide di uno spazio vitale comune.
Manuel Olivares, sociologo di formazione, vive e lavora tra Londra e l’Asia.
Esordisce nel mondo editoriale, nel 2002, con il saggio Vegetariani come, dove, perchè (Malatempora Ed). Negli anni successivi pubblicherà: Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia (2003) e Comuni, comunità, ecovillaggi in Italia, in Europa, nel mondo (2007).
Nel 2010 fonda l’editrice Viverealtrimenti, per esordire con Un giardino dell’Eden, il suo primo testo di fiction e Comuni, comunità, ecovillaggi.
Seguiranno altre pubblicazioni, in italiano e in inglese, l’ultima e di successo è: Gesù in India?, sui possibili anni indiani di Gesù.
Leggine l’introduzione
Prezzo di copertina: 16.5 euro
Disponibile anche in formato Kindle