Volgersi verso il cuore: un testo e una pratica per studenti di Sufismo

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Volgersi verso il cuore: un testo e una pratica per studenti di Sufismo

Pubblicato dalla Mimesis Edizioni nel 2012 e curato dal Professor Demetrio Giordani, Volgersi verso il cuore; Risveglio alla via del Sufismo: quaranta domande e risposte con lo Shaykh al-Tariqa Hazrat Azad Rasul è la traduzione di Turning Toward the Heart: Awakening to the Sufi Way, pubblicato nel 2002 da un’editrice specializzata in testi sul Sufismo: Fons Vitae e lettura base per gli studenti della School of Sufi Teaching.

Questa nasce come diramazione internazionale dell’Institute of Search for Truth di Nuova Delhi, fondato nel 1975 da  Hazrat Azad Rasul con il permesso del suo Shaykh Maulvi Muhammad Sa’id Khan.

Oggi la School of Sufi Teching ha studenti e sedi in diverse parti del mondo, nei cinque continenti e sta muovendo alcuni passi significativi anche in Italia.

La School of Sufi Teaching propone insegnamenti dei cinque più importanti ordini sufi: Naqshbandi, Mujaddidi, Chishti, Qadiri e Shadhili, con una particolare attenzione per quelli dei Mujaddidi.

La scuola sta riscuotendo un buon successo in Occidente. A Londra è, da qualche anno, attiva una sua zawiya: centro sufi, sede di frequentati ritiri con l’attuale Shaykh: Hazrat Shaykh Hamid Hasan, figlio di Hazrat Azad Rasul, mancato il 7 novembre 2006.

Una delle possibili ragioni del buon successo della School of Sufi Teaching è la centralità, nell’ambito dei suoi insegnamenti, della pratica della Muraqabah: uno stile di meditazione peculiare del Sufismo.

L’irrequietezza della mente dell’occidentale medio spinge, difatti, sempre più persone alla ricerca di un’agognata pace interiore. Nulla di nuovo sotto il sole. Come vedremo tra breve, infatti, tutte le grandi tradizioni religiose hanno proposto tecniche per acquietare la mente e predisporla ad una connessione più profonda con l’assoluto.

 

 

L’universalità della meditazione

 

In Occidente e in Oriente la stessa parola — meditazione — ha un campo semantico diverso. In Occidente si avvicina maggiormente al significato di riflessione. In Oriente a quello, per rimanere in un ambito molto generale, d’introspezione. Eppure esiste un filo rosso che unisce le diverse pratiche volte all’estraniarsi, momentaneamente, dal mondo — e da tutto quanto di più o meno effimero costella il contingente — per “andare dentro” e osservare o ricercare connessioni profonde con quanto trascende la dimensione materiale.

Probabilmente le prime espressioni della meditazione ad essere documentate le ritroviamo, in India, nell’ambito dello yoga: una delle tradizionali “vie di crescita integrale” (credo, in buona parte, “corrotta” dalla modernità). Il termine yuj — scriveva Mircea Eliade nel suo splendido Lo yoga, immortalità e libertà — “qualifica ogni tecnica ascetica ed ogni metodo di meditazione”, considerati in maniera diversa dalle molteplici correnti filosofiche e vie mistiche indiane.

Credo giovi citare, senza indugiarvi troppo, l’incipit del celebre Yoga Sutra di Patanjali: Yoga Chitti Vritti Nirodha che può essere tradotto liberamente con: “il fine dello yoga è l’arresto delle fluttuazioni (o vortici) della sostanza mentale” e dunque ottenere un’unità coscienziale oltre i limiti del pensiero.

Sappiamo bene che, rimanendo in India, il conseguimento dell’arresto delle fluttuazioni o vortici della sostanza mentale è stata la ragione che ha spinto — dopo anni, per dirla ancora con Eliade, di “ascesi violenta e disumana” — il principe Gautama Siddharta — conosciuto anche come “l’eremita silenzioso del clan degli Shakya” (Shakyamuni) — sotto l’albero della Bodhi (in sanscrito: “comprensione”), in una località che avrebbe successivamente preso il nome di Bodhgaya, nell’attuale stato indiano del Bihar.

Arrestate definitivamente le fluttuazioni della sostanza mentale, Buddha (“Colui che aveva compreso”) realizzò quanto venne poi reso con il termine — forse un po’ fuorviante — di “illuminazione”.

Ancora oggi la pratica della meditazione, in tante diverse forme, è alla base delle più importanti scuole buddhiste, da quelle più antiche, di tradizione Theravada, a quelle di tradizione Mahayana (ad esempio le diverse espressioni della via dello Zen) e Vajrayana (di tradizione tibetana).

La meditazione, tuttavia, non è rimasta sola prerogativa dell’Oriente. Ritroviamo, ad esempio, diverse pratiche meditative nell’ambito del misticismo ebraico e sta conoscendo una certa fortuna in ambito cristiano dove — per secoli — è stata seguita e viene seguita ancora oggi la via dell’Esicasmo, ovvero della “ricerca di uno stato di quiete (hesychia)”.

Le origini della tradizione esicasta affondano nell’esperienza dei padri del deserto. Viene divulgata, nel quarto secolo, da Evagrio Pontico (discepolo di Macario il Grande) che raccolse attorno a sé un numero considerevole di  “figli spirituali”, inaugurando una colonia monastica nella depressione desertica di Scete, a circa novanta chilometri da Il Cairo. La tradizione esicasta si è poi consolidata, soprattutto, nel mondo cristiano ortodosso, trovando la sua dimora ideale sul Monte Athos: un territorio autonomo della Repubblica Ellenica, al confine con la Macedonia Centrale.

Tuttavia anche in Italia vengono praticate, in ambito cattolico, forme di meditazione e preghiera della tradizione esicasta, in particolare dall’Ordine dei Ricostruttori nella Preghiera, un rappresentante dei quali, Padre Guidalberto Bormolini, ha recentemente pubblicato un testo di cui consiglio senz’altro la lettura L’arte della meditazione.

 

 

La Muraqabah

 

«La mistica è una manifestazione dell’essenza basilare di tutte le religioni. Ogni fede ha la sua dimensione interiore, spirituale. Nell’Islam, questa dimensione è conosciuta come Sufismo o Tasawwuf.

Il mistico è gratificato da un’estensione di consapevolezza, che porta alla liberazione di facoltà latenti e a una visione dilatata che abbraccia aspetti della verità fuori dalla portata dell’intelletto. Egli ha un’esperienza diretta della presenza di Dio – un’esperienza spesso inesprimibile a parole»[1].

 

L’universalità della meditazione (che, tuttavia, non deve indurre nell’equivoco di accomunare eccessivamente le diverse scuole in cui si pratica, nel momento in cui ciascuna di esse poggia su presupposti religiosi, finanche teologici di volta in volta diversi) non poteva non coinvolgere il Sufismo che Hazrat Azad Rasul definisce, in un passaggio del testo appena citato: una “scienza di risveglio spirituale”.

La scienza del Sufismo, similmente, in certa misura, a quella dello yoga, prevede — accanto all’anatomia fisica — un’“anatomia sottile”.

La dottrina dei lata’if (centri di consapevolezza) è piuttosto complessa e presenta alcune differenze nell’ambito dei diversi ordini sufi. In generale riconosce la presenza, nel corpo umano, di sei “centri sottili”: nafs (il sé o ego), qalb (cuore), ruh (spirito), sirr (segreto), khafi (nascosto), akhfa (il più nascosto).

 

«Gli shuyukh [plurale di Shaykh, ovvero i maestri di un ordine sufi] dell’ordine naqshbandi-mujaddidi [quello cui maggiormente si ispira la School of Sufi Teaching] guidano il salik (viaggiatore spirituale) nell’illuminazione delle lata’if una per una. Ciò viene compiuto anzitutto mediante la muraqaba (meditazione). Mentre sta seduto, l’allievo mette l’intenzione (niyya) di prestare attenzione a un particolare centro»[2].

 

Il primo centro coinvolto, come si può desumere dal titolo del libro che stiamo qui introducendo, è il cuore (qalb). Iniziare un percorso nella School of Sufi Teaching si traduce dunque nel “volgersi verso il cuore”, esprimendo l’intenzione di focalizzare la propria attenzione su di esso lasciando che, a sua volta, il centro sottile la rivolga alla “Santa Essenza (la Fonte di ogni benedizione e benevolenza)[3].

Successivamente, istruito dallo Shaykh, lo studente della School of Sufi Teaching volgerà la propria attenzione agli altri lata’if; in ordine: ruh, sirr, khafi e akhfa, sottoponendoli, ancora attraverso la Muraqabah, ad un processo di Tazkiya: purificazione.

È naturale, a questo punto, chiosare che per capire bene ciò di cui stiamo parlando se ne dovrebbe fare un’esperienza diretta, a fronte di un’evidente inadeguatezza delle parole.

L’ultimo lata’if ad essere purificato (prima dei quattro elementi di cui è costituito il corpo, considerati a loro volta dei lata’if nell’ambito della scuola sufi in questione: bad -aria-, nar -fuoco-, ma’-acqua- e khak -terra-) è il nafs: l’ego che, come molti sapranno, è “la cittadella da espugnare” in tutte le autentiche vie spirituali.

In molte scuole sufi precedenti gli insegnamenti dello Shaykh Baha’uddin Naqshband (morto nel 1389) — da cui prende il nome l’ordine Naqshbandi — il lavoro di purificazione iniziava proprio dal nafs.

Rispondendo alla domanda di un allievo, Hazrat Azad Rasul spiega bene il passaggio dall’uno all’altro metodo, come riportato in Volgersi verso il cuore:

 

«I primi shuyukh spesso dirigevano gli stadi iniziali della formazione spirituale verso il superamento delle distrazioni del mondo esteriore e della nafs.

[…]

Assoggettare il sé era un’impresa difficile, e spesso gli allievi commettevano molti errori in tale tentativo. Coloro che cominciavano con questo passo impiegavano spesso degli anni a perfezionarsi mediante pratiche ascetiche. L’approccio si dimostrava così dispendioso di tempo che i viaggiatori spirituali frequentemente morivano prima di raggiungere la destinazione.

Notando i patimenti che questo approccio poteva comportare, Baha’uddin Naqshband (m. 1389) modificò le pratiche insegnate dai suoi predecessori. Egli guidò i suoi allievi a cominciare il processo di trasformazione col cuore piuttosto che col sé. Questo mezzo tecnico venne conosciuto all’interno dell’ordine naqshbandi-mujaddidi come indiraj an-nihaya fi’l-bidaya: “dove altri finiscono, là segna il nostro inizio”».[4]

 

La Muraqabah ha dunque un’importanza cardinale nella School of Sufi Teaching dove, tuttavia, non si trascurano altre pratiche come quella del Dhikr-i khafi: “la menzione del nome di Dio eseguita interiormente” (diversamente da molti altri ordini sufi dove viene effettuata ad alta voce) e dove, più in generale, vengono esortati gli allievi a seguire i precetti dell’Islam.

Questo non significa che alla scuola si possano avvicinare solo musulmani. Hazrat Azad Rasul spiega chiaramente, in Volgersi verso il cuore, che la stessa prevede tre livelli di approfondimento, i primi due dei quali sono accessibili a persone di diverso credo religioso o di nessun credo.

Capita difatti si avvicinino alla School of Sufi Teaching persone provenienti dal mondo della Mindfulness o del Vipassana.

In conclusione non mi resta che invitare chiunque voglia avere maggiori informazioni sul “risveglio alla via del Sufismo”, proposto dalla School of Sufi Teaching, a leggere il testo Volgersi verso il cuore e a visitare il sito della scuola e la rispettiva pagina dei contatti delle diverse sedi a livello internazionale.

 

Manuel Olivares

 

[1] Volgersi verso il cuore, Mimesis, Milano-Udine, 2012, p. 31.

[2] Ivi, p. 99.

[3] Ivi, p. 108.

[4] Ivi, p. 103.