Tuscia mistica, parte sesta

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Tuscia mistica, parte sesta

Nel post precedente abbiamo presentato, in maniera, spero, ragionevolmente approfondita, il Monastero di San Silvestro sul Monte Soratte.

Il monastero, come abbiamo argomentato, si lega ad una figura cruciale della storia della cristianità: Papa Silvestro  I (III secolo – Roma, 31 dicembre 335). Nel corso del suo pontificato si assiste, infatti, al passaggio epocale dalla Roma pagana — profondamente intollerante nei confronti dei cristiani che venivano ferocemente perseguitati — alla Roma cristiana. Stando a quanto si legge sul Liber Pontificalis, durante le persecuzioni di Costantino San Silvestro si ritirò sul “Monte Syraptin” per poi ritornare, qualche anno dopo, “vincitore”, avendo guarito il suo persecutore dalla lebbra ed avendogli eventualmente somministrato, in un secondo momento, il battesimo.

Abbiamo argomentato, nel post precedente, quanto la somministrazione del battesimo — da parte di Papa Silvestro, a Costantino — sia un fatto storicamente dibattuto, in quanto smentito da due “storici ufficiali” della Chiesa: San Girolamo ed Eusebio di Cesarea.

È invece indiscutibile che, a seguito dell’esperienza eremitica di San Silvestro sul Monte Soratte, videro la luce, sullo stesso monte, altri eremi che tenteremo di presentare in questo post.

Per leggere i contributi precedenti di questa seria (Tuscia mistica), cliccate qui, verrete rimandati a Tuscia mistica, parte quinta dove troverete tutti gli altri link.

 

Manuel Olivares

 

L’Eremo di Santa Romana

L’Eremo di Santa Romana — ubicato nei boschi che rivestono le pendici terminali del Monte Soratte, prima che questo sfumi nella Valle del Tevere — ci riporta alla genesi del fenomeno eremitico nella Tuscia.

Lo stesso fenomeno — come spiega bene la storica dell’arte Joselina Raspi Serra che molto tempo e passione ha dedicato alla Tuscia — ha mosso i suoi primi passi a partire, da una parte, dal “riutilizzo di antri, con probabilità, preistorici a carattere cultuale” ed è questo il caso di Santa Romana e, possibilmente, di altre realtà che considereremo in seguito. In secondo luogo, il fenomeno eremitico nella Tuscia si è sviluppato, nei suoi aspetti logistici o, se preferite, “residenziali”, a partire “dalla continuità tipologica con abitazioni trogloditiche, quali erano diffuse nella zona da Sutri a Corchiano a Civita Castellana” ed, infine — ci spiega sempre la Raspi Serra — dallo “sfruttamento di nuclei già resi sacri dalla funzione cimiteriale”. Difatti, “tombe a camera, arcosoli e colombari si trovano con frequenza nei successivi inserimenti a carattere religioso — tra gli altri: Castel S. Elia, Tuscania, Norchia, S. Eutizio, Poggio S. Lorenzo e Casale Ferri; nuclei gravitanti su Civita Castellana, Sutri, Ischia di Castro; insediamenti intorno a Vallerano”. Risulta, del resto, “frequente in tempo cristiano la trasformazione della grotta-casa in cimitero. Possibile, anche, la presenza nel luogo dell’insediamento di sepolture — Vallerano, S. Lorenzo [nelle campagne di Vignanello] — che inducono ad ipotizzare un’assoluta autonomia del nucleo, spesso sede di un ampio tessuto evolutivo — e Montecasoli”.

Fatta questa panoramica generale, focalizziamo la nostra attenzione sull’Eremo di Santa Romana che, giova ripeterlo, nasce a partire dal riutilizzo di un antro, probabilmente preistorico, avente in precedenza un carattere cultuale e che potrebbe facilmente rappresentare — come riportato nel post precedente — “la più antica manifestazione della civiltà nel territorio falisco”.

Joselina Raspi Serra lo presenta in dettaglio nel suo contributo Insediamenti rupestri religiosi nella Tuscia (da cui abbiamo riportato anche le precedenti citazioni) per il giornale Mélanges de l’Ecole française de Rome. Moyen-Age, Temps modernes. Il contributo è disponibile on line (scarica il pdf da qui: Raspi Serra):

 

«Nelle vicinanze di una chiesa, oggi diroccata, si apre un antro naturale con la volta calcarea a conformazione di stalagmiti, modificato, all’interno, da una copertura a botte che corrisponde alla zona sacra evidenziata, all’esterno, da un’apertura affiancata ad una finestra, oggi in parte rifatta.

La piattaforma corrispondente alla cappella si denuncia nello stato attuale di epoca recente; nell’area sacra si dispongono un altare (XVII sec.) completato in alto da un’iscrizione a lettere dipinte e un’acquasantiera. Cinque gradini conducono ad un piano sottostante ove a sinistra è un ciborio voltato a botte, rozzamente dipinto, su colonne monolitiche completate da capitelli a stampella assai consunti (parallelepipedi rettangolari modanati, sorretti da elementi fogliati e decorati a smerlo sul lato breve) riportabili al XII secolo.

A livello inferiore si apre uno stretto cunicolo: l’apertura è chiusa, in parte, da una sottile parete, parzialmente franata, che presenta sulla fronte verso l’entrata un Crocifisso affrescato, oggi appena leggibile […]».

 

L’Eremo di Santa Romana esprime dunque un’affascinante sovrapposizione di epoche e di credenze.

In principio la grotta che si trova nella sua parte più interna potrebbe avere avuto una funzione nell’ambito dei culti tributati, dagli enigmatici Hirpi Sorani, ad Apollo Soranus, venerato sul Monte Soratte. A questo riguardo viene segnalata — nel testo che abbiamo abbondantemente citato nel post precedente: Insediamenti monastici sul Monte Soratte, di Clorinda Salini — la vicinanza della stessa grotta a “sorgenti sulfuree, ricordate dalla letteratura latina e ritenute sacre alle divinità del luogo”, ovvero associate alla possibile presenza di un nume infero (probabilmente lo stesso Apollo Soranus) a presidio del luogo. A chi volesse avere maggiori informazioni riguardo la sacralità del Monte Soratte in epoca pre-cristiana segnalo i seguenti documenti: (scarica il primo pdf da qui: Gli_Hirpi_del_Soratte, il secondo da qui: Il culto del fuoco sul Soratte).

Agli albori dell’epoca cristiana, la grotta che avrebbe poi preso il nome di Eremo di Santa Romana si lega direttamente alla presenza, sul Monte Soratte, di San Silvestro.

Ci offre qualche dettaglio al riguardo Antonio Degli Effetti nel suo testo — che ha viaggiato sino a noi per circa tre secoli e mezzo — Memorie di s. Nonnoso abbate del Soratte e de luoghi convicini, e loro pertinenze, e Libro primo de Borghi di Roma (Roma, per Nicolò Angelo Tinassi, 1675).

Antonio Degli Effetti apparteneva ad una famiglia nobile, di origine sabina, un ramo della quale si stabilì, nel quindicesimo secolo, a Castelnuovo di Porto, nella Valle del Tevere, non molto lontano dal Monte Soratte. Antonio Degli Effetti si laureò in filosofia al Collegio Romano nel 1637, legandosi al Cardinale Francesco Barberini cui dedicò la propria tesi di laurea. Grande amante dell’arte (era degna di nota la sua collezione, in particolare di quadri di piccole dimensioni), si dedicò a diverse ricerche antiquarie che gli ispirarono il testo sopra citato di cui sono riuscito a trovare una copia in formato digitale (Scarica il pdf da qui: Degli Effetti).

“Doppo la Tebaide, e San Paolo Primo Eremita”, scrive Antonio Degli Effetti nelle prime pagine del suo testo, “tra i primi monti aspri, e solitari, ch’albergassero Anacoreti in Italia, deve riputarsi il Soratte, ove San Silvestro Pontefice si ritirò, fuggendo la persecuzione degl’Aruspici in tempo di Constantino”.

Inoltrandoci in questo affascinante lavoro troviamo una presentazione abbastanza circostanziata dell’Eremo di Santa Romana che merita, sicuramente, di essere citata (la riporto fedelmente per quanto il linguaggio utilizzato non possa non risultare piuttosto antiquato):

 

«Acquistò questo di Santa Romana il nome da quella, che figliola di Calfurnio Prefetto di Roma, infervorata dalla fede cristiana, e di servir’à Dio, fuggita da Roma, e dal Padre d’anni dieci, se ne passò a Todi invitata dalla voce di una colomba, ch’apparsali in visione, gli disse: melior est vita Iustorum, quam Principum [La vita dei giusti è migliore di quella del principe]. Ma udita la fama di San Silvestro, ch’ascosto nel Monte Soratte dimorava, si portò quivi in una spelonca, dove albergò per qualche tempo, e ricevuto il Battesimo, e istrutta e confermata nella legge Evangelica da quel Santo Pontefice, benché doppo se ne tornasse a Todi, ove passati sei mesi con asprissima penitenza se ne volò al cielo, in suo honore, e memoria in quella spelonca del Soratte fu fabbricata una Chiesa, e Eremitorio, dove anco al presente si ritrova, che poi fu consacrata l’anno 1218, nella Domenica Terza di Quaresima, con solenne rito da tre vescovi, come mostra una lapide posta sopra la sua Porta» (p. 90)

 

Naturalmente è impossibile stabilire quanto vi sia di storico e quanto di leggendario nel brano che abbiamo appena letto. Una leggenda che merita riferire, riguardo Santa Romana, proposta da alcuni abitanti di Sant’Oreste nonché da cultori di storia della Tuscia (riportata da Don Mariano De Carolis nel suo testo, oggi quasi introvabile Il Monte Soratte e i suoi santuari e su questo blog, da cui ho ripreso la foto rispettiva) è la seguente: Santa Romana, dal suo romitorio, raggiungeva spesso San Silvestro sulla cima del monte. Merita a questo punto fare cenno rapidamente a un’altra leggenda secondo cui esistessero dei passaggi segreti, scavati nella roccia, che le rendevano il piccolo pellegrinaggio meno gravoso (tra l’Eremo di Santa Romana e quello di San Silvestro c’è, difatti, più di un’ora e mezzo di cammino, tutto in salita).

San Silvestro, si racconta, era imbarazzato dalle frequenti visite della giovane e dunque, un giorno, le disse: ti chiedo di non venire più a trovarmi sino a quando non saranno fiorite le rose. Si era in pieno inverno e, notoriamente, le rose sul Monte Soratte non fioriscono prima di Maggio.  

Tornata, delusa, al suo romitorio, Santa Romana trovò, il giorno dopo, una rosa fiorita nelle immediate vicinanze e, tutta contenta, la portò a San Silvestro, sicura a quel punto di essere accolta senza più ritrosia.

Un particolare importante, riguardo l’Eremo di Santa Roma, lo riporta Clorinda Salini:

 

«All’interno della Chiesa, si trova una vasca di piccole dimensioni, dove l’acqua, proveniente dallo scoglio, scende all’interno di essa. Quest’acqua, secondo la tradizione, viene bevuta per devozione dalle puerpere dei dintorni, prive di latte. In merito a ciò, autori locali ricordano eventi miracolosi» (Clorinda Salini, Insediamenti monastici sul monte Soratte, Davide Ghaleb Editore, Vetralla (VT), 2023, p. 100).

 

Ancora la Solini riporta che, il 20 aprile 1678, il pontefice Innocenzo XI “concesse l’indulgenza plenaria Ad septenium al Santuario di Santa Romana, da lucrarsi nel giorno della relativa festa”.

Il 23 febbraio 1775 giunge la conferma della stessa indulgenza da parte di Papa Clemente XIV.

Non resta molto dell’edificio di 4 stanze, affiancato al santuario, per ospitare gli eremiti che vi si sono avvicendati nei secoli. L’ultimo di essi, fra Edisto Lazzari — noto come Fra Istione — vi morì e fu sepolto nel 1866.

 

Altri monasteri sul Monte Soratte

 

Iniziamo con il dire che non di tutti i monasteri che sono stati costruiti sul Monte Soratte ci resta, oggi, traccia. Ad esempio vestigia di una minima consistenza dei monasteri di Santo Stefano e di San Vittore, menzionati in documenti ufficiali, sono oggi del tutto irreperibili e non è nemmeno chiara quale fosse la loro ubicazione.

È invece ancora vissuto, per quanto in maniera (comprensibilmente) molto schiva, l’Eremo di Santa Maria delle Grazie, cui abbiamo già fatto cenno nel paragrafo precedente.

Anacleto Antonelli, guida escursionista professionista con il quale capita facciamo escursioni insieme, pur essendo stato molte volte sul Monte Soratte, da solo o con un gruppo di escursionisti, ha avuto accesso all’eremo in oggetto appena una volta. Mi spiegava che era la prima domenica di maggio ed in quell’occasione — ogni anno — dall’eremo parte la processione per raggiungere le vestigia del Monastero di San Silvestro, dove viene celebrata una messa, al termine della quale si torna al luogo di partenza (eccezionalmente aperto) per momenti di convivialità con cibo e canti popolari. Del resto, mi spiegava Anacleto, la Madonna delle Grazie cui è dedicato l’eremo è oggetto di grande devozione per gli abitanti di Sant’Oreste dato che tutti coloro che hanno lasciato il paese per combattere nel corso della Seconda Guerra mondiale — e le sono stati raccomandati — sono ritornati vivi a casa.

L’eremo viene menzionato in una memoria del Notaio Giovan Francesco Chierici riportata da Don Mariano De Carolis nel suo testo Il Monte Soratte e i suoi santuari:

 

«Fra i romitori che nel XVI secolo erano da solitari abitati uno era quello della Beata Vergine dipinta al muro col Bambino Gesù in braccio, che si venerava in una chiesuola nella parte occidentale del monte non lungi dall’eremo di Sant’Antonio Abate, sotto la cura per lo più ci un eremita sacerdote che vi risiedeva». (In: Clorinda Salini, Insediamenti monastici sul monte Soratte, op. cit., p. 21.p. 89)

 

Conobbe buoni ampliamenti della struttura (che all’inizio constava della sola chiesa) nel periodo in cui, sempre nel corso del sedicesimo secolo, il posto venne affidato ai monaci cistercensi. Alla fine del sedicesimo secolo o, secondo un’altra versione, all’inizio del secolo successivo, i cistercensi lasciarono l’Eremo di Santa Maria delle Grazie per trasferirsi in quello di San Silvestro da dove, però, come accennavamo nel post precedente, dovettero ritornare al luogo di partenza per la frequenza con cui i fulmini colpivano la punta del Monte Soratte.

L’Eremo di Santa Maria delle Grazie ha avuto una funzione di rifugio dai fulmini oltre che per i cistercensi anche, successivamente, per i trinitari scalzi che ugualmente tentarono di vivere ritirati nel Monastero di San Silvestro.

Oggi l’Eremo di Santa Maria delle Grazie “è affidato ai religiosi inviati dalla Diocesi di Civita Castellana, coadiuvati, nel difficile compito di mantenere efficienti le strutture, dagli abitanti di Sant’Oreste, rimasti molto legati all’antico insediamento monastico” (Ivi, p. 91).

 

Risale al sedicesimo secolo anche un documento che menziona l’Eremo di Santa Lucia di cui oggi rimane solo l’omonima chiesa, “collocata a 638 m slm, sulla prima vetta del Monte Soratte, di rimpetto a Sant’Oreste e lungo la via degli eremi” (Ibidem). La Chiesa di Santa Lucia è, difatti, la prima struttura che si incontra salendo, dal paese, verso l’Eremo di San Silvestro.

Le sue condizioni non sono ottimali ma il 13 dicembre vi si celebra la messa in onore della Santa cui è intitolata, considerata la protettrice di Sant’Oreste.

È invece meta della processione (Fiaccolata del Monte Soratte) in occasione dell’ultima domenica di maggio la Cappella di Sant’Antonio, dell’omonimo monastero (sul versante nord-est del monte, ne abbiamo riportato la foto all’inizio dell’articolo), oramai diruto e di cui abbiamo documenti risalenti alla prima metà del sedicesimo secolo.

È ridotto in condizioni ancora peggiori l’Eremo di San Sebastiano di cui abbiamo notizie attendibili solo a partire dalla seconda metà del diciottesimo secolo.

A conclusione di questo breve post sugli insediamenti monastici sul Monte Soratte, non possiamo non rilevare che, malgrado versino — in diversi casi — in uno stato di abbandono, il fascino della tradizione eremitica continua ad essere sentito dalla popolazione locale che, pur in occasione di pochi eventi in un anno, condivide momenti solenni e conviviali in quel che rimane delle loro antiche strutture. Viene periodicamente aperto lo stesso monastero di San Silvestro con il suo pregevole ciclo di dipinti.

In particolare si occupa delle visite l’Associazione Avventura Soratte. La si può contattare su facebook (https://www.facebook.com/avventura.soratte) o scrivendo a: avventurasoratte@hotmail.com.