Si accennava al dialogo interculturale
Il dialogo interculturale tra cultura europea e cultura orientale, in particolare indiana, cui si è fatto cenno nel post Il Cristo d’Oriente è uno dei leitmotiv del nostro libro Yoga dall’autentica tradizione indiana, nonchè del complessivo Progetto Viverealtrimenti. Non è il caso, ora, di dilungarsi troppo sull’argomento, entro rapidamente nel merito semplicemente per completare quanto accennato nel post precedente. L’impulso al dialogo interculturale (o almeno un impulso importante) ha avuto luogo nel corso di un Kumbha Mela (gigantesco raduno hindu che avviene, con cadenza triennale, in 4 città sante del subcontinente indiano: Haridwar, Ujjain, Nashik ed Allahabad), nel 1894, a mezzo di un colloquio tra un grande iniziato, Babaji Mahavatar (nel disegno a sinistra) ed un monaco, Swami Yukteswar. Il colloquio è riportato nel testo di Paramahansa Yogananda Autobiografia di uno yogi.
Ne riporto di seguito un frammento citato su Yoga dall’autentica tradizione indiana:
«l’Oriente e l’Occidente debbono trovare un equilibrio virtuoso tra attivismo e spiritualità. L’India ha molto da imparare dall’Occidente riguardo lo sviluppo materiale e, in compenso, può insegnare i metodi universali attraverso i quali l’Occidente sarà in grado di basare solidamente le sue convinzioni religiose sui fondamenti della scienza yogica. Tu, caro Swami, giocherai un ruolo importante nello scambio armonioso tra Oriente ed Occidente. Fra qualche anno ti spedirò un allievo che formerai per diffondere lo yoga in Occidente».
A quel tempo il discepolo era già nato, in una città del nord dell’Uttar Pradesh, Gorakhpur. Aveva appena un anno. Parliamo di Mukunda Lal Ghosh, successivamente conosciuto (dopo aver preso i voti monastici) come Swami Yogananda Giri. Incontrò Sri Yukteswar nel 1910, all’età di 17 anni. Dieci anni dopo si sarebbe imbarcato sulla City of Sparta alla volta degli Stati Uniti dove avrebbe fondato la Self Realization Fellowship, diffondendo a piene mani la pratica del Kriya Yoga in Occidente. Dopo di lui diversi altri maestri indiani sarebbero seguiti ed oggi lo yoga, uno dei ponti di dialogo tra Oriente ed Occidente, rappresenta, per usare le parole di S. Syman, autrice di The subtle body; the story of yoga in America, «uno dei primi e più riusciti prodotti della globalizzazione», in grado di contribuire fortemente all’affermazione di una cultura globale «spiritualmente poliglotta».
Molta acqua è dunque passata sotto i ponti da quel lontano Kumbha Mela del 1894 e sicuramente pensare Gesù Cristo come l’espressione occidentale di Isha Masih che a lungo visse, imparò ed insegnò in Oriente può essere senz’altro un altro importantissimo ponte di questo stesso dialogo. Difficilissimo e tuttavia necessario per essere all’altezza di quanto ci richiederà il prossimo futuro, nel villaggio globale. Per questo credo sia importante approfondire la versione apocrifa della vita di Gesù che lo vede vivere a lungo in Oriente, pur nella quasi certezza che non diventerà mai la versione ufficiale.
Per approfondire
Gesù in India? Il punto interrogativo è, probabilmente, doveroso.
L’ipotesi che Gesù abbia vissuto buona parte della sua vita in India, negli anni di cui non parlano i vangeli (che lo presentano, bambino, nel tempio di Gerusalemme e poi, dopo circa sedici anni di vuoto, ne raccontano l’inizio della predicazione) e negli anni successivi alla crocifissione ― cui, secondo alcuni, sarebbe sopravvissuto ― viene dibattuta da lungo tempo. Naturalmente, considerata nella sua integrità o accettandone solo alcune versioni, ha sempre riscosso e continua a riscuotere particolare successo nella stessa India, tanto nell’ambito dei suoi diversi filoni sapienziali quanto tra le persone comuni.
In Europa la controversa questione degli anni indiani di Gesù ha iniziato a prendere corpo alla fine dell’Ottocento.
Nel corso di oltre un secolo testi cruciali hanno visto la luce, alimentando diverse scuole di pensiero: nicchie culturali, più o meno rilevanti, nell’ambito dell’Induismo, del Buddhismo, dell’Islam, del mondo New Age, dei nuovi movimenti religiosi e di quello, genericamente, laico/secolare.
Verranno considerate in maniera il più possibile esauriente, lasciando naturalmente che i lettori ― in base alla propria fede o attitudine laica ― traggano le conclusioni a loro più congeniali.
Avanzare sul sentiero di un Gesù transculturale, non più sola prerogativa dell’Occidente cristiano, può essere di grande beneficio all’uomo nuovo/globalizzato. Un Gesù transculturale può aiutare a ridurre le distanze tra mondi che si considerano, forse erroneamente, ancora molto diversi e, allo stesso tempo, infondere nuova energia a una cristianità inesorabilmente in crisi.
Manuel Olivares, sociologo di formazione, vive e lavora tra Londra e l’Asia.
Esordisce nel mondo editoriale, nel 2002, con il saggio Vegetariani come, dove, perché (Malatempora Ed). Negli anni successivi, ancora con Malatempora, pubblicherà: Comuni, comunità ed ecovillaggi in Italia (2003) e Comuni, comunità, ecovillaggi in Italia, in Europa, nel mondo (2007). Nel 2009 fonda l’editrice Viverealtrimenti, per esordire con Un giardino dell’Eden, il suo primo testo di fiction e Comuni, comunità, ecovillaggi, il suo terzo su un antico e moderno movimento di comunità sperimentali ed ecosostenibili.
Nel 2011 pubblica Yoga based on authentic Indian traditions, il suo primo libro in inglese (tradotto, nel 2013, con il titolo Yoga dall’autentica tradizione indiana) e Barboni sì ma in casa propria, una raccolta di racconti e poesie. Nel 2012 pubblica Con Jasmuheen al Kumbha Mela, dipanando un interessante accostamento tra new age e tradizione.
Gesù in India? ha preso corpo in circa dieci anni di studi e ricerche sul campo (prevalentemente in Kashmir, Punjab e Ladakh) avendo costantemente come base la città santa di Varanasi dove l’autore ha speso, nel periodo suddetto, la maggiorparte del suo tempo.
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