Hamza e i significati del Corano…a Liverpool

Posted in Blog

 

Liverpool: una mattina fredda e un po’ brumosa come molte altre. Sono diretto in stazione ma vengo catturato da un canto inconfondibile. Sono Sure Coraniche cantate e diffuse da buone casse nella via centrale della città, la via dello shopping.

Decido che la stazione può aspettare e di andare incontro a quei canti. Come immaginavo c’è un banchetto con materiale informativo e molti libri distribuiti gratuitamente o, per i più coscienziosi, in cambio di un’offerta in denaro.

Ci sono un paio di ragazzi che stanno facendo dawah che letteralmente significa: “invitare il prossimo all’Islam”. In Inghilterra non è raro trovare banchetti di dawah, è uno degli elementi che punteggia il tessuto urbano, insieme agli immancabili suonatori e venditori di strada. Lo rende anche più umano, distogliendo per un attimo l’attenzione dalle onnipresenti catene commerciali.

Con mia sorpresa, tra le diverse copie del Corano, in diverse lingue, presenti sul banchetto c’è l’ultima edizione italiana della traduzione di Hamza Piccardo.

Per conoscere un minimo Hamza Piccardo consiglio un bel servizio di Al Jazeera, disponibile su You Tube: Hamza e i significati del Corano (segnalato a fine articolo).

Presentandolo qui, brevemente, Hamza Piccardo (Imperia, 7 ottobre 1952), convertito all’Islam nel 1975, è un attivista, editore e traduttore. Nel 1990 è tra i fondatori dell’Unione delle Comunità ed Organizzazioni islamiche in Italia (UCOII), di cui sarà segretario nazionale dal 1996 al 2005.

Elabora la Bozza d’intesa, il documento sulla quale si dovrebbero stabilire i rapporti tra la comunità islamica e lo Stato italiano.

Nel 1994 pubblica la prima edizione del Saggio di Traduzione Interpretativa del Santo Corano inimitabile, traduzione integrale e commentata per gli italiani e gli italofoni. Da allora sono seguite diverse edizioni, la ventisettesima delle quali, di cui vogliamo parlare qui, è del 2020.

Lascio il banchetto di dawah con la mia copia e un paio di altri testi, in cambio di una ragionevole offerta.

Non mi avventuro a commentare la traduzione di Hamza Piccardo del testo sacro dell’Islam, avvertendo chi legge che se ne può fare richiesta direttamente all’autore: https://ilcorano.net/richieste-corano-gratis/.

Quel che voglio presentare in questo post è l’eccellente prefazione, almeno a mio modesto parere, dello storico fiorentino Franco Cardini.

È piuttosto lunga dunque ne citerò, giocoforza, quelli che considero i passaggi più salienti.

Iniziamo da alcune considerazioni generali per poi intraprendere, con Cardini, un breve ma pregnante viaggio nel tempo.

Cito:

 

«Nulla più del Corano dà l’impressione dell’Assoluto. Esso non ha immediata e riconoscibile connessione con nessun dato concreto: non con la Storia e con un Popolo, come la Bibbia ebraica; non con un Uomo, come il Vangelo in rapporto al Messia; non con una qualunque immagine, dal momento che l’Islam ne rifugge e anzi, al contrario, trasforma semmai con i suoi miracoli calligrafici in immagine il suono, la parola. Chi sia abituato alla logica euclidea e cartesiana, alla retta come segno più breve (e “logico”) di congiungimento fra due punti, resta stupito di fronte al suo andamento circolare, labirintico».

 

Dopo questa doverosa, pur breve, introduzione, abbracciamo, con Cardini, una suggestiva prospettiva storica, colmando qualcuna delle inevitabili lacune della stragrande maggioranza di noi italiani cui hanno insegnato una “storia di comodo”, trascurando quelle zone e vicende del mondo che non rientravano in una narrativa preconfezionata o che ne erano, addirittura, d’intralcio.

Siete pronti per una serie di citazioni? Partiamo!

 

«Il Corano cresce nel tempo, in ventidue anni, dalla rivelazione sul monte Hira del 610 all’inizio della predicazione pubblica tre anni più tardi alla morte dell’inviato, nel 632, dieci anni dopo la hijra, la migrazione dalla Mecca verso Yatrib, la città che diventerà “Medina”, la Città per eccellenza, come Roma è l’Urbe. Le rivelazioni vengono imparate a memoria, custodite da una turba di recitatori-cantori e da un’incerta quantità di appunti sparsi vergati su materiali di varia origine; recitare ad alta voce ritmando quelle parole imparate a memoria, scriverle e riscriverle copiandole e ricopiandole, impone un continuo esercizio. All’atto della scomparsa del Profeta toccò al sua fedele Zayd ibn Thabit accingersi alla ricerca sistematica di quelle parole, di quei versetti; furono i califfi “ben guidati” Aby Bakr e ‘Uthman a prender l’iniziativa di organizzare il materiale. Alla metà del VII secolo, il lavoro di raccolta era terminato. Si trattava ora di affinare la forma, di perfezionare la grafia. Era tuttavia il contenuto a sottrarsi a una sistemazione compatta, di facile intelligibilità. Il Corano è un Libro profetico: e lo Spirito soffia dove vuole, dalla mistica al diritto, dalla normativa religiosa a quella civile, dalle norme quotidiane alla cronaca. A differenza della Bibbia ebraica, il Corano non ha alcun rapporto con un gruppo etnico, con una nazione: esso è diretto all’intero genere umano. Ma ha un rapporto diretto e irrinunciabile con un idioma: con l’arabo, la lingua del Profeta e quella che Dio sceglie per comunicare con lui».

 

Di qui, Cardini ci offre alcune considerazioni sul “contesto nel quale discese la Parola di Dio” ovvero sulle condizioni in cui si trovava la penisola arabica agli inizi del settimo secolo.

Contrariamente a quanto molti di noi possano pensare, Cardini la definisce “un luogo unico al mondo”, pur essendo, apparentemente, una periferia.

Essa, difatti, confinava con tre grandi imperi.

Cardini:

 

«A nord-nordovest la penisola confinava con l’impero romano d’Oriente, quello che oggi è uso definir bizantino e che gli arabi avrebbero sempre conosciuto con il nome di Rum, “Roma”; a nordest con l’impero sasanide; a sud, al di là dello Yemen (L’Arabia Felix dei romani) e dello stretto di Ba bel Mandeb, con l’impero etiopico. La costa occidentale della penisola, lungo il Mar Rosso, era attraversata dalle carovaniere della cosiddetta “Via dell’incenso” o “delle spezie”, attraverso la quale i preziosi prodotti delle Indie, trasportati rapidamente sull’oceano da navi che sfruttavano coraggiosamente il clima monsonico, raggiungevano gli empori siriani per venir esportati da lì in tutto il Mediterraneo. Questa “via” — in realtà un fascio di piste per cammelli — era punteggiata di numerose città carovaniere egemonizzate da opulente tribù di mercanti e abitate da popolazioni tra le quali non mancavano artigiani e, nelle oasi, agricoltori tanto ebrei quanto cristiani».

 

Parliamo insomma di un contesto a dir poco vivace, sicuramente dinamico oltre ad essere multietnico e multireligioso. Un contesto, ci tiene a precisare Cardini, che non è “deterministicamente” riconducibile al deserto data anche l’ostilità degli “uomini della solitudine”, dei beduini al nuovo monoteismo.

L’Islam nasce dunque nelle città carovaniere, “in un incrociarsi di religioni, di culti, d’istanze”, nasce con una buona predisposizione alla convivenza con le tradizioni pre-esistenti.

Ripercorre i primi secoli di sviluppo della cultura islamica l’autrice inglese Margaret Smith che analizza i fecondi scambi culturali che ci sono stati tra il giovanissimo mondo musulmano e il mondo cristiano, in particolare riguardo il complesso filone mistico ed esoterico del Sufismo antico.

Spero avremo modo di tornare sull’argomento, importante per renderci conto quanto il mondo islamico ed il mondo cristiano non sono, in essenza, così alieni come la martellante propaganda mediatica può farci credere.

Del resto, scrive ancora Cardini…

 

«Gli arabi semipagani o enoteisti dell’Arabia preislamica erano abituati allo spettacolo della famigliarità di ebrei e cristiani con il loro Libro Santo, che in una certa misura coincideva ed era comune a entrambi. Ebrei e cristiani erano, insieme, ahl al-Kitab (la Gente del Libro); ma c’era qualcosa che li univa al di là delle loro reciproche ostilità e del Libro comune: la coscienza della comune discendenza abramitica, quella che Muhammad recupera pienamente, su cui si fonda l’Islam».

 

In questa prospettiva, l’Islam è la religione più giovane nell’ambito della tradizione abramica. Parlare di tradizione abramica aiuta senz’altro a vedere i tre monoteismi in una prospettiva meno divisa.

Si è soffermato, a mio parere con particolare pertinenza, sulla tradizione abramica Abd al-Wahid Pallavicini (nato Felice Pallavicini, a Milano, nel 1926 dove è poi mancato nel 2017) nel suo bel libro Islam interiore. Non è del resto un caso che l’incontro interreligioso cui ha partecipato Papa Francesco nel corso del suo viaggio in Iraq (5-8 marzo 2021) — dopo la tappa a Najaf e la visita di cortesia al Grand Ayatollah Ali Al-Sistani —  sia avvenuto ad Ur dei Caldei, poco distante dalla città irachena di Nassiriya, indicata nel libro della Genesi come luogo di nascita di Abramo.

Nel suo discorso, in occasione di detto incontro, Papa Francesco menziona chiaramente una discendenza comune:

 

«Dio chiese ad Abramo di alzare lo sguardo al cielo e di contarvi le stelle (cfr Gen 15,5). In quelle stelle vide la promessa della sua discendenza, vide noi. E oggi noi, ebrei, cristiani e musulmani, insieme con i fratelli e le sorelle di altre religioni, onoriamo il padre Abramo facendo come lui: guardiamo il cielo e camminiamo sulla terra».

 

La “parentela” che, a fronte di un fondatore comune, si può riscontrare tra i tre monoteismi (che poi sappiamo quanto la storia, la politica, inganni, cospirazioni, subdoli rapporti epistolari — ad esempio tra un certo Lord Arthur Balfour ed un certo Lionel Walter II Barone di Rotchild — accordi balordi  come quello Sykes-Picot, eccetera abbiano reso, non di rado, nemici) è uno dei motivi principali, nell’analisi di Cardini, dell’impressionante espansione dei primi secoli dell’era islamica.

Vediamo:

 

«Molti hanno parlato del “mistero” del rapido propagarsi dell’Islam, in poco più di un secolo, sino al Maghreb e ai contrafforti dell’Indo Cush, alla penisola anatolica e al “Corno d’Africa”. La rapidità di tale conquista non si può certo addebitare a motivi demografici; e neppure alla travolgente violenza dei credenti, che in molte occasioni non fu neppure lontanamente tale. Si è costantemente sottovalutato, almeno per quanto concerne l’area mediterranea ch’era nel VII secolo ancora totalmente cristiana, di valutare bene che cosa fosse, nella sostanza, il cristianesimo di quelle popolazioni sostanzialmente o formalmente soggette all’impero romano d’Oriente. Sappiamo con quanta durezza il governo imperiale romano trattasse i cristiani eretici suoi sudditi, equiparando l’eterodossia a un crimine: e sappiamo quanta distanza corresse tra l’ortodossia caledoniana-efesina e i cristiani monofisiti o nestoriani, e in qual durissimi modi essi venissero perseguitati e repressi. D’altronde, un monofisita persuaso che la natura di Cristo fosse unicamente divina non poteva non sentir chiunque avesse osato inquinarla con quella umana come ben più pericoloso di chi, come i musulmani, si limitasse a proclamarne la natura esclusivamente umana associandola però alla funzione profetica. I cristiani monofisiti siriani, egizi, nubiani, avevano probabilmente molta difficoltà nel riconoscere come loro correligionario il sovrano di Costantinopoli che in ogni modo li perseguitava; mentre avevano al contrario qualche difficoltà a non sentire come dei quasi-correligionari quei barbari venuti dal sud-est che garantivano loro libertà di culto privato dietro l’esborso di una tassa ragionevole, chiedevano solo un atto di formale riconoscimento della superiorità dell’Islam e, nel loro Libro, leggevano e recitavano cose magari per loro strane ma tanto belle e commoventi su Gesù, su Maria e su Giuseppe».

 

In altre parole, nell’analisi di Cardini, l’Islam si espande rapidamente su vasti territori soprattutto in virtù di una sua “inclusività” nei confronti di ahl al-Kitab (la Gente del Libro), in virtù del riconoscimento di Ebraismo e Cristianesimo come “fedi nel vero e unico Dio”.

In effetti, per quanti potessero essere numericamente gli arabi nel settimo secolo (non credo fossero interminabili) e per quanto potessero essere validi guerrieri, le motivazioni di un’espansione così vertiginosa (per chi volesse saperne di più affidandosi al Web segnalo la pagina di Wikipedia Espansione islamica e quella della Treccani che al punto 3 dà conto, pur molto sinteticamente, della stessa espansione) non possono non essere ricercate altrove. Almeno dallo studioso obiettivo.

 

Espansione dall’Islam tra il VII e l’VIII secolo dopo Cristo

In rosso scuro:  espansione sotto il profeta Muhammad, 622-632;

In rosso chiaro:  espansione durante il califfato elettivo, 632-661;

In arancione chiaro:  espansione durante il Califfato Omayyade, 661-750.

 

 

Questa mappa ci aiuta ad avere un’idea dell’entità dell’espansione islamica tra il 622 ed il 750, dunque in meno di 130 anni.

Navigando in libertà sul web emerge un dato interessante: Nel momento di sua massima estensione, il Califfato degli Omayyadi copriva 13.400.000 km². L’Impero romano sotto Traiano, nel 117, nel suo periodo di massima espansione, ricopriva un’area di 5,0 milioni di km².

Possiamo dunque concludere che, in meno di 130 anni, l’Islam si sia espanso su un territorio che era quasi il triplo di quello coperto dall’Impero romano all’apice della sua espansione.

Chi vuole a tutti i costi delegittimare l’Islam non può non addurre come sola motivazione di tutto ciò l’inaudita violenza dei popoli del deserto.

È un’argomentazione grottesca anche a fronte del fatto che, come si legge sulla pagina della Treccani dedicata alla penisola arabica: «alla nascita dell’Islam il paese annoverava solo qualche città e numerose oasi in cui si praticava l’agricoltura, a opera soprattutto di colonie ebree».

Tutto questo non può non aiutarci ad accettare, pur lasciando naturalmente ad ognuno le riserve che creda, le argomentazioni di Cardini, a partire dall’atteggiamento inclusivo, dell’Islam, nei confronti di ahl al-Kitab (la Gente del Libro).

Il riconoscimento di ahl al-Kitab, scrive Cardini, “era una sanzione della massima importanza, che stabiliva un nesso di affinità e di omogeneità abramitica tra le fedi sorelle, fondate tutte sull’irruzione di Dio nella storia attraverso la Rivelazione nonché sulla trascendenza divina”.

E oggi? La storia corruttrice ha fatto, come si accennava, il suo bel lavoro distruttivo eppure non sempre e non dappertutto i tre monoteismi sono stati e sono così irriducibilmente rivali.

Di conseguenza, mi associo a Cardini nel ritenere (come vedremo a breve) che oggi l’Islam possa rappresentare una buona risorsa per un Occidente che possiamo definire oramai “orfano di sacro”. Esistono, naturalmente, diverse criticità, fatti di cronaca orribili che non possono, naturalmente, essere sottovalutati ma che vengono, parimenti, esasperati da una martellante propaganda islamofobica.

Non è questa la sede per analizzare in che misura certi atti folli debbano essere ricondotti a fenomeni di generale devianza sociale e/o a esasperazioni dottrinali.

Del resto, parlare genericamente di Islam è fuorviante quanto parlare, genericamente, di Cristianesimo o Buddhismo, a fronte di una grande proliferazione di scuole nell’ambito di queste tre grandi tradizioni.

La martellante propaganda islamofobica tenta, naturalmente, di infangare l’Islam enfatizzando gli atti terroristici di individui musulmani o sedicenti tali.

A fronte di questo trovo pertinente l’analogia con il fatto che in Italia abbiamo avuto, per decenni, il più grande partito comunista dell’Europa occidentale e abbiamo anche conosciuto diverse espressioni di terrorismo “rosso”. Questa coesistenza non poteva, tuttavia, indurre nessuno ad affermare che chi fosse comunista, in Italia, fosse anche un terrorista (anche se i terroristi rossi si definivano comunisti).

Di fronte al complesso ed articolato mondo comunista italiano, il fenomeno terroristico, che non ha mancato di suscitare un grande allarme in determinati anni, non poteva che essere considerato un fenomeno di frangia.

Personalmente ritengo che chi vede l’Islam tutto come una minaccia non abbia probabilmente chiara l’entità del fenomeno (solo in Italia vivono oltre due milioni e mezzo di musulmani, un milione dei quali ha la cittadinanza italiana) di fronte alla quale le espressioni di devianza hanno — statisticamente parlando, in Europa, negli Stati Uniti e nel resto del mondo occidentale — una rilevanza a dir poco modesta.

In particolare in Italia la percezione del mondo islamico è piuttosto fumosa, non a caso Costanzo Preve, nella sua post-fazione al testo Islamofobia. Attori, tattiche, finalità di Enrico Galoppini, parla della necessità di “una radicale riforma del canone storico — un canone caratterizzato da un provincialismo ad un tempo fastidioso e pittoresco — sia liceale che universitario”. Torniamo qui all’insegnamento della “storia di comodo” cui si accennava in precedenza.

Per fortuna l’Italia non è la misura dell’Europa.

Segnalo questa ricerca del Pew Research Center sulla percezione, positiva o negativa, dell’Islam nel Vecchio Continente (nell’ambito di una più vasta ricerca dello stesso istituto sulla percezione, positiva o negativa, delle minoranze in generale). 

Ebbene, i paesi dove l’Islam ha avuto modo di radicarsi meglio, dove ci sono il maggior numero di moschee, dove ci sono musulmani in posizioni di rilievo (ad esempio Sadiq Khan sindaco di Londra, al secondo mandato), dove dunque c’è una convivenza consolidata tra musulmani e non musulmani, presentano gli “indici di accettazione” migliori.

È il caso del Regno Unito, con il 78% della popolazione favorevole ai musulmani contro il 18% di sfavorevoli, della Francia (72% favorevoli, 22% sfavorevoli), Olanda (70%favorevoli, 28% sfavorevoli), Germania (69% favorevoli, 24% sfavorevoli) e della Svezia (68% favorevoli, 28% sfavorevoli). Questi dati possono contribuire a sfatare il mito di molti islamofobi per cui al crescere della presenza islamica dovrebbe crescere la minaccia rappresentata dai musulmani in termini di attacchi alla laicità dello stato e via discorrendo.

Una tale, crescente minaccia, infatti, adeguatamente percepita dalla popolazione (in paesi che registrano i più alti livelli di scolarizzazione e di libero accesso all’informazione), dovrebbe rendere i musulmani vieppiù impopolari presso le maggioranze non musulmane che vedano moltiplicarsi, intorno alle loro case, comunità islamiche e moschee (si contano quasi 2000 moschee nel Regno Unito, circa 2300 e 2500 rispettivamente in Francia e in Germania) ma, a leggere i dati di cui sopra e quelli che consideremo poco più avanti, sembra proprio che non sia così.

In Italia invece, dove il mondo islamico è percepito ancora, in buona parte, come marginale (ci sono appena 5 moschee, in Italia, con cupola e minareto, 12 moschee secondo le stime più ottimiste anche se sono poi un migliaio i luoghi di culto islamici nel Bel paese, informali nella stragrande maggioranza dei casi ma pienamente attivi), dove la convivenza con i musulmani risente ancora molto di stereotipi e luoghi comuni, il 55% della popolazione è sfavorevole e il 41% favorevole.

Forse non molti sanno o immaginano che c’è un’ampia accettazione sociale dei musulmani in Russia (76% favorevoli, 19% sfavorevoli) e Ucraina (62% favorevoli, 21% sfavorevoli).

Altri due dati interessanti della stessa ricerca sono i seguenti:

 

  • La diminuzione sostanziale— nel periodo di tempo compreso tra il 2016 e il 2019 — del numero di persone con opinioni sfavorevoli nei confronti dei musulmani nella maggior parte dei paesi considerati. In Italia si è registrato un calo del 14% di coloro che sono sfavorevoli ai musulmani (che nel 2016 erano il 69% della popolazione complessiva);
  • La diretta correlazione tra minore livello di istruzione e maggiore propensione ad avere un’opinione negativa dei musulmani. Da questo possiamo desumere che l’islamofobia si correla ad una scarsa conoscenza della cultura e della religione islamiche. Un test divertente che potete fare ad amici e parenti per testare il livello di conoscenza basilare della cultura e religione islamiche in Italia è: sapete quale sia la differenza tra sunniti e sciiti? Buon divertimento!

 

Dunque, a fronte di indiscutibili problemi, possiamo affermare che l’Islam rappresenti una risorsa per l’Europa e l’Occidente?

Cardini:

 

«La nuova primavera coranica, alla quale stiamo assistendo in questi anni, è una benedizione per il mondo: anche, e soprattutto, per le altre due fedi abramitiche. La Modernità occidentale ha provocato un dilagare dell’agnosticismo e dell’ateismo che peraltro ha messo in crisi la fede in Dio, ma non ha affatto debellato forme di paganesimo che sono anzi risorte, auspici comunismo e globalizzazione, o alle quali si sono andati accompagnando culti idolatrici nuovi, come si sta vedendo nel contesto del fenomeno new age. I credenti nel Dio d’Abramo di tutto il mondo non possono che salutare nel rinascimento musulmano — al di là dei fenomeni politici che lo accompagnano ma che restano solo equivocamente collegati a esso — una riscossa della fede che solo alcuni lustri or sono era insperabile. Nel mondo duramente dominato dal materialismo della globalizzazione, i templi della quale sono le imprese multinazionali e i cui effetti sono segnati innanzitutto dallo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, dall’ingiustizia, dalla distruzione dell’ambiente e dal progresso dell’ateismo nei cuori, i fedeli non possono non guardare con speranza e fiducia a ogni luogo nel quale si adori e si preghi Iddio onnipotente, Creatore del Cielo e della Terra, e si rinsaldi giorno per giorno il patto che Egli ha stipulato con Abramo e al quale è rimasto fedele. Il Dio di Abramo, di Mosé, di Gesù e di Muhammad».

 

Manuel Olivares