21 giorni di luce; Atman e dintorni: nutriti dall’amore divino.
Di seguito una bella recensione, dell’amico Plinio Perilli, al mio ultimo testo: Con Jasmuheen al Kumbha Mela.
Plinio:
O vincitore di tutti i prìncipi del mondo,
sai tu qual giorno sia illuminatore dell’anima?
Domenica, e lunedì, martedì e mercoledì
Giovedì e venerdì e sabato, notte e giorno.
– Omar Khayyàm –
Stanchi come siamo da tempo di tutti quei libri che anelano o sembrano fornire soluzioni definitive alla nostra sincera, appassionata voglia di fede nonché urgenza “tantrica”, pulsione stessa spirituale, per dedizione laica e medesimo credo irenista – salutiamo con gioia questo serrato, ispirato saggio che è insieme un percorso creaturale, una mission impossible (diaristico-narrativa) dell’Io spodestato di Sé, ma anche una dotta e puntualissima disquisizione/esegesi, recherche della Verità che ci è dato intraprendere, inseguire, ma non certo e mai più proclamare a cuor leggero, col piglio goffo e amplificato d’un propaganda leziosa!
Dopo anni di “New Age” modaiola da magazine azzimati, ricerche come questa di Manuel Olivares ci rincuorano e ci ritemprano: pagina per pagina, metro per metro, in cerca e in rito – nella sapienza soffusa e cruda della speranza… Salda in ogni suo dubbio o equilibrio “ossimorico”, altalenante di e verso il Sublime… ma sempre restando all’interno di un poderoso autodafè mentale e culturale del nostro antichissimo, decrepito, invecchiato e tradito privilegio di uomini nuovi, di un Umanesimo in realtà doppiamente attardato dalle sensuosissime sirene laiche, e imbolsito oltretutto da ogni immeritevole propagandismo o smarrito catechismo cristiano…
«… Credo di poter affermare che l’Occidente è ormai orfano non solo di sacro ma di una vera e propria cultura. In Occidente credo si sia perso ogni riferimento stabile, non si ha più un’idea chiara di cosa sia il maschile ed il femminile, i ruoli di genitore e figlio, insegnante e discente, la conoscenza è stata spesso declassata a masturbazione mentale, l’equilibrio psicofisico snobbato come noioso apollineismo. La stessa ricchezza ha perso la nobiltà che le spetterebbe; è spesso diventata sinonimo di consumo insensato quando può essere uno straordinario strumento di realizzazione e crescita integrale. …»
Sociologo di formazione, ma anche poeta, romanziere (Un giardino dell’Eden, 2010; Barboni sì ma in casa propria, 2011), nonché cronista progressista, libertario e cosmopolita di Vegetariani (2002) o di Comuni, comunità, ecovillaggi (2010), Manuel Olivares, fra Roma e l’India, Londra e Varanasi, viaggia e studia (nel 2011 pubblica l’importante manuale Yoga based on authentic indian traditions), vive e lavora, fonda, gestisce e consolida una vitalissima casa editrice dal nome squisitamente programmatico (VIVEREALTRIMENTI), ma soprattutto agisce e s’allena e ritempra di fiero, lucido intelletto… Quarantenne eterno ragazzo che, “complici le sue indicibili difficoltà e l’amore fidelizzante di Smriti” – come confessa e intona in dedica – si è felicemente, ciclotimicamente avviato a “diventare uomo”! Il punto esclamativo lo aggiungiamo volentieri, giacché Lui Stesso l’ha corredato alla lieta, intrigante premessa…
«… Le suggestioni della religiosità indiana arrivano direttamente al nostro inconscio che preserva una memoria antica, di antiche simbiosi, antiche assonanze e corrispondenze cosmiche che possono farci sentire nuovamente integri ed integrati in un contesto che ci contiene e ci trascende ed ha una sua profonda saggezza, una divina armonia.
Il paganesimo neolitico alimentava un immaginario comune pur a migliaia di chilometri di distanza nel continente eurasiatico, perché ovunque c’erano gli stessi riferimenti, ovunque gli stessi archetipi, pur con le differenze di dettaglio del caso. Ovunque si assisteva al ritorno ciclico delle stagioni, ovunque si dovevano propiziare le forze della natura per ottenere il giusto ritmo delle piogge e raccolti sufficienti, ovunque si divinizzava la fertilità, le acque, il sole perché ovunque erano ugualmente essenziali alla vita. …»
Giudiziosa e peritale ricerca, si diceva – ardua missione e laica impresa fra anima e intelletto: che noi abbiamo amato leggere come un romanzo – l’iniziazione narrativa di un complesso plot spirituale… Scardinando o meglio sorvolando i generi (per intenderci, come faceva coi suoi reportages migliori sull’attualità e i suoi problemi, in pieni anni ’60, il più libero ed anche impegnato Norman Mailer di Rapporti al presidente o Le armate della notte), Manuel fa infatti racconto di una vicenda abbastanza complessa che comprende e sottende una lunga intervista a Jasmuheen (scrittrice australiana di notorietà mondiale, tra i leader di quella costellazione di movimenti spirituali che rientrebbero nell’ormai vièta definizione di New Age), e più ancora la cronaca o report – “a tratti semiserio”, precisa Olivares stesso – “di un’esperienza di crescita integrale nell’ambito del più importante pellegrinaggio hindu, il Kumbha Mela”…
«… La vera conoscenza, sostiene Jasmuheen riconnettendosi ad uno dei principi cardine della cultura indiana, risiede nell’atman, nell’anima e quando riusciamo ad avervi veramente accesso, afferma con una maggiore “originalità”, siamo sufficientemente forti per non essere più affamati.
“Siamo difatti costantemente nutriti dall’amore divino!”.
Tuttavia, mi dice ancora nel corso dell’intervista, la libertà completa dal mangiare, che ha iniziato ad avere attorno ai 37 anni, è stata una sorta di “dono inaspettato” in quanto la sua reale tensione spirituale non ineriva immediatamente il cibo ma il desiderio di andare sempre più in profondità nella scoperta del divino dentro di sé, fino a diventare una con esso. …»
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Crescita integrale, si diceva. Ecco il punto, il fulcro, il cardine di una pratica senziente che si fa anche sentimento della Storia, viaggio tra il luogo (ogni Luogo) e il Tempo, nostro così come altrui, presente o già stato e tutto esattamente di là da venire, patrimonio medesimo dell’armonia che è stata o non è stata e che sarà, tornerà ad essere, a irradiarci, insidiarci ma salvarci di Luce…
« La prospettiva ontologica hindu, inoltre, nelle sue diverse sfaccettature – avendo, tra l’altro, costituito l’humus culturale in cui si è formato il grande riformatore del pensiero indiano, il Buddha – ha anche avuto, negli ultimi decenni, la benedizione delle avanguardie scientifiche (assieme all’ontologia buddista e taoista), della fisica quantistica e del cosiddetto paradigma olistico, laddove la teoria creazionista di matrice giudaico-cristiana non è mai stata in ottimi rapporti con il mondo scientifico, dai tempi di Copernico, Galileo e Giordano Bruno sino ad arrivare al contemporaneo Hawking.
Io vedo dunque, in una prospettiva di mondo globale, una buona possibilità di espansione di religioni ed ontologie di matrice orientale (ci sono dei buoni riscontri statistici, ad esempio, in merito alla diffusione del buddismo mahayana in Occidente) e credo sia questo un buon contributo che l’India e l’Oriente possono portare nella dimensione di vita globale. …»
Punto forte del libro – duttile e insieme pensoso, e dunque teorizzante e brioso all’unisono – è la messe forbita, inappuntabile di dati culturali, significazioni gnomiche, che Manuel c’informa d’aver raccolto sul posto ma anche testato nel suo ineffabile e inesausto round trip – conclusosi poi a Londra, nella magnanima e illustre British Library, a “sistematizzare” il materiale organico e suffragante, ed assaporare, distillare “una concentrazione scossa da un lungo peregrinare”… Nessuno più di Manuel Olivares, che è contemporaneamente adepto e inviato speciale in questo pubblico evento o avvento di rifondazione interiore, ristrutturazione dell’atman, riuscirebbe a raccontarci dal di dentro il rapimento, l’impegno auratico di quei giorni – senza però rinunciare al suo occhio lungo di cronista nobile, supervisore sensibile, art director e a tratti quasi entomologo del Sapere meritato in maiuscolo…
«… In Nutrirsi di luce Jasmuheen riporta che l’esperienza dei 21 giorni sarebbe finalizzata “ad assorbire il Dio dentro di noi” ed andrebbe dunque vissuta come un’iniziazione religiosa. Scrive inoltre che sarebbe bene fare questa esperienza in solitudine, evitando di associarla a motivazioni futili come il voler perdere peso.
Bisognerebbe inoltre sentirsi intimamente pronti a dare una svolta radicale alla propria vita, cercando conferma solo nel proprio “maestro interiore” ed ignorando le influenze esterne. …»
Gustoso e nobile prontuario o in ogni caso vademecum su questa sorta di cura che non è una cura ma una conquista, anzi non è una conquista ma una crescita, oddio, non è solo una crescita ma un raggiungimento, e poi ancora una vocazione, un credo, un rito, una Via Lucis…
«… Prima di intraprendere la “pratica dei 21 giorni” è bene eliminare gradualmente diversi alimenti, per evitare di iniziarla troppo intossicati. In primis le carni rosse e l’alcool, poi le carni bianche.
In seguito è bene prediligere cibi crudi sino ad arrivare ad assumere solo minestre liquide e succhi di frutta.
A questo proposito può anche essere opportuno fare qualche enteroclisma (ricco clistere) nei giorni immediatamente precedenti. …»
Colpisce la nomenclatura, la classificazione di questi gesti vitali e rivitalizzanti, di questa solenne e umile epurazione, decongestione dell’anima/corpo – che chiede e attinge, si direbbe, perfino alla tecnica e al glossario dei computers e dell’informatica, per testimoniare invece una grande esercitazione spirituale, sacramentata dall’energia della Luce – che è nutrimento facile e solenne, struggente e fiero come una vera e propria veglia di preghiera:
«… In Nutrirsi di luce il processo dei 21 giorni è presentato anche come un momento di importante destrutturazione e riprogrammazione del proprio software mentale.
Il corpo umano, sostiene Jasmuheen nello stesso testo, sarebbe difatti in grado di rigenerarsi autonomamente e verrebbe solo logorato da un alto livello di tossicità, figlia di un’alimentazione sbagliata e di pensieri negativi. La morte stessa accadrebbe in virtù della convinzione, profondamente radicata in noi, della sua ineluttabilità. …»
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La Luce, si sa, fiorisce da sempre quale simbolo universale della divinità, dell’elemento spirituale che, dopo il caos dell’oscurità originaria, attraversò e guadò l’immenso Tutto, ricacciando nei loro confini le orride e perigliose tenebre… E troppo lontano ci porterebbe ricordare la lotta della luce contro il buio nello spirito dell’antica Persia, o la simbologia luce-spirito che trionfa nella visione del Manicheismo e della Gnosi… O il racconto della creazione del Genesi, in ambito giudaico-cristiano… La luce quale icastica conoscenza della verità per il Buddhismo, o metafora assoluta della sapienza – e manifestazione di Krishna – per l’Induismo… Anche nell’Islam la luce porta un nome sacro, Nuř…
Manuel segue tutto e tutto ci addita, annota e racconta, acquisisce e filtra – filtra devoto ma simultaneamente lucido, ironico quanto basta e quando, per fortuna, non rinuncia ad esserlo, perfino in nome e per conto della causa, che non deve del resto mai perdere i suoi sani e doverosi connotati, correlati di libertà, d’indipendenza psicologica e sociale, emotiva ma pur sempre epocale:
«… Tornando al Kumbha Mela attuale, in virtù della preparazione per uno dei momenti apicali del grande pellegrinaggio – nel corso dei quali si crede che il fiume o i fiumi confluenti trasmutino temporaneamente nel nettare dell’immortalità – è tutto un risuonare di mantra, giaculatorie, canti insopportabilmente ripetitivi con acuti stonati che farebbero davvero venire la voglia di raccattare le proprie cose e scendere a valle. Di più: una macchina-mostro costeggia, tra le altre, la nostra tenda, spargendo un insetticida che entra, in fumo denso dall’odore penetrante, nel nostro spazio. Alcuni di noi si coprono il viso con un fazzoletto. Jasmuheen ci invita a continuare a meditare incuranti dell’orrendo casino che ci circonda: “Cercate di cogliere l’anima dell’India al di là dei suoi rumori, del suo caos”. Una parola! …»
E la parte più ammaliante, irrinunciabile del libro – almeno a nostro modesto e personalissimo parere – finisce per essere la serrata passerella conclusiva, in progress, sulla Contemporaneità e suoi problemi, con la cattiva coscienza snidata, stanata d’un Occidente che non potrà da oggi in poi mai più arroccarsi, mimetizzarsi tra boriosi ma cigolanti, se non dismessi, ruoli storici, egemonie industriali o sudditanze culturali tardo-illuministe alla sempre più sputtanata (travisata) Dea Ragione… Già ci ammoniva uno dei più grandi poeti romantici, Novalis: “Ragione e fantasia è religione; ragione e intelletto è scienza”. Ma non quella del cuore…
«… La mancanza di una bussola, oggi, credo sia il grande problema dell’Europa e l’uomo nuovo, figlio della globalizzazione e che vive cavalcando la globalizzazione, può valorizzare, dell’India, il suo essere tale. Credo tuttavia debba essere chiaro il binomio, a mio parere peculiarmente indiano: conoscenza profonda ed esoterica da un lato e “scienza della mistificazione” dall’altro. Quest’ultima utilizzata per legittimare un potere assoluto ed un’inferiorità istituzionalizzata, mantenuta nel lungo tempo, ostacolando l’accesso all’istruzione ed ai più elementari diritti umani. …»
Lo sguardo, così, parte dall’Europa e giunge all’India – riparte dall’India ma torna in Europa, in America, dove sembra sempre che il Moderno si fabbrichi, si architetti come mero skyline… Ma la Modernità, resta orribile cosa se superfetata in se stessa, e sempre alla fin fine dimentica l’Uomo, lo degrada purtroppo a dettaglio umano, cosa umanata, retaggio industriale, boria o scoria economicista, ritmo e progresso che affidano forse l’atman, l’anima, ahinoi, ai leziosi e pragmatici governanti della contingenza e del consumismo, del dissidio tra consumo e valore, sviluppo e progresso, crescita e maturità…
«… Sono difatti tematiche che, nella peggiore delle ipotesi, tengono vivi i grandi interrogativi dell’essere umano: chi veramente siamo? Fino a che punto il potenziale umano è vincolato a fattori contingenti? È forse vero che l’essere umano più che della sua “fragilità creaturale” ha paura della sua potenza che potrebbe quasi renderlo uguale a Dio od al concetto che si è fatto del divino? Esiste o meno un ordine cosmico da avere come riferimento, ispiratore di una sorta di “etica universale”? In che luce si può leggere un contesto sociale che a lenti “cristiane” appare spaventosamente ingiusto come quello indiano? …»
Sul finire del suo bel libro, il più solido e maturo di quanti sinora inventati, orchestrati, Manuel Olivares sciorina in sequela una fervida e fervorosa ridda d’interrogativi… Ma è giusto che la risposta – le possibile risposte – ancora non si osi scriverle, forgiarle, sillabarle. È giusto che semmai ci restino, ci leniscano e guidino dentro, da dentro, come magari non i sociologi ma certo gli artisti, i poeti (Manuel è in fondo entrambe le cose, certo non si ferma alle pur agili, aggiornate e strategiche indagini su L’impero di Cindia d’un ottimo giornalista come Federico Rampini, cultore della materia) riescono alcune volte a dipingere, o intonare: Da dove veniamo? Chi siamo? Dove andiamo? – sentenziava Paul Gauguin… Era il suo massimo, vero “esotismo” interiore (sintetismo, fu anche detto): questa nudità di concetti, questa bellezza d’ipotesi e rifrangenze, questa rifioritura di idoli “barbari” che porta con lui il simbolismo a un rapinoso e cadenzato stato di grazia, alla scomposizione ritmica dei motivi alla maniera delle stampe colorate giapponesi…
«… In generale, trovo interessanti gli accostamenti di Jasmuheen tra le diverse frequenze di onde cerebrali ed alcuni “stati di coscienza”. Credo possa essere una buona chiave, a prescindere dal tipo di alimentazione che si sceglie di avere, “ordinaria” o “divina”.
Jasmuheen accosta le frequenze delle onde Beta alla “coscienza di massa” ed alla lotta per la sopravvivenza. Le onde Alfa alla “coscienza meditativa”, alla ricerca di prosperità cui si affianca una ricerca introspettiva di senso e di autentica identità. Accosta le onde Theta ad una “coscienza unificata”, propria di chi è oramai soddisfatto e prospero e si può permettere di sostituire il senso dell’io con quello del “noi”. …»
La Via Lucis di Manuel – che Manuel ci addita – è infatti tanto e tale insistere e gravitare su questo inclinato (sbilenco, sembrerebbe talvolta) asse terrestre di meditazione e apprendimento, avvitata e rotante autocoscienza che scorre e resta, vale e si stempera, spegne e s’infiamma, si radica e già vola non verso il cielo ma verso se stessa, dentro il cielo tempestoso e immobile con cui d’azzurro ci abbracciamo, la Luce che ci tiene all’oscuro, c’incatena perfino all’abbaglio – e poi, poi, ma solo quando anche lei lo vuole, vince e redime in pace anche il buio.
Plinio Perilli