Razzismi mal mascherati; l’Asia come nemico

A cura di Silvio Marconi, autore di Quando una farfalla batte le ali in Cina
Prima di affrontare il tema di come il razzismo anti-asiatico si sia sviluppato in Occidente e caratterizzi ambiti che, come scopriremo, sono ben più ampi di quelli espliciti, occorre fare qualche considerazione sul concetto stesso di Asia. Va innanzi tutto detto che nessuna cultura asiatica ha mai elaborato il concetto di “Asia”, ossia che gli “Asiatici” fino a tempi recenti (ossia finché non sono stati oggetto delle influenze occidentali!) non si sono mai definiti tali né hanno mai avuto una denominazione che corrispondesse a quella che noi usiamo di “Asia”.
Come molti altri termini e concetti “Asia” deriva da un uso greco, poi modificato. I Greci erano soliti classificare regioni e popoli esterne all’Ellade in modi del tutto arbitrari; così se per i Greci l’“Etiopia” (letteralmente “terra dei bruciati”) indicava genericamente tutta l’Africa da loro conosciuta a Sud dell’Egitto e “Libia” quella ad Ovest dell’Egitto, se la “Fenicia” (letteralmente “terra del rosso” connessa con la porpora) comprendeva le terre della costa siro-palestinese abitate da genti diverse fra loro (e furono gli intellettuali occidentali moderni a credere che esistesse un popolo omogeneo dei “Fenici”…), l’“Asia” è il termine (forse connesso etimologicamente con l’Est ed il sorgere del sole) che Erodoto utilizza nel V secolo a.C. relativamente solo alle regioni fra l’Anatolia e la parte occidentale di quello che allora era l’Impero Persiano. Va subito notato che la Fenicia non era considerata parte dell’Asia e non ne faceva parte concettualmente, neppure quella che le culture ellenistiche posteriori chiamavano “India”, ai cui limiti giunse Alessandro Magno. E’ nell’Occidente ellenizzato/romanizzato che il concetto di “Asia” si dilata, con limiti sempre più ampi ed altrettanto sempre più vaghi.
Certamente non è concetto antico che l’Asia giunga fino all’Oceano che gli Occidentali chiamarono “Pacifico” sulla base della scelta denominativa compiuta dal portoghese Magellano solo nel 1520, né tantomeno che il confine tra Asia ed Europa si trovi sui Monti Urali, il cui nome è stato usato solo a partire dalla fine del XVI secolo dai Russi, usando un termine tratto da lingue locali, e sul Caucaso, termine che, invece, è di nuovo di origine greca antica (V secolo a.C.), grazie alle conoscenze geografiche acquisite dai greci nelle loro colonie commerciali sul Mar Nero.
Questa scarsa definizione originaria, che peraltro vale anche per il concetto di “Europa”, sempre di origine greca, riferito all’Ovest ed al tramonto del sole), è stata utile per realizzare una triplice operazione ideologica nel corso dei secoli. La prima è stata quella di attribuire una origine genericamente “asiatica” alle invasioni, ovviamente “barbariche” che colpirono vaste aree dell’Europa a partire dall’Alto Medioevo; sebbene in queste invasioni (specie in tarda età romana) un ruolo importante lo ebbero anche popolazioni germaniche (spesso, però, come risultato di un “effetto domino” generatosi assai più ad Est…), dagli Unni ai Mongoli ed ai Tartari i peggiori modelli di “atrocità barbarica” nelle cronache antiche, medievali e rinascimentali occidentali sono tutti “asiatici”, al punto che l’associazione “barbarie”/”Asiatici” divenne automatica, grazie a racconti, ad affreschi, a cronache, a preghiere, a prediche ecclesiastiche. Il che non impediva ai papi, ad esempio all’epoca del viaggio nel Kathai dei Polo, a cavallo fra XIII e XIV secolo, di sperare di poter utilizzare i lontani sovrani mongoli contro il ben più pressante e vicino pericolo islamico. Naturalmente, anche i musulmani erano visti come “figli dell’Asia”, facendo un po’ di confusione quando essi in effetti venivano dal Nordafrica, specie nella lunghissima fase della lotta contro l’Impero ottomano, e si attribuiva loro una caratteristica che tipizzò gradualmente in Occidente tutti gli “Asiatici”: il rapporto diretto col Demonio!
Sorse, nel secolo XVII-XVIII, un problema: quella Russia che pure Pietro il Grande (1672-1725) aveva proiettato in molti modi verso Occidente, anche con la creazione della nuova capitale, San Pietroburgo, stava espandendosi in Siberia, che all’epoca i geografi occidentali consideravano già “Asia”, e raggiungeva il Pacifico, assai prima che sull’altra costa i coloni europei facessero altrettanto in Nordamerica. L’Occidente europeo sette-ottocentesco oscillò così sempre fra due atteggiamenti, che rappresentano la seconda operazione fatta con il concetto di “Asia, e che sono solo apparentemente opposti. Il primo consiste nel considerare la Russia come parte integrante dell’Europa e ciò avvenne ad esempio sul piano delle alleanze antinapoleoniche come anti-hitleriane; il secondo consiste invece nel rigettarne il carattere europeo e sottolinearne l’“asiaticità”, elemento essenziale per alimentare una Russofobia millenaria, nata e promossa dalla Chiesa cattolica dopo la frattura con la Chiesa ortodossa, iniziata nel XIII secolo ma cristallizzatasi nel XV, e che vide poi il Mondo Germanico nelle sue varie versioni (cattolici e protestanti tedeschi, cattolici austriaci) come attore principale.
E’ quella russofobia che si manifesta ad esempio nel fatto che in occasione della Guerra di Crimea (1853-1856), che vide contrapposta ai Russi un’alleanza formata da Impero Britannico, Impero Ottomano, Francia e Regno di Savoia, la Chiesa cattolica esplicitamente sostenne che i Russi ortodossi erano “nemici della Vera Fede più dei maomettani turchi” e “figli della barbarie asiatica” più di loro! Ogni volta che serve di rigettare la Russia in Asia si evidenzia il ruolo che ebbe il periodo del dominio tartaro sulle pianure e le città russe nel medioevo, come radice della presunta “barbarie asiatica” dei governanti di quelle terre, da Ivan il terribile a Pietro il Grande, a Stalin e, perché no, a Putin. Tutte le raffigurazioni dei Russi come feroci invasori, pericolosi nemici, barbari assetati di sangue, da quelle di epoca asburgica a quelle nazifasciste a quelle democristiane italiane del 1948, a quelle della destra radicale Usa attuale e dei loro mercenari ucraini eredi dei collaborazionisti dei nazisti (e quindi indipendentemente dal regime in Russia) raffigurano il russo sempre con fattezze mongoliche, che ben difficilmente si trovano fra i moscoviti originari, fra gli abitanti di Kharkov, fra i cittadini di San Pietroburgo, Pietrogrado o Leningrado che dir si voglia, che pure rappresentano una fetta maggioritaria della popolazione russa in tutta la Storia.
Sarebbe particolarmente divertente, se non se ne conoscessero le conseguenze nell’immaginario collettivo, notare che la sfericità della Terra fa si che per gli Statunitensi la Russia “europea”, quella ad Ovest degli Urali, sta effettivamente “ad Oriente” ma la Russia della costa pacifica, ad esempio di Vladivostok, si trova invece “ad Occidente” degli USA, eppure è percepita come “Orientale” perché “Asiatica” e l’Asia per definizione eurocentrica “sta ad Est”!
La terza operazione è più scopertamente razzista: tutto quello che è “asiatico” (e per definizione “non bianco” anche quando come i Cinesi era considerato “bianco” fino ad oltre il rinascimento o, come i Russi, ha fattezze esclusivamente asiatiche solo nella propaganda occidentale e non nella realtà) è inferiore, in tutti i sensi, nonostante i millenni di civiltà e gli apporti che le società di quella che oggi chiamiamo Asia hanno dato in misura preponderante all’Umanità, dai numeri indiani all’algebra araba, dalla seta cinese all’architettura dei giardini paradiso iranici, dalla polvere da sparo cinese agli scacchi indiani, dal Buddhismo, dall’Induismo e…dall’Ebraismo e dal Cristianesimo a centinaia di scoperte ed invenzioni piante e cibi, addomesticamenti di animali e cognizioni astronomiche, ecc… Centomila morti in un’alluvione nel Bengala o in un terremoto in Sichuan valevano al tempo delle prime gazzette a stampa occidentali come nell’epoca del web e della TV meno di dieci escursionisti travolti da un’alluvione in Calabria, mille persone di fede musulmana trucidate da terroristi che si autodefiniscono “islamici” valgono meno di una decina di morti uccisi dagli stessi terroristi in una capitale non-asiatica (e non-africana), i crimini inenarrabili compiuti dagli imperialisti nipponici in Cina contro milioni di Cinesi valgono meno dell’epopea dei prigionieri occidentali martoriati da quegli stessi Giapponesi e di cui resta una immagine notissima nel film Il ponte sul fiume kwai, mentre nessun Occidentale ha mai visto un film sulle donne coreane e cinesi rese schiave sessuali, sul massacro di Nanjing, ecc. e meno ancora sui massacri, gli stupri, i saccheggi, le devastazioni compiute in Cina dai Britannici durante le Guerre dell’Oppio o da Tedeschi, Britannici, Italiani, Giapponesi, Francesi, ecc. durante la repressione della Rivolta dei Boxer.
Una delle conseguenze di questa strategia del doppiopesismo che valuta l’Asia e gli Asiatici enormemente meno dell’Occidente e degli Occidentali e della collocazione stereotipata della stessa Russia nel canestro della “barbarie asiatica” è la deformazione totale della storia della Seconda Guerra Mondiale che viene insegnata nelle nostre scuole e soprattutto presentata in infinite trasmissioni TV, film, fumetti, commemorazioni.
Innanzi tutto, già far credere che la Seconda Guerra Mondiale sia scoppiata solo al momento dell’invasione nazista della Polonia (1 settembre 1939) è un mezzo falso storico. Una delle potenze dell’Asse, l’Italia, aveva già intrapreso la Guerra coloniale contro l’Etiopia nel 1935 e, assieme con la Germania nazista, era intervenuta a dare un appoggio determinante al colpo di stato franchista contro la legittima Repubblica Spagnola nel 1936, la terza potenza dell’asse, il Giappone, aveva già attaccato la Manciuria cinese nel 1931 e soprattutto aveva iniziato la sua maggiore aggressione contro la Cina nel 1937. Tutte le tecniche che si rivedranno a Varsavia, Coventry, Kiev, Oradour, Marzabotto, Pearl Harbor, Roma, ecc. sono già presenti in quelle aggressioni: il bombardamento terroristico dei civili (ad esempio quello nazista su Guernica e fascista su Barcellona nella Guerra Civile Spagnola, quello di Shanghai e Nanjing in Cina, ecc.), il massacro di civili innocenti e di oppositori, i campi di concentramento e di distruzione di masse umane (Spagna, Etiopia, Cina) con relativi esperimenti scientifici inumani (Giapponesi), il mitragliamento aereo di colonne di profughi (Etiopia, Cina, Spagna), le torture sistematiche, l’intervento internazionale, la fucilazione di ostaggi, ecc.
In secondo luogo, anche restringendo l’attenzione agli anni della Seconda Guerra Mondiale “ufficiale” (1939-1945), si assiste ad una minimizzazione non casuale del ruolo e delle sofferenze di Cina e Russia, proprio perché accomunate dall’essere considerate…asiatiche!
In quel conflitto la Cina perse circa 19,6 milioni di persone (15,6 milioni di civili), l’Unione Sovietica perse circa 27 milioni di persone, di cui almeno 16 milioni civili; per fare un paragone un paese occupato come la Francia perse 0,5 milioni di persone (250.000 civili), la Gran Bretagna 390.00 persone (60.000 civili), gli USA 413.000 persone (8.000 civili), l’Italia 457.000 persone (138.000 civili), l’aggressore tedesco 6,8 milioni di persone (3,6 milioni di civili), l’aggressore giapponese 2,6 milioni (700.000 civili). In un solo giorno di bombardamenti aerei nazisti su Stalingrado morirono 40.000 persone, più dei morti per bombardamenti in un anno in Gran Bretagna, nel solo massacro degli Ebrei a Babij Jar (Kiev), perpetrato dai nazisti e dai collaborazionisti ucraini, vennero trucidate oltre 37.000 persone, il 30% in più della somma di tutti i trucidati dai nazisti in Italia e Francia messe assieme, mentre nel solo massacro nipponico di Nanjing perirono quasi 400.000 Cinesi, pari a tutti i caduti civili britannici nel conflitto in oltre 5 anni di guerra.
Durante la guerra, i Cinesi affrontarono il 40% dell’intera forza terrestre giapponese, i Sovietici il 75% (in alcune fasi il 90%) delle truppe nazifasciste, distruggendo oltre il 70% delle divisioni di Hitler e dei suoi alleati; la marcia dell’Armata Rossa da Mosca a Berlino è 4 volte più lunga di quella dalla Normandia all’Oder compiuta dagli Angloamericani e mentre nello sbarco in Normandia furono impiegati circa 140.000 soldati (prima ondata), nella sola battaglia di Kursk i Sovietici impiegarono oltre 1,3 milioni di uomini (perdendone più di 300.000), mentre alcune decine di migliaia di francesi perirono per la fame e gli stenti a causa dell’occupazione hitleriana, soltanto nei 900 giorni dell’assedio nazifascista a Leningrado ne morirono per lo stesso motivo circa 900.000.
Ma c’è di peggio: è facile prendersi gioco del sottosviluppo della Cina negli anni ’40 e ’50 e delle immense difficoltà economiche ed abitative dell’URSS postbellica se non si tiene conto che ad esempio, oltre alle perdite umane, le zone dell’URSS e della Cina occupate dagli invasori videro un livello di distruzione incomparabile con quello dei Paesi occidentali occupati; solo in Ucraina e Bielorussia vennero distrutti totalmente oltre 11.000 cittadine e città medie, 47.000 villaggi e fattorie, tutte le reti ferroviarie, rapinato tutto il bestiame, distrutte scuole, ospedali, fabbriche e la ricostruzione necessitò decenni perché si dovette ripartire da zero. Anche in Cina vennero distrutte intere città, fatte saltare dighe, distrutte risaie e fabbriche, sterminati gli animali che non potevano essere rapinati, tagliati sistematicamente i gelsi, ma il livello di distruzione che patì l’URSS non ha eguali neppure all’epoca dei Tartari e si trattava di un Paese che solo un quindicennio prima aveva sofferto le devastazioni della Guerra Civile. Perfino le terribili distruzioni che città come Milano, Napoli, Amsterdam, Caen, Londra dovettero subire ed i danni ingenti alle infrastrutture stanno in proporzione alle distruzioni in Cina e soprattutto in URSS come un omicidio sta ad una strage.
In compenso, gli unici danni negli USA furono quelli a Pearl Harbour e alla fine della guerra l’economia americana era ovviamente fiorente grazie alla produzione bellica, al fatto che nessuna infrastruttura o fabbrica era stata distrutta, che enormi debiti vincolavano la Gran Bretagna agli USA!
Si noti che nell’immaginario collettivo occidentale non sussiste una altrettanto grave sottovalutazione per i terrificanti sacrifici e le terribili distruzioni patite ad esempio dalla Polonia, che ebbe 5,6 milioni di morti, di cui ben 5,5 milioni civili, e che vide la sua capitale completamente distrutta dai nazisti, e ciò anche quando la Polonia entrò a pieno titolo nel campo dei “paesi dell’Est”: ma la Polonia era ed è considerata completamente europea, mentre la Cina era ed è “asiatica” e la Russia (e più ancora l’URSS, con le sue Repubbliche centrasiatiche!) era ed è considerata erede dei Mongoli ed “asiatica” anch’essa, nonostante che le radici storiche delle sue capitali (tutte ad Ovest degli Urali…) siano semmai slave e vichinghe!
Chopin agli occhi dei figli del romanticismo occidentale, coevo del peggior fiorire del nazionalismo occidentale, del colonialismo e del “razzismo scientifico” (e collegato ad essi), vale certo più di Shostakovich e poi…la Polonia è cattolica (che la maggior parte dei massacrati fossero Ebrei è dato che viene rimosso, tranne per le commemorazioni dell’Olocausto…), la Russia quando non è “atea e boslcevica” è ortodossa, erede di quella che nel 1853 era considerata “minaccia alla Vera fede più dei Turchi musulmani”! Chi non conosce Auschwitz–Birkenau? Chi non sa che in luoghi simili o a Sobibor, Treblinka, Majdanek i nazisti (con l’entusiasta partecipazione di tanti Ucraini e Baltici collaborazionisti, oggi onorati dai rispettivi governi!) effettuarono la “soluzione finale del problema ebraico”, oltre a massacrarvi tanti deportati politici, prigionieri di guerra sovietici, rom, omosessuali, ecc.?
Ma quanti hanno sentito invece parlare del Massacro di Nanjing della “unità 731” dell’esercito nipponico che in Cina fece “esperimenti” su cavie umane che fanno impallidire quelli di Mengele, del massacro di milioni di Ebrei, comunisti, soldati dell’Armata Rossa da parte dei gruppi speciali tedeschi (Einsatzgruppen) con l’appoggio di SS, Wehrmacht e dei collaborazionisti, o lasciati crepare per fame (almeno 1,3 milioni sui 3,3 milioni di prigionieri di guerra sovietici morti in mano nazista) anni prima che le camere a gas iniziassero a funzionare nei lager? Quelli sono “Asiatici” per la propaganda russofoba di ieri e di oggi, anche se magari erano nati Kiev o a Rostov, anche se erano più biondi di tanti dei loro carnefici tedeschi, anche se non erano magari mai stati un solo giorno ad Est degli Urali… Quelli erano “Asiatici”, come lo erano certo ancor di più Coreani e Cinesi e se il Giappone, reintegrandosi grazie alla Guerra Fredda nella compagine occidentale, di cui peraltro aveva già fatto parte dalla Guerra contro la Russia del 1905, dalla partecipazione alla repressione della Rivolta dei Boxer in Cina, dalla Prima Guerra Mondiale (quando fu alleato dell’Intesa), può permettersi di far dimenticare un po’ di essere “asiatico” e, nel secondo dopoguerra, di onorare giustamente le vittime di Hiroshima e Nagasaki e quelle del bombardamento incendiario terroristico di Tokio (che fece più morti delle atomiche) da parte degli USA, solo Cina e Corea non fanno a meno di ricordare l’abisso di infamia che quel Giappone ha prodotto, alleato di Germania ed Italia, nei loro Paesi. Ma si sa, loro sono “Asiatici”, come le decine di migliaia di Filippini e Birmani morti di stenti come schiavi dei Giapponesi e che nessun film di successo ricorda agli Occidentali…
Loro sono “Asiatici”, soprattutto sono “loro”, mentre “noi” siamo “noi”, secondo i razzisti espliciti o mal mascherati…
I libri di Silvio Marconi
Uno studio che, lungi dall’avere un obiettivo “enciclopedico” o di minuziosa analisi storica, vuole evidenziare quelle connessioni e correlazioni – tradizionalmente taciute e rimosse – tra i fenomeni ed i processi che portarono alla crisi ed al crollo dell’Impero Romano d’Occidente e quelli operanti in un’Asia la cui complessa storia viene, tuttora, sottovalutata.
Quando una farfalla batte le ali in Cina si sofferma sul ruolo che, nella crisi e nel crollo dell’Impero Romano d’Occidente, ebbero tanto la Persia quanto, indirettamente, la Cina, dimostrando come il pregiudizio etnocentrico che ancora permea la formazione, la divulgazione e la costruzione dell’immaginario occidentale sia un pernicioso ostacolo a una comprensione di ben più ampio respiro e alla lezione metodologica che ne se ne può trarre.
In questa prospettiva, il riconoscimento di una molteplicità di poli e fattori transculturali è la precondizione per affrontare qualsiasi problematica: storica, politica, economica o strategica.
Una precondizione troppo spesso, volutamente, ignorata da una cultura occidentale che, a differenza di quelle orientali, ha rifiutato la logica olistica privilegiando un approccio molto settoriale.
Silvio Marconi – ingegnere, antropologo, operatore di Cooperazione allo sviluppo, Educazione allo Sviluppo e Intercultura – fa ricerca, da anni, nell’ambito dell’antropologia storica e dei sincretismi culturali. Ha pubblicato, al riguardo: Congo Lucumì (EuRoma, Roma, 1996), Parole e versi tra zagare e rais (ArciSicilia, Palermo, 1997), Il Giardino Paradiso (I Versanti, Roma, 2000), Banditi e banditori (Manni, Lecce, 2000), Fichi e frutti del sicomoro (Edizioni Croce, Roma, 2001), Reti Mediterranee (Gamberetti, Roma, 2002), Dietro la tammurriata nera (Aramiré, Lecce, 2003), Il nemico che non c’è (Dell’Albero/COME, Milano, 2006), Francesco sufi (Edizioni Croce, Roma, 2008), Donbass. I neri fili della memoria rimossa (Edizioni Croce, Roma, 2016).
Prezzo di copertina: 18 euro Prezzo effettivo: 15.5 euro