Quel che i razzisti vogliono ignorare: l’intreccio fra antisemitismo, antiasiatismo e russofobia

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Quel che i razzisti vogliono ignorare: l’intreccio fra antisemitismo, antiasiatismo e russofobia

Riprendiamo oggi a condividere i contributi del nostro autore Silvio Marconi.

Buona lettura!

 

L’antisemitismo è assai più antico del razzismo “scientifico” e ne costituisce una delle sorgenti, dato che proprio contro gli Ebrei (ed i marranos, ossia gli Ebrei forzatamente convertiti al Cattolicesimo), oltre che contro i Musulmani (ed i moriscos, ossia i musulmani convertiti forzatamente al Cattolicesimo) venne elaborata, a cavallo fra XVI e XVII secolo in Spagna, la teoria della limpieza de sangre che considerava sudditi a pieno titolo del regno di Spagna solo coloro che potessero dimostrare (in effetti quasi sempre con documenti contraffatti acquistati a caro prezzo) di avere solo puri Cattolici nelle quattro generazioni ascendenti (due in più di quelle richieste dalle leggi naziste per catalogare un “ariano”!). Quell’antisemitismo era presente e resterà presente nel cuore stesso della Chiesa per secoli, prima e dopo la sua trasformazione da fatto di discriminazione, persecuzione, odio religioso a fatto di biologizzazione dell’alterità in senso proto razziale. Apparentemente, l’antisemitismo non ha nulla a che vedere con quella tendenza che, per contribuire a legittimare l’aggressione e la rapina coloniale occidentale contro i popoli asiatici (come avviene anche rispetto a quelli africani), costruisce la concezione di un’appartenenza di quei popoli ad una “razza” diversa da quella europea e inferiore ad essa. Altrettanto inesistente, in apparenza, è la correlazione fra antisemitismo e russofobia, che, come si è spiegato negli articoli precedenti, ha invece una chiara interazione con il razzismo antiasiatico nella pratica occidentale di ascrivere la Russia all’area della “barbarie asiatica”. Tanto più che proprio nella Russia zarista si ebbero fenomeni di antisemitismo feroce, che sfociarono ripetutamente in atroci pogrom, ossia in stragi di Ebrei nei villaggi. Però l’antisemitismo in Russia ha avuto caratteristiche religiose e non “razziali”: gli Ebrei erano odiati (un odio alimentato da ambienti del potere che lo usano per deviare come sempre su un capro espiatorio la rabbia degli oppressi) perché considerati un nemico della Chiesa Ortodossa, che infatti mai condannò le stragi che li vedono vittime e non perché ritenuti appartenenti ad una “razza” diversa; semmai, nel XIX secolo ed all’inizio del XX gli ambienti zaristi ed i servizi segreti russi vedono negli Ebrei una “quinta colonna” dell’Occidente e delle tendenze rivoluzionarie in esso presenti, da quelle liberal-illuministiche a quelle anarchiche,  a quelle socialiste, senza fare troppe distinzioni!

In realtà i collegamenti esistono e si accentuano dopo il 1917, anno in cui in Russia due Rivoluzioni portano prima alla caduta dello zar e poi alla nascita di uno Stato guidato dai bolscevichi. Già prima di quella data, gli ambienti più reazionari francesi, britannici, statunitensi e soprattutto tedeschi avevano cominciato ad applicare le teorie razziste alla lotta di classe, collegando il tutto con l’affermarsi di terribili teorie eugenetiche, e lo facevano certo distorcendo il Darwinismo, ma anche a partire da alcune considerazioni già presenti proprio nel pensiero di Darwin circa l’applicabilità anche alle società umane del meccanismo della selezione naturale fra specie animali, dove il debole deve soccombere al più forte, ossia al meglio adattato all’ambiente; teorie che erano del resto diventate, fin dal XIX secolo, la base per molti intellettuali occidentali per affermare l’ineluttabilità e quindi la giustezza dell’eliminazione delle “razze inferiori” da parte dell’”Uomo Bianco”, destinato a popolare da solo in futuro il Pianeta. Che quella eliminazione avvenisse gradualmente per “estinzione dinanzi al progresso”, come sostenevano alcuni, ovvero più rapidamente grazie a meccanismi che andavano dalla diffusione (naturale o indotta) di malattie all’affamamento, dalla ghettizzazione allo sfruttamento, dalla strage al genocidio era argomento di dibattito dotto ma l’ineluttabilità e positività sul piano evolutivo di tale processo era messa in discussione da pochi intellettuali dell’epoca. Questa concezione venne presto estesa, anche assumendo le logiche di Lombroso sulla trasmissione ereditaria della devianza criminale, ai comportamenti “devianti” delle classi subalterne occidentali, a cui si doveva applicare la stessa processualità di discriminazione, esclusione, riduzione numerica; così avvenne nella repressione della Comune di Parigi (a cui plaudivano anche spiriti come Zola), che ebbe caratteristiche tipicamente razziste, dato che bastava avere le mani callose da operaio per essere avviati ai luoghi di massacro o alla deportazione in Nuova Caledonia. Oltre 40.000 Parigini vennero trucidati e non come si crede in modo sregolato nelle strade, ma rastrellandoli, avviandoli in gruppi in centri di raccolta e selezione, affidandoli qui a squadre speciali di fucilatori o indirizzandoli a centri di detenzione in attesa della deportazione, esattamente secondo la procedura (come nota Enzo Traverso nel suo La violenza nazista. Una genealogia; Il Mulino, Bologna, 2002) che verrà perfezionata un secolo dopo dai nazisti.

All’epoca si cominciò a riprendere alcune teorie antecedenti alla Rivoluzione Francese sul fatto che plebe e nobiltà costituivano “razze” diverse (ecco cosa si intende quando si parla per i nobili di “sangue blu”…) e le si applicarono a proletariato e borghesia, mentre intanto si compiva il passo ulteriore di negare carattere pienamente umano ai malati mentali ed agli handicappati in quanto improduttivi, tanto che ben prima del loro sterminio nazista nell’Aktion T4, fra il 1907 e il 1913 vari Stati degli USA (fra cui Indiana, Washington, California, Dakota, Wisconsin) ne iniziarono a praticare per legge la sterilizzazione forzata e ciò avveniva negli anni ’20 anche in Svezia, Norvegia, Danimarca e Svizzera, mentre insigni studiosi ne auspicavano la semplice soppressione.

Soprattutto dopo che la Rivoluzione Francese aveva liberato gli Ebrei occidentali dalle catene delle norme antisemite, la partecipazione di persone di religione ebraica ed ancor più di origini familiari ebraiche alle lotte risorgimentali, ai sommovimenti sociali, alle rivoluzioni, alla costruzione di concezioni e di organizzazioni socialiste ed anarchiche fu significativa e questo favorì negli ambienti reazionari, bigotti, controrivoluzionari e anche in larghi strati di liberalismo borghese la identificazione dell’Ebreo con il sovversivo esponente delle classi popolari (anche quando in effetti si trattava di intellettuali e figli della borghesia): le teorie razziste fecero il resto e quindi si vide un connubio quando non una identificazione fra “razza ebraica” e “razza plebea”, entrambe scorie della società ordinata e civile, ossia elementi di barbarie assimilabile a quelle africana ed asiatica e da trattare con le stesse tecniche di controllo, soggiogamento e annientamento. Tanto più che la presunta degenerazione fisica e morale degli Ebrei veniva fatta coincidere con il fatto che essi, per secoli, erano stati in ghetti europei in condizioni simili a quelle dei plebei (salvo poi invece identificarli con la “finanza ebraica”, ma le contraddizioni in sistemi di pensiero basati sul falso non creano problemi…!) e quindi come i plebei erano oggetto di degenerazione evolutiva; un’idea tanto diffusa che venne ripresa perfino da alcuni dei primi esponenti del Sionismo, che nell’elencare i motivi per creare uno Stato Ebraico in Palestina indicavano quello di costruire le condizioni per “invertire” quella degenerazione degli Ebrei (che quindi consideravano reale!) e dar vita a un “tipo nuovo” di Ebreo, coltivatore, soldato e produttivo!

Nel 1917 la Rivoluzione bolscevica favorì indirettamente una ulteriore saldatura nelle menti e nelle pratiche reazionarie occidentali: la “barbarie ebraica”, la “barbarie plebea” si univano infatti alla “barbarie asiatica” a cui la Russia veniva già fatta appartenere da secoli! Si inventa in quel momento, assai prima che fascismo e poi nazismo assumano il potere, un concetto che avrà enorme fortuna nel fascismo e nel nazismo e che troveremo non solo nella propaganda ufficiale dei due regimi (e di tutti quelli ad essi simili) ma ad esempio nelle lettere sia dei soldati della Wehrmacht che di quelli italiani sul fronte russo dal 1941 (spacciati in blocco per “Italiani brava gente”): il “giudeobolscevismo”; Ebrei e comunisti sono fra loro identificati, ad esempio nel famoso “Ordine dei Commissari” con cui il vertice della Wehrmacht (si badi, non delle terribili SS ma della “buona” Wehrmacht!!!) ordinava alle truppe di eliminare sul posto fra i combattenti sovietici catturati gli Ebrei e i Commissari politici, anzi si afferma che il bolscevismo non è che una invenzione ebraica, uno strumento della dominazione ebraica del Mondo come la finanza internazionale, una tesi non a caso cara anche ai “fascisti del Terzo Millennio” italiani attuali.

Occorre a questo punto sottolineare qualcosa che spesso sfugge nella stessa analisi dell’Olocausto come pure delle politiche naziste verso le genti slave; l’idea che le “razze inferiori” dovessero essere soggiogate, schiavizzate, gradualmente sostituite da coloni occidentali non è affatto invenzione hitleriana, bensì era diffusa già dal XIX secolo in tutte le potenze coloniali e fondava pratiche conseguenti, dalle Pianure nordamericane al Congo, dall’India all’Indonesia, ecc. L’innovazione tedesca è che dopo la Prima Guerra Mondiale la Germania perde tutte le sue colonie (dove aveva praticato tale idea senza alcun orrore degli altri Europei) e decide che le sue “colonie” sono quelle verso cui già si realizzò la spinta espansiva nel Medioevo: le terre slave, valorizzando ed esaltando come radici tradizionali e positive le concezioni e le pratiche di genocidio e colonizzazione che in quel Medioevo avevano sviluppato i Cavalieri Teutonici ed applicando nell’Est Europa le concezioni e le tecniche che le altre potenze avevano usato nelle loro colonie extraeuropee.

Già nel 1918 i Tedeschi progettano di usare ed iniziano ad applicare tali concezioni nelle regioni che ottengono dalla Russia con la pace di Brest Litovsk (Polonia Orientale, Bielorusia, Ucraina, terre baltiche): asservimento, affamamento, deportazione e sterminio degli Slavi e colonizzazione con genti di origine germanica, ma la sconfitta degli Imperi Centrali alla fine del 1918 impedisce che ciò avvenga pienamente, sebbene le formazioni tedesche di estrema destra  che continuano a lottare dopo l’Armistizio in quelle terre (i famosi Freikorps) saranno non solo la punta di diamante della repressione che i governi socialdemocratici della Repubblica di Weimar useranno fra il 1919 e il 1921 contro i moti bolscevichi in Germania, ma la parte significativa delle future formazioni naziste, a cui trasferiranno concezioni ed esperienze pratiche. Nel 1918, un Thomas Mann che in futuro diverrà un conseguente oppositore del nazismo scrive che la Rivoluzione Russa è figlia del miscuglio fra l’azione dell’intellettualità ebraica e della “subumanità misticheggiante slava” e Churchill gli fa eco da Londra; in quegli anni si diffonde un’idea che i vari poteri che si succederanno in Germania useranno fino al crollo del nazismo ed in parte oltre: le genti slave e specificamente i Russi sono asiatiche e perciò di “razza inferiore” e non sarebbero mai state in grado da sole di elaborare e condurre una rivoluzione bolscevica senza l’azione dei cospiratori intellettuali ebrei! Allo stesso tempo, una rivoluzione bolscevica, a cui come si è visto si attribuisce una matrice totalmente ebraica, non poteva avere alcun successo in Paesi occidentali, abitati da popoli “civili, superiori” ma solo nella Russia popolata da una “razza subumana asiatica”!

Questi saranno i messaggi veicolati dalla propaganda nazista e fascista nel 1941 per incitare le truppe di invasione tedesche, italiane, ungheresi, rumene, finlandesi ad aggredire l’URSS ed a introiettare il concetto che la guerra sul fronte russo non ha nulla a che vedere con quella sul fronte occidentale, non deve rispondere ad alcuna norma internazionale ed è guerra di annientamento per la conquista dello “spazio vitale tedesco”,  ma saranno ancora gli argomenti usati dalla propaganda nazista nel febbraio-marzo 1945, coi Sovietici ormai dentro i confini storici della Germania, per alimentare la resistenza disperata delle truppe tedesche, chiamandole a respingere quella che viene letteralmente definita “l’orda asiatica subumana guidata dai giudeobolscevichi” e ricordando testualmente che “giammai gli Asiatici hanno vinto gli Europei nella Storia”.

Dunque, le teorie, le concezioni ideologiche, i piani di conquista, schiavizzazione e sterminio, la propaganda, la pratica quotidiana coincidono nel costruire un triangolo Ebrei-Russi-Asiatici come realtà da annientare totalmente e questo se nel nazifascismo assume caratteri industriali e moderni, non nasce col e nel nazismo ma prima, almeno decenni prima, e affonda le sue radici nelle teorie eugenetiche, nel darwinismo sociale, nell’antisemitismo clericale, nella biologizzazione della lotta di classe, nella russofobia ed ortodossofobia, nella legittimazione dei genocidi coloniali dei secoli precedenti. Ecco quindi che tre elementi che potevano apparire fra loro estranei come razzismo antisemita, razzismo antiasiatico e razzismo slavofobo hanno qualcosa di più oltre al fenomeno razzista in comune e ce l’hanno proprio a partire dal nodo geopolitico, umano, culturale, storico russo: è la russofobia l’elemento che collega il resto, è la Russia, assieme agli Ebrei, il vero nemico “razziale” dell’Occidente razzista, e lo è in quanto Stato che rappresenta, difende, influenza i popoli slavi, che sono appunto considerati “subumani asiatici”. Che alcuni di quei popoli, in primo luogo quello polacco, abbiano aderito al Cattolicesimo (con eccezioni luterane, in alcune fasi, nel Nord…) e quindi non siano assimilabili al nemico giurato millenario della Chiesa Cattolica e del suo braccio armato germanico, ossia la Chiesa Ortodossa, sarà fattore che verrà rimosso solo dai nazisti, che ben poco si interessavano alle logiche cattoliche e per i quali una Polonia per di più ospitante un numero assai rilevante di Ebrei non meritava in quanto cattolica un destino diverso da quello dei Russi ortodossi o atei; nelle fasi prenaziste i Polacchi non venivano considerati alla stregua dei Russi dai Tedeschi e tanto meno dagli Austriaci (che pure non ebbero alcun problema a spartirsi con lo zar il territorio polacco…), tanto che nella Prima Guerra Mondiale, quando le truppe del Kaiser  entrarono in Polonia non praticarono specifiche violenze né contro i Polacchi cattolici né contro quelli di religione ebraica, paragonabili a quelle del 1918 in Bielorussia, Ucraina e Paesi Baltici, al punto che molti Polacchi nel 1939 si illusero che la nuova occupazione tedesca sarebbe stata altrettanto “civile”.

Chiunque, si tratti di un “democratico” europeista, di un nazionalista di destra russo, di un neonazista ucraino finanziato dalla democratica Unione Europea, di un antifascista russofobo, di un estremista islamofobo sionista, di un nazionalista polacco, di un autodefinito “comunista” antisemita, creda o faccia finta di credere o voglia che altri credano di poter ripudiare uno dei tre elementi di quel triangolo, di quella triade di odio fondato sul falso, accettando gli altri, finisce in realtà per rafforzare tutto quel tripode nefando che ha provocato nel nostro continente qualche decina di milioni di morti e di cui il ventre che lo partorì, come ammoniva Brecht, è sempre fertile, da Kiev a Marsiglia, da Trieste ad Atene, da Budapest a Riga, da Monaco di Baviera a Madrid.