Quel che i razzisti vogliono ignorare: le omogeneità fittizie

Posted in Blog

 

Un nuovo articolo di Silvio Marconi, autore, con Viverealtrimenti, di Quando una farfalla batte le ali in Cina.

Qui il primo articolo della serie, qui il secondo cui fa seguito il presente.

Buona lettura!

 

Si è visto nell’articolo precedente come si sia operata l’invenzione dell’“ariano”, con conseguenze la cui nefandezza resta insuperata e che contaminano ancora il presente; tale invenzione si basa essenzialmente sull’intreccio fra due ordini di menzogne e mistificazioni: da un lato quello relativo all’esistenza delle, invece, inesistenti “razze umane” (e della loro conseguente gerarchizzazione fra “razze padrone” e “sottouomini”), dall’altro quello di far coincidere le presenze di elementi culturali e soprattutto linguistici comuni a determinati territori eurasiatici in determinate epoche con una conquista/invasione di quei territori da parte di uno stesso gruppo umano (appartenente appunto ad una specifica “razza”) e con l’instaurazione di una supremazia totale di tale gruppo come “padrone” sui resti dello sterminio/asservimento degli autoctoni, ritenuti non-appartenenti a tale “razza”.

Questa concezione che riduce ogni presenza di elementi culturali e linguistici documentata dalle ricerche archeologiche, filologiche, etimologiche, sulle fonti scritte (quasi sempre peraltro di matrice greca e romana) alla conquista militare, all’invasione, alla colonizzazione, con relativo asservimento e sterminio più o meno rilevante, è figlia legittima solo delle concezioni e delle pratiche coloniali otto-novecentesche occidentali e radicalmente falsa.

Certamente vi sono state invasioni e migrazioni di massa, deportazioni, stragi e prese del potere da parte di gruppi ristretti nel corso della Storia antica e anche più vicina ai nostri giorni, da quelle assire a quelle realizzate dai coloni dell’Ellade nell’antichità nel Bacino del Medirerraneo, da quelle  romane a quelle dell’epoca di Carlo Magno, da quella dei Berberi islamizzati di Tariq ibn Ziyad nel 711 nella Penisola Iberica a quelle napoleoniche, da quelle degli Iberocattolici nel “Nuovo Mondo” a quelle dei Moghul nell’altopiano del Deccan, da quelle dei Mongoli di Gengis Khan a quelle hitleriane; ciononostante la maggior parte delle  trasformazioni linguistiche e culturali in quella che definiamo “Europa” e nel Mondo non sono affatto riconducibili a tali fenomeni. Mai gli Indiani invasero il Mondo Islamico e tantomeno l’Europa o esercitarono un potere diretto su tali regioni, eppure l’Occidente assunse nel tardo Medioevo i numeri indiani, per tramite islamico ed oggi li usa tutto il Pianeta; mai i Cinesi invasero le terre mediorientali e tantomeno quelle mediterranee o esercitarono un’egemonia su di esse, eppure l’Occidente prima e l’intero Pianeta poi usano, oggi e da secoli,  invenzioni cinesi come la polvere pirica, la bussola, i fuochi d’artificio, la seta e quella carta che giunse a noi Occidentali ancora una volta per tramite islamico e che, segreto gelosamente preservato in ambito cinese, venne svelato ai Musulmani  grazie alla  cattura di artigiani cinesi in una battaglia.

Mai Cinesi ed Indiani dominarono il Mondo Cristiano ma questo assunse da loro le aureole, i rosari, le campane, mentre gli angeli cari al Cristianesimo giunsero da quell’ambito persiano che pure non fu capace nell’antichità di sconfiggere durevolmente il Mondo ellenico/ellenizzato e ne fu anzi soggiogato all’epoca di Alessandro Magno (che peraltro greco non era ma Macedone, pur essendo culturalmente ellenizzato), i cui eredi culturali bizantini (ma che mai si definirono in tal modo e sempre si autodefinirono “romani”) fecero dell’angelogia un capitolo rilevante della loro teologia, della loro arte, della loro simbologia perfino in campo politico e militare.

Che nelle tombe dei rappresentanti dei gruppi umani cosiddetti “Celti” si ritrovino elementi culturali (vasellame, armi, gioielli, vetrerie) assimilabili a quelli dei popoli delle steppe fra il Don e il Caucaso non autorizza ad affermare alcuna parentela genealogica, alcun dominio di uno stesso gruppo sui due tipi di popolazioni, ma solo il fatto che attraverso i commerci e la riproduzione (solo laddove se ne fosse acquisita la tecnologia) in loco, parti di sistemi culturali, artistici, valoriali stranieri venivano ad incistarsi nelle culture della regione pannonico-germanica e altrove, esattamente come avveniva per i vasi greci a Cartagine ed a Roma, per le spade galliche nelle tombe dei legionari romani di origine etnica siriaca in Nordafrica, per le forme di tumulazione dei defunti in area centro-europea o in quella centrasiatica.

Che quei gruppi umani detti “Celti” (dal termine generico con cui i Greci indicavano tutte le genti a Nord dell’Ellade, ripreso ed ampliato nell’uso dai Romani) avessero una lingua comune è in parte vero ma prova semmai solo una moda, una necessità di una lingua franca per i commerci, un’influenza, esattamente come il fatto che tanti ragazzi polacchi e italiani, spagnoli e svedesi parlino oggi Inglese; che quella comunanza includesse anche popolazioni che ancora oggi erroneamente si definiscono “celtiche” è spesso perfino, a sua volta, falso. Così l’idea dell’appartenenza ad una realtà etnica inventata su base linguistica “celtica” delle genti della Penisola Iberica preromana e precartaginese deriva, come i migliori studiosi dei “Celti” oggi ammettono, dal fatto che i Romani li chiamassero “Celtiberi, mentre sistemi di inumazione dei defunti e perfino elementi linguistici di queste popolazioni sono del tutto differenti da quelli del nucleo della cultura che siamo soliti definire “celtica”, che si situa fra l’odierna Cechia e l’odierna Germania.

La diffusione dell’alfabeto inventato sulle coste siropalestinesi non dipese mai da conquiste né da colpi di stato e le genti dell’Ellade e quelle italiche che lo adottarono non furono mai né dominate da nuclei di conquistatori siropalestinesi, né oggetto di invasione da parte di questi e tantomeno di migrazione di massa di quell’origine. Né mai esistette un “popolo” unico corrispondente alla diffusione di quell’alfabeto come invece per un secolo e mezzo fior fiore di studiosi aderenti ai pregiudizi razzisti hanno cercato di affermare riguardo agli “Ariani” rispetto alle lingue indoeuropee.

Certamente, la presenza in una cultura di elementi che la accomunano ad un’altra da cui sono stati creati mostra un’influenza della seconda sulla prima; tale influenza può avvenire in alcuni casi per diretta dominazione, come in quello della diffusione di modelli architettonico-urbanistici romani (tra cui gli anfiteatri, i fori, le terme), dalle conseguenze anche nel costume e negli usi sociali, nel Nordafrica ed in Medio Oriente o quello dei modelli linguistici e culturali anglosassoni nel Nord America. In altri casi si tratta del risultato di un’egemonia economica, politica, ideologica, che può essere o meno collegata anche ad eventi bellici: così è per certe mode americane in Occidente dopo la Seconda Guerra Mondiale, come pure per certe forme di moda vestimentaria, oggettuale, gastronomica ed architettonica  turca nei Balcani; ciononostante, a volte quegli elementi non danno diritto a parlare di vera egemonia in senso proprio. Si può davvero affermare che esista una egemonia USA nella Cina attuale che pure vede andare di moda i McDonalds o italiana perché si diffondono gelaterie, Ferrari e abiti made in Italy, di fronte al fatto che la Cina persegue linee di sviluppo, di strutturazione delle Istituzioni, di proiezione internazionale dei commerci vecchie di millenni e pienamente cinesi?

Si può davvero credere che il fatto che le corti vedessero a cavallo fra XVIII e XIX secolo la prevalenza dell’uso del Francese e della moda parigina  da San Pietroburgo alla Sassonia, dalla Savoia alla Polonia dimostri una reale egemonia francese sulla politica, sull’arte, sulle forme istituzionali, sulla cultura non solo dei sudditi di quelle corti ma dei loro stessi esponenti e confondere l’assolutismo zarista con il repubblicanesimo francese (o anche il neobonapartismo di un Napoleone III), con la debolezza del ruolo della corte polacca, con le concezioni della corte di Maria Teresa d’Austria che governava un già vasto impero o con quelle del minuscolo staterello sabaudo dell’epoca?

Inoltre, il Mondo non è mai stato un insieme di territori ciascuno omogeneamente colorato di azzurro, rosso, arancione, verde, giallo a riprova di una presunta omogeneità come ce lo rappresentano falsamente i nostri patetici atlanti storici! L’Impero Persiano non era una compagine unitaria, ma un insieme di poteri autonomi, di popoli con differentissime culture, unificati solo da un sovra-potere imperiale e da alcuni sistemi di istituzioni; quello romano, pure più monocentrico ed omologante, vedeva un pluralismo di culti e culture, una forte differenziazione fra centri di potere economico e militare non riducibili alla sola Roma, una presenza di livelli differenti di autonomia e di trattamenti e non è un caso se, ad esempio, la lingua latina abbia influenzato in modo determinante la nascita delle lingue “volgari” in Italia, Spagna, Francia e niente affatto in Nordafrica e Medio Oriente (che pure erano le regioni economicamente più prospere dell’Impero), ben prima dell’espansione islamica, o nei Balcani e nell’Ellade (posto, inoltre, che nella parte orientale dell’Impero rimase sempre il Greco la lingua prevalente). Il controllo delle aree marginali, di quelle montane, talora di quartieri delle stesse capitali, fu sempre relativo e spesso inesistente da parte dei poteri centrali e ciò avvenne sulle Alpi e in Sardegna in epoca romana, nel ventre di Parigi nel Rinascimento, sui monti yugoslavi e greci durante l’occupazione nazifascista, nelle Alpujarras andaluse invase dagli Iberocattolici nel XVI secolo, nelle terre paludose e boschive prussiane dell’epoca di Carlo Magno, nelle regioni di frontiera del dominio britannico in India, nelle terre cosacche dell’Impero zarista, ecc. 

Il che ha comportato sempre énclaves di resistenza anche linguistica e culturale che rendono farsesco credere che sia mai esistito un controllo totale da parte di un conquistatore di territori e genti soggiogate ed una identificazione meccanica fra potere, cultura/lingua, popoli, territori.

Vi sono poi fenomeni sincretici e di influsso dei dominati sui dominanti; i sincretismi nascono come forma resistenziale di una comunità oppressa contro l’oppressore in forme non aperte, di scontro frontale, ma criptiche, si tratti dei Musulmani iberici soggiogati dal potere cattolico, come dei neri deportati dagli Europei oltre Atlantico, dei “pagani” nella Roma cristianizzata come dei Sassoni nell’Inghilterra soggiogata dai Normanni; essi però si evolvono fino a permeare la stessa cultura dominante, come è successo con gli elementi musicali afroamericani (blues, jazz, samba, ecc.) e coi riti di possessione afrocubani ed afrobrasiliani, con il flamenco di matrice islamica camuffata da gitana  in Spagna e con i riti della Taranta nel Salento e dell’Argia in Sardegna. In altri casi la cultura soggiogata ha la forza per permeare direttamente, senza infingimenti, quella conquistatrice, come avvenne per la cultura greca rispetto a quella dell’invasore romano, il che non autorizza certo a vedere nei Neri schiavizzati in Misissipi, a Cuba o in Brasile o nei Greci del I secolo d.C. rispettivamente i dominatori delle realtà coloniali europee nel “Nuovo Mondo” o dell’Impero Romano come si potrebbe falsamente pensare se si usasse lo stesso parametro che gli studiosi hanno usato per inventare false dipendenze di tante culture da quelle supposte “ariane”.

Questa identificazione falsa fra territorio, popolo, comunità culturale-linguistica, compagine istituzionale (e magari capo supremo del tutto), che ritroviamo portata alle estreme conseguenze nello slogan nazista “ein Volk, ein Reich, ein Fuhrer” (“un popolo, uno stato, un capo”), è la base di ogni pulizia etnica, da quella normanna contro i Sassoni o cromwelliana contro gli Irlandesi a quella nazista contro gli Slavi, da quella romana contro i Cartaginesi a quella mongola in Mesopotamia, ed è alla base di tutti i moderni iper-nazionalismi che mascherano male la loro caratterizzazione razzista, ma, come si è accennato, è veicolata, coscientemente ed incoscientemente, anche da molta parte dei film, della letteratura, dei fumetti e, peggio ancora, dei libri di Storia e degli atlanti storici in uso nelle scuole; essa favorisce false idee di compattamento, favorisce l’accettazione dell’omologazione culturale come dato falsamente “naturale”, contribuisce a generare ed alimentare odii e stereotipi,a riconoscersi in identità fittizie ma che sono capaci di diventare motore di discriminazione, violenza, strage, guerra, sterminio. Nessuno stato nella Storia, neppure quelli più totalitari e che avevano imboccato la messa in pratica di quella identificazione, è mai risultato omogeneo, ha mai visto una piena identificazione territorio-popolo-istituzioni-capo e questo grazie a tre fenomeni ignorati dagli adepti di quella identificazione in ogni epoca. Il primo è dato dalla inesistenza di caratteri etnici e culturali “puri” e dalla totale ipocrisia di coloro che li inventamo: perfino i leaders nazisti erano (a parte Heydrich) lontanissimi dal modello fisico/somatico stereotipato dell’alto, biondo “ariano” e Romano Mussolini amava e praticava il jazz, condannato dal fascismo come “degenerato prodotto dei negri”! Il secondo è dato dalle mille forme di resistenza, nascondimento e cripticità, che portarono i Musulmani di Spagna, ad esempio, a mantenere vivi alcuni elementi della loro cultura camuffandosi da gitani o i seguaci di Fra Dolcino in Piemonte a trasmettere parte dei loro saperi e delle loro concezioni oralmente fra le contadine del Biellese, ma che fecero pure sì che alla resa dei nazisti (9 maggio 1945) i Sovietici incontrassero centinaia di Ebrei fino a quel momento nascosti che uscivano fuori nel centro di una Berlino  che era stata ufficialmente dichiarata “libera dagli Ebrei” da anni! Il terzo elemento sta nel fatto che un controllo non è mai totale, neppure dove impera l’Inquisizione o la Gestapo, perché da un lato esistono dissensi, “fronde”, scontri fra gruppi di potere che ne incrinano la compattezza, dall’altro esistono forme di corruzione o condizioni particolari e deroghe alle norme che permettono ad alcuni fra coloro che sarebbero destinati alla totale emarginazione quando non allo sterminio di salvarsi da quel controllo totale. Così, ad esempio, se era proibito ad Ebrei e Musulmani e a quelli fra loro che erano stati convertiti a forza al Cattolicesimo di raggiungere le colonie spagnole nelle Americhe, a migliaia riuscirono a farlo comprando documenti falsi o semplicemente arruolandosi nell’esercito e nella marina, sempre tanto bisognosi di reclute da non controllare mai davvero le identità; questo comporta la presenza fra l’altro di motivi decorativi ed architettonici di matrice islamica nelle realizzazioni coloniali in quelle Americhe. Di tutto questo, poco o niente si dice nelle scuole, nei servizi TV, nei film, nei social, di modo che le menzogne razziste trovano più agevolmente terreno fertile nelle menti, specie di ragazzi ed adolescenti, di giovani e di persone che non hanno tempo e strumenti economici e culturali per ricercare da soli la verità.