Quando una farfalla batte le ali in Cina in formato digitale

Abbiamo appena digitalizzato il testo, di Silvio Marconi, Quando una farfalla batte le ali in Cina; Note sull’influenza, indiretta, cinese nel crollo dell’Impero Romano d’Occidente.
Ne condividiamo, di seguito, la premessa.
Buona lettura!
Manuel Olivares
Nel 1952, il grande scrittore statunitense di fantascienza Ray Bradbury scrive un racconto intitolato A Sound of Thunder, incluso nel libro R is for Rocket. Vi descrive una società proiettata in un futuro in cui sono possibili viaggi nel tempo, offerti da specifiche agenzie turistiche.
Durante uno di questi, mentre si trova in epoca preistorica, uno dei partecipanti calpesta una farfalla e questo gesto, apparentemente insignificante, provoca ― con una reazione a catena (o “effetto domino”) su scala temporale ― una serie di conseguenze che si accumulano, si amplificano, si dilatano fino a generare risultati catastrofici nell’intera storia dell’Umanità.
Bradbury, accanito lettore di testi scientifici, conosceva probabilmente ― nel 1952 ― le tesi di Alan Mathison Turing, grande matematico e crittografo inglese (considerato il fondatore dell’informatica) che, due anni prima, aveva scritto nel suo saggio Macchine calcolatrici ed intelligenza: «Lo spostamento di un singolo elettrone per un miliardesimo di centimetro, a un momento dato, potrebbe significare la differenza tra due avvenimenti molto diversi, come l’uccisione di un uomo un anno dopo, a causa di una valanga, o la sua salvezza».
Più in generale, in quella che i matematici chiamano Teoria del Caos, si ipotizza che variazioni anche minime nei parametri di una situazione per un evento, eventualmente, “insignificante” possano produrre conseguenze anche gigantesche nel comportamento di un sistema sul lungo periodo.
Tutto questo, a prescindere dal sistema stesso: un bacino idrografico, una società umana, un ecosistema, una popola-zione animale, uno stato meteorologico, la distribuzione territoriale di una malattia, l’andamento del mercato borsistico, ecc.
Nel 1963, riguardo quest’aspetto della Teoria del Caos, il matematico (statunitense, al pari di Bradbury) Edward Norton Lorenz esemplifica il concetto trasferendolo sul piano meteorologico e parlando della possibilità che il battito di ali di un gabbiano sia capace di innescare un processo di gravissime alterazioni climatiche. Successivamente, però, sostituisce all’immagine del gabbiano quella della farfalla (riprendendo indirettamente, coscientemente o meno, l’esemplificazione di Bradbury). Nel 1972 la inserisce addirittura nel titolo di una sua conferenza: Può il battito d’ali di una farfalla in Brasile provocare un tornado in Texas? In tale conferenza Norton nota come, secondo la Teoria del Caos, si possa perfettamente immaginare che il battito di ali della citata farfalla provochi un movimento di molecole dell’aria che, a sua volta, ne inneschi altri, fino a scatenare un uragano a migliaia di chilometri di distanza.
Da questo momento si inizia a parlare, a proposito dei fenomeni individuati da tale metafora, di “effetto farfalla”: esso riguarda tutti i sistemi complessi (fisici, economici, sociali, militari, elettorali, ecc.), con possibili applicazioni sia nel campo delle analisi di previsione che in quello delle analisi a posteriori sui processi prolungati nel tempo.
Sul piano previsionale, in effetti, la Teoria del Caos e i suoi aspetti condensati da Norton nell’“effetto farfalla” portano al risultato di affermare che è assai difficile prevedere le tendenze di processi riguardanti un qualsiasi sistema complesso, prolungati nel tempo, soprattutto prevederli in quello che può essere definito “tempo utile”: il tempo effettivamente disponibile per una presa di decisione, si tratti di gestire azioni borsistiche o azioni inerenti una campagna militare, iniziative tese ad arginare un’epidemia o a ridurre l’impatto catastrofico di mutamenti climatici, ecc. Ciò avviene perché le decisioni si prendono in base a simulazioni e, per essere realizzate in tempi ristretti, debbono eliminare dal quadro di riferimento gli elementi e le variabili considerati meno influenti sull’andamento del processo.
Tuttavia, proprio fra loro si può annidare il fatidico “battito d’ali di una farfalla”, ossia si possono trovare fattori apparentemente non rilevanti che invece svolgono un ruolo assai significativo nel processo, non tanto per le loro caratteristiche intrinseche ma per le loro interazioni e la complessità del sistema.
Tanto più il sistema è complesso (e generalmente i sistemi di cui si parla, da quelli meteorologico-climatici a quelli sociali ed economici, lo sono ad un grado elevatissimo), tanto maggiori sono gli errori che la simulazione sconta e che si accumulano fra loro, nel tempo, finché si arriva all’apparente paradosso che tale accumulazione fa sì che l’errore superi in rilevanza lo stesso risultato dell’analisi.
Se applicata, invece, all’analisi di cicli di eventi passati, ovvero di processi di cui si conoscono già i risultati, la consi-derazione inerente l’“effetto farfalla” ha altre conseguenze: aiuta a comprendere come non sia utile ― e talora neppure possibile ― limitare l’analisi solo a pochi fattori, a quelli che sembrano a prima vista avere maggiore rilevanza e/o che appaiono come direttamente intervenienti nel processo ma si debba invece focalizzare l’attenzione non solo su un numero rilevante di fattori ― anche non immediatamente percepiti come influenti ― ma anche e soprattutto (con quello che viene detto “approccio a rete”) sulle loro interazioni ed interconnessioni. Anche in questo caso ciò vale sia che si analizzino le cause della Rivoluzione Francese o della crisi borsistica statunitense del 1929, sia che ci si soffermi sul processo di desertificazione di talune aree del Pianeta o sulla questione della diffusione ― secoli fa ― della Peste Nera in Europa e delle sue conseguenze.
Ancor prima della produzione della Teoria del Caos, il matematico francese René Thom aveva iniziato ad elaborare (a partire dagli studi del suo concittadino Poincaré) una teoria matematica che era un’applicazione della topologia all’analisi di fenomeni complessi: la Teoria delle Catastrofi.
Secondo Thom tale teoria serve ad analizzare mutamenti discontinui (spesso chiamati in linguaggio comune “crisi”) che si manifestano ― in modo apparentemente spesso improvviso ― in un sistema complesso che passi attraverso di essi da uno stato di equilibrio A ad uno di equilibrio B.
Il passaggio non si ha attraverso un processo continuo, graduale e rappresentabile in modo lineare ma attraverso una sorta di salto, di discontinuità. Ciò avviene nei sistemi biologici, nella meteorologia, nei movimenti sismici, nei crolli degli edifici, nell’andamento di certe fasi del mercato borsistico, nelle rivoluzioni politiche, nel crollo di dinastie o compagini statali, nella formazione di nuove lingue, ecc.
Thom suggerisce, nella sua teoria, che mentre esiste una fase ― detta “catastrofica”, con connotazioni, è bene chia-rire, sia negative che positive ― intermedia tra i due stati di equilibrio, che non si presta a previsioni esatte e di cui non si può dire neppure quanto contenga del primo stato di equilibrio e quanto del secondo, si può invece analizzare più compiutamente sia la situazione dello stato iniziale A che quella dello stato finale B.
La teoria di Thom trova una soluzione al problema attraverso la dimostrazione dell’applicabilità proprio allo stato in-termedio, “catastrofico”, dell’analisi topologica che prescinda dai contenuti specifici e si concentri sulle forme in cui i processi avvengono.
La Teoria del Caos, integrando la Teoria delle Catastrofi, si adatta assai bene a fasi critiche della storia umana quali appunto il crollo di una compagine statale che pure aveva resistito, per secoli, a crisi ricorrenti.
Possiamo ad esempio leggere, in questa prospettiva, la caduta della potenza cartaginese, dell’Impero Romano d’Occidente, dell’Impero Carolingio, della monarchia assoluta francese sul finire del diciottesimo secolo, dell’Impero Cinese nel 1911, dell’Impero degli Asburgo nel 1918, ecc..
Il presente scritto, pur non essendo un’applicazione dei modelli matematici delle Teorie del Caos e delle Catastrofi agli eventi eurasiatici del terzo e del quarto secolo dell’era cristiana, adotta ― a partire dal titolo ― il riferimento al-l’“effetto farfalla” in forma volutamente provocatoria, a fronte, evidentemente, di un altro “effetto”: l’“effetto domino”.
Per “effetto domino” si intende il fatto che un evento, un fenomeno, un processo sia capace di innescarne, a catena, altri consimili, su distanze geografiche e temporali anche grandi (caratteristica dell’“effetto domino” è proprio di non essere smorzato significativamente dalle distanze) e si chiama così in riferimento a quanto accade posizionando, in verticale, una serie (lunga a piacere) di tessere del domino le une vicine alle altre (senza diretto contatto fra loro) e poi esercitando una spinta sulla prima di esse che, cadendo, trasporterà l’effetto-caduta dall’una all’altra per tutta la serie.
In merito agli eventi che cercheremo di analizzare in questo testo, gli storici parlano ― a ragione ― di “effetto domino” per indicare che gli spostamenti, le migrazioni, le invasioni[1] verso Ovest e Sud-Ovest dei cosiddetti “popoli barbari” — che in quel periodo rimettono radicalmente in discussione la mappa dell’Europa e contribuiscono a determinare il crollo definitivo dell’Impero Romano d’Occidente ed un forte indebolimento di quello d’Oriente — sono appunto governati da quella logica. In altre parole, che alle spalle di quegli spostamenti — mai casuali — vi sono le pressioni che esercitano su quei gruppi umani altri gruppi umani, da Nord-Est e, soprattutto, da Est, a loro volta soggetti spesso a pressioni simili.
La “provocazione” di accostare a questo noto “effetto domino” (di cui si vedrà la caratteristica non così “meccanica” come si credeva fino a pochi decenni fa) l’“effetto farfalla” sta nel fatto che il presente testo intende soffermarsi su al-cuni punti cruciali. Ad esempio quanto sia rilevante (e quindi niente affatto paragonabile al battito d’ali di una farfalla se non per la sua sottovalutazione eurocentrica), in quell’“effetto domino”, oltre al ruolo della Persia (in particolare sasanide, evidenziato da Heather; 2008), quello della Cina.
In quest’ultimo caso occorre analizzare fasi anche anteriori al terzo secolo d.C. e lo stesso ruolo va articolato in due sotto-ruoli.
Il primo diretto, dovuto alla stessa esistenza della Cina: a) in termini di compagine statuale unitaria o frammentata, delle sue forze produttive, dei sistemi socio-economici, delle tattiche e strategie militari, b) in termini demografici, tecnologici, della sofisticazione amministrativa, culturale ed ideologici.
Il secondo sotto-ruolo è, invece, indiretto, derivante dalle interazioni fra la Cina stessa e le popolazioni (considerate, dai cinesi, “barbare”) insediate ad immediato contatto dei confini che nelle diverse fasi in esame essa ha posseduto.
In ultimo, vanno considerate le dinamiche fra la Cina e la già citata Persia.
Per capire meglio il carattere di tale mia “provocazione” ed il fatto che essa vuole stimolare a riflettere sul ruolo che la Cina ha avuto nelle vicende dell’insieme dell’Eurasia nella fase “terminale” (in senso temporale ma anche come metafora medica) dell’egemonia romana sull’Occidente eurasiatico, rifacciamoci ad un noto racconto cinese, quello di Zhuangzi e ― guarda caso ― della farfalla.
Zhuangzi (vissuto approssimativamente ta il 369 a.C. ed il 286 a.C.)[2] è considerato fra i grandi maestri del pensiero classico cinese e, per il suo ruolo determinante nello sviluppo del cosiddetto Taoismo, il suo nome viene utilizzato come titolo di uno dei principali testi taoisti cinesi che gli viene attribuito: il Zhuangzi, appunto.
Tale testo viene anche chiamato Nan hua zheng jing, ossia: “Vero Classico della Fioritura Culturale del Sud”, a partire dall’ottavo secolo d.C., quando la Dinastia Tang sviluppa una campagna tesa ad onorare e valorizzare i testi antichi taoisti[3].
Secondo il grande storico cinese (e seguace del Taoismo) Sima Qian (vissuto a cavallo fra il secondo ed il primo secolo a.C.), il nome di Zhuangzi deriva dall’attribuzione del titolo di “maestro” (zi) a Zhuang Zhou (che diventa quindi “Maestro Zhuang”), nato nella città di Meng, nello Stato di Song, in una delle fasi di divisione della compagine cinese, definita “Regni Combattenti” (iniziata nel 453 a.C. e che termina con la riunificazione del 221 a.C.).
Per un certo periodo, il suo incarico pare sia quello di funzionario di una fabbrica statale di lacca (uno dei prodotti la cui realizzazione avviene in Cina sotto controllo statale) ma, come nella migliore tradizione cinese[4], chi si occupa di amministrazione e tanto più di gestione di processi organizzativi relativi a prodotti dal grandissimo valore materiale ed immateriale (e rituale-simbolico) ― la giada, la seta e, appunto, la lacca ― è sempre un erudito dalle ampie vedute e dai vasti interessi e, sostanzialmente, un letterato, sia che renda esplicito pubblicamente tale ruolo ed acquisisca incarichi collegati ad esso, sia che, come nel caso di Zhuangzi, rifiuti carriere direttamente collegate con la filosofia, la consulenza politica e gli incarichi istituzionali di corte. Così Zhuangzi, sebbene non realizzi pubblicamente la sua azione di insegnamento filosofico, sarebbe l’autore di un testo taoista fondamentale, oltre che un forte critico del Confucianesimo e, soprattutto, della scuola di Mozi (470-390 a.C.). Anche se scarsamente conosciuto ed apprezzato dai suoi contemporanei, Zhuangzi ― attraverso i suoi scritti e le concezioni in essi contenuti ― ha un’influenza rilevante nel pensiero cinese dei secoli successivi, al punto da essere anche considerato una delle sorgenti concettuali della corrente Chan del Buddhismo, elaborata in Cina su influssi anche indiani[5] e che diverrà, poi, il più noto Buddhismo Zen in Giappone.
Negli scritti di Zhuangzi si trova, fra l’altro, il racconto noto come “il sogno della farfalla”. Questo narra come Zhuangzi stesso sogni di essere una farfalla che svolazza felice, senza sapere di essere Zhuangzi.
Svegliatosi, Zhuangzi si sente pienamente se stesso ma gli sorge un dubbio: non sa più se sia Zhuangzi ad aver sognato di essere una farfalla o una farfalla a sognare di essere Zhuangzi.
Non ci addentreremo nella molteplicità di significati che questo racconto attribuito a Zhuangzi contiene, sul piano fi-losofico, psicologico, ecc. (tutti piani fra loro strettamente ed organicamente collegati nei diversi pensieri tradizionali cinesi) ma anche questo riferimento alla farfalla, assai più antico dell’altro occidentale e da esso differente, si può usare come metafora per dire che la sottovalutazione del ruolo indiretto della Cina nelle vicende che riguardano l’altro estremo dell’Eurasia — nei secoli terzo-sesto d.C. (e non solo…) — ad opera degli storici occidentali dell’Età Moderna ci dice assai più sull’Occidente e su quegli storici suoi illustri figli che sulla Storia della Cina ed è proprio per questo che si è scelto di usare la metafora del “battito d’ali della farfalla in Cina” per queste “Note”.
Difatti, anche se i processi avvenuti in Cina ed ai suoi confini in quei secoli potessero essere considerati semplicemente un “battito di ali di una farfalla”, proprio secondo concezioni ben note almeno negli ultimi decenni in Occidente (sorte in ambito matematico, sfruttando immagini di origine letteraria), essi meriterebbero un’attenzione maggiore, dato che dinanzi a concatenazioni di eventi, processi, drammatiche migrazioni (in genere armate) come quelle che contrassegnano tali secoli, dovrebbe risultare evidente la necessità di non tralasciare come marginali i “fattori al contorno”.
Questi, difatti, sono spesso “co-determinanti” quando non determinanti.
Tuttavia, come si vedrà in queste “Note”, già il considerare quei processi avvenuti in Cina ed ai suoi confini, in quei secoli, un “battito di ali di una farfalla”, è atteggiamento liquidazionista e minato da un eurocentrismo confermato anche dalla sottovalutazione del ruolo dell’altro grande protagonista asiatico di quel periodo: la Persia sasanide.
Proseguendo nel mondo delle metafore, se qualcosa ― fra terzo e sesto secolo d.C., nonché nel periodo antecedente ― ha “battuto le ali” in Cina, provocando conseguenze storiche a catena fino all’Atlantico, non è stata una farfalla ― se non nella visione minimizzatrice dei ruoli storici a grande scala giocati direttamente ed indirettamente dalla Cina antica, cara a storiografie ancelle delle concezioni coloniali e postcoloniali occidentali ― ma un grande dragone volante. Questo, come tutti i dragoni cinesi, non ha potuto non rivelarsi polimorfo, complesso, figlio simbolico di apporti diversi e perfino contraddittori (e che non escludono affatto, attraverso processi di sinizzazione, quelli delle stesse genti definite “barbare”), capace davvero — con la sua sola presenza e le interazioni di altri soggetti — di mutare equilibri, abbatterli, ricostruirli, in una serie di crisi le cui implicazioni hanno effetti in tutta l’Eurasia e perfino oltre.
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[1] È più corretto a mio parere parlare, salvo alcune eccezioni, di “migra-zioni armate” dato che non coinvolgono solo i combattenti ma donne, vecchi, bambini, greggi, ecc.
[2] Stando almeno a quanto sostiene lo storico Ma Xulun, vissuto tra il 1884 ed il 1970.
[3] Il riferimento alla “Fioritura Culturale del Sud” è dato dalla credenza dell’epoca che Zhuangzi sia nativo delle regioni meridionali della Cina.
[4] Per quanto lo stesso avvenga in India ed avverrà nel Mondo Islamico medievale.
[5] Sappiamo, del resto, essere indiana la radice stessa del Buddhismo.