Movimenti di beni e di persone

Di seguito, il settimo articolo del nostro collaboratore Silvio Marconi della serie: Le pericolose invenzioni delle identità.
Qui il primo articolo, qui il secondo, qui il terzo, qui il quarto,qui il quinto, qui il sesto.
Buona lettura!
Attualmente nessuno si stupisce se formaggio o vino italiano si trova nei supermercati di Shanghai, Los Angeles, Tokio o Buenos Aires e se la CocaCola è disponibile in ogni angolo del Pianeta, se la musica rap si ascolta a New York come a Marrakech o se un film con Angelina Jolie furoreggia in Thailandia come in California; che beni materiali ed immateriali viaggino liberamente e, grazie al web ed alle vendite via web, anche in tempi sempre più brevi è stato reso indiscutibile e perfino i propugnatori dell’artigianato, del “km zero”, della riscoperta dei dialetti, nella maggioranza dei casi non riescono poi ad essere altro che gli stessi che promuovono il made in Italy a distanze prima impensabili, rilanciano via web i ricami della nonna oltre oceano e richiamano nei loro rustici agriturismo salentini pensionati di banca tedeschi e giovani di Boston.
Che certe mode, certi fenomeni culturali abbiano ormai, e da tempo (da ben prima di Internet) dimensione planetaria e che da centri produttori di beni materiali ed immateriali quelle tendenze siano state strategicamente irradiate ad influenzare cultura, costumi e vita quotidiana di popolazioni apparentemente del tutto estranee alle caratteristiche dei luoghi di origine non stupisce più, si tratti della pizza o del jazz, del calcio o dei film western, dell’opera lirica o dei romanzi polizieschi, dei cocktails o dell’uso delle bandiere. Pure difficilmente ci si sofferma a pensare che non solo questo prova al di là di ogni dubbio il carattere “meticcio” di ogni pretesa identità nell’oggi ma che questo fenomeno, in forme e con ambiti di diffusione differenti, è esistito fin dalla Preistoria e valeva per l’ossidiana delle Eolie ritrovata in Germania o per l’ambra del Baltico trovata in Egitto, per i rituali mitraici presenti a Roma ed in Spagna e per i moduli stilistici della “nuova poesia” medievale islamica iraqena diffusi dalla Provenza alla Toscana, per i sincretismi afrocubani e per quelli islamo-berberi, per la seta che giungeva a Roma dal “Paese dei Seri” (Cina) al tempo di Augusto e per i vigneti che giungevano in Asia Centrale al tempo di Alessandro Magno, solo per citare alcuni dei possibili esempi.
A parte situazioni temporanee e limitate di economia curtense, di autarchie demenziali, di chiusure settarie integralistiche, di embarghi commerciali e di guerre, gli scambi di beni materiali ed immateriali hanno sempre contraddistinto a varia scala le comunità umane e quelli materiali hanno sempre portato con sé necessariamente elementi immateriali significativi.
Un’icona bizantina, uno scudo cartaginese, una staffa centrasiatica, un tipo di cereale, un gioiello siriaco, un rotolo di papiro, una statuetta della Vergine, un sigaro, una bussola, ecc. non sono solo oggetti, un tipo di olio, un pesce essiccato, una carne di maiale, un carico di barre di ferro, un barile di petrolio non sono solo materiali; ciascuno di loro ha implicazioni immateriali in termini non solo di valore di scambio, ma di modalità e tecniche di produzione e di uso, di stoccaggio e di commercializzazione, di durata e di trasformazione in qualcos’altro, che comportano conseguenze su piani come la gastronomia e l’arte militare, l’immaginario collettivo ed i sistemi sociali, le strategie militari e la letteratura, le mode e le ideologie. Tutto questo ha contribuito a far sì che ogni scambio, ogni passaggio di mano di beni materiali ed immateriali è stato un contributo a quella mescolanza di elementi che invece l’identitarismo fariseo vorrebbe negare, facendo credere che i Romani avevano la loro identità militare nella daga, che i Cinesi mangiassero tutti e solo riso, che la birra fosse da sempre parte della tradizione tedesca o irlandese, che il Cristianesimo non avesse nulla a che fare col Buddhismo e l’Induismo, che i naviganti musulmani tardo medievali non conoscessero l’India e non vi portassero influenze, ecc.
Oggi, però, vi è un altro tipo di fenomeni che viene guardato con orrore montante in Occidente e contro le cui conseguenze “contaminanti” forze estremiste, fasciste, razziste, populiste, neonaziste ma anche pseudo-democratici in doppiopetto chiamano a mobilitarsi, con un successo di consensi anche elettorali crescente, generano valanghe di messaggi falsificanti sul web e nei media, nelle arene politiche e nei bar, sui giornali e nelle scuole: le migrazioni. Ciò nonostante gli spostamenti di popolazione sono stati il dato costante e generale di tutti gli ultimi 200.000 anni di vita dell’Uomo sulla Terra e che se non fosse così saremmo ancora ad aggirarci nei dintorni della Rift Valley africana e che nessuna, ma proprio nessuna società umana (comprese quelle del deserto del Kalahari, del Tibet, delle Alpi Svizzere, dell’Amazzonia o dell’Islanda) ha mai avuto una esistenza senza spostamenti di popolazione di diverso segno, entità e motivo.
Quest’orrore anti-migrazioni costruito ed alimentato, che si basa totalmente sul falso e largamente sulle invenzioni e le mistificazioni identitarie di cui si cercano di tratteggiare alcune caratteristiche in questi articoli, naturalmente favorisce, fra le altre nefaste conseguenze, la totale incomprensione del fatto che gli spostamenti di popolazione, assieme agli scambi di beni materiali ed immateriali, sono la seconda gamba su cui marciano le interazioni fra culture che sono poi la base stessa del progresso umano. E’ il caso, allora, di soffermarsi sulle tipologie di questi spostamenti e sulle loro diverse conseguenze che spesso sono largamente diverse da quelle che siamo abituati ad immaginare grazie alle falle del sistema educativo ed alle carenze di quello dei media e della produzione di immaginario collettivo.
I possibili tipi di spostamenti umani presentatisi nella Storia, assai diversi fra loro per motivazioni e dimensioni, e che naturalmente possono intrecciarsi fra loro, sono i seguenti:
- transumanza pastorale/nomadismo stagionale a piccola scala;
- nomadismo a media e grande scala di tutta una comunità o di una sua frazione;
- emigrazione stagionale o ciclica di una aliquota di una popolazione stanziale;
- emigrazione su tempi lunghi o definitiva di una aliquota di una popolazione stanziale;
- migrazione di massa di una popolazione o almeno di una aliquota sostanziale e che può essere maggioritaria per cause diverse (fuga da una guerra, catastrofe naturale, mutamento drammatico del clima, ecc.) ;
- viaggi di esplorazione/di avventura;
- attività illegali a piccola, media e grande scala (contrabbando, banditismo, pirateria, ecc.);
- viaggio per scambio materiale o immateriale;
- fuga individuale o di piccoli gruppi da una legalità avversa o bando (esuli politici, latitanti, esuli religiosi, ecc.);
- deportazione individuale o di piccolo gruppo con o senza riduzione in schiavitù;
- deportazione collettiva o di massa, con o senza riduzione in schiavitù;
- invasione ad opera di piccoli gruppi o di massa.
Che l’emigrazione, ad esempio, di milioni di Italiani nelle Americhe in cerca di fortuna abbia portato con sé influssi significativi nella costruzione di una identità “statunitense” non vi è alcun dubbio e ciò in tutti gli ambiti, dalla gastronomia all’arte, dal crimine organizzato alla moda, dalla religiosità alla musica: tanto più in una società come quella nordamericana dove, a causa del genocidio delle genti autoctone quasi completo, l’intera realtà è plasmata dalla mescolanza (non paritaria perché egemonizzata lungamente dagli Anglosassoni, bianchi e protestanti, i famosi “WASP”) di gruppi provenienti dall’Europa e da altre regioni del Mondo come immigrati, oltre che dai discendenti dei Neri che vi sono stati deportati schiavi. Lo stesso si può dire di qualsiasi immigrazione motivata dalla ricerca di fortuna, da quella turca in Germania in epoca recente a quella siriaca a Roma nell’età antica, da quella indiana in Kenia in epoca coloniale al seguito dei Britannici a quella carnica a Costantinopoli per sfuggire allo sfruttamento veneziano. Il migrante porta con sé pochi beni materiali ma molti elementi immateriali ed essi restano certo inizialmemte “di nicchia” nella società ospitante ma non per sempre e si diffondono, la “contaminano” positivamente. La arricchiscono, interagiscono con altri e si lasciano rielaborare; non si tratta solo di canti e ricette, di favole e modi di dire, ma di modalità produttive, di forme di organizzazione politica e sindacale (si pensi al ruolo degli Italiani in questo campo nelle Americhe), di ritualità ed usanze, di pratiche mediche e di stili artistici e letterari.
Se i poveri xenofobi occidentali facessero il piccolo sforzo, prima di insultare o aggredire i migranti, di chiedersi da dove vengono le mode dei tatuaggi, dei piercing, delle musiche, dei cibi, delle immagini sacre, delle parole che loro considerano “familiari” e magari “da difendere” scoprirebbero quante migrazioni sono alle spalle di molti di quei fenomeni.
L’emigrazione, però, non avviene solo per ragioni di lavoro e la distinzione fra diverse categorie di migranti se è reale sul piano giuridico ed a volte anche su quello sociologico, invece che aiutare a capire spesso confonde.
Quando Sandro Pertini faceva il muratore in Francia non era un “migrante economico”, ma un esule antifascista, e lo stesso era Enrico Fermi vittima delle leggi razziali, solo che il secondo trovò come continuare il suo lavoro al servizio degli USA, il primo si dovette adattare per sopravvivere a fare il manovale; Fermi portò alla società statunitense le sue competenze di fisico, a Pertini non fu certo concesso di usare le sue lauree in Giurisprudenza e Scienze Sociali mentre era esule in Francia ma diede un contributo alla lotta antifascista anche in quel paese, mentre continuava il suo impegno da esule contro i fascisti italiani e prima di poter tornare a darlo più compiutamente in Italia durante la Resistenza. Medici ebrei portoghesi e spagnoli costretti a fuggire dalla Penisola Iberica dai decreti del XVII secolo dei cattolicissimi re di Spagna diedero un importante contributo alla scienza in Olanda ed a Costantinopoli mentre l’architettura e la musica maghrebine sono profondamente influenzate dai moduli culturali portati in loco dai Musulmani andalusi costretti ad abbandonare la loro terra per la stessa ragione. Dunque, anche comunità più grandi (come nel caso dei Mori e degli Ebrei fuggiti dalla Spagna) o più piccole (come gli esuli anabattisti nelle Americhe) di esuli sono portatrici di competenze, esperienze, elementi culturali che entrano a far parte della società ospitante e lo stesso vale per l’estremo opposto della classificazione, quello dei deportati. A livello di grandi numeri, basterebbe pensare al ruolo che hanno avuto i Neri delle Americhe nella elaborazione di fenomeni culturali come il jazz, il blues, i riti sincretici afrocubani, afrobrasiliani ed afrohaitiani, la conga, la rumba, il rap, e molto altro per avere un esempio di quel che si intende dire, ma anche piccoli gruppi di schiavi hanno influito sempre sulle società in cui si trovavano ad essere deportati. Così le truppe romane hanno appreso molto dalle tecniche di combattimento e di uso di particolari armi dei loro prigionieri fatti schiavi e trasformati in gladiatori, le matrone romane hanno imparato arti seduttive e cosmetica dalle schiave orientali, le hanno viste cantare ninne-nanne e raccontare fiabe delle loro terre ai padroncini, le hanno avute come consulenti per pratiche contraccettive ed abortive a loro ignote, mentre le schiave berbere e sub-sahariane degli Arabi hanno trasmesso riti e leggende, terapie e pratiche magiche alle loro padrone ed alle loro figlie, di cui c’è riscontro tuttora nella cultura maghrebina ma anche in quelle mediorientali.
Ancora, pirati e contrabbandieri, briganti e banditi sono stati spesso lo strumento per spezzare embarghi, monopoli asfissianti ed isolamenti forzati (come nel caso del ruolo svolto contro i monopoli spagnoli su Cuba), per far circuitare idee e tecniche innovative, per dar vita (come nel Mediterraneo Occidentale) a linguaggi “creoli”, ossia lingua franche dei marinai usate ad esempio da Genova ad Algeri, da Barcellona a Tunisi, a stili vestimentari e musicali, a miti e leggende come quelle degli haiduk balcanici, mentre anche singoli esploratori hanno spesso portato l’innovazione in società stagnanti ed aperto canali di scambio dalle conseguenze, positive e negative, gigantesche anche sul piano identitario.
Paradossalmente, e fatti i dovuti distinguo, perfino le invasioni, nel loro essere sostanzialmente distruttive, apportano elementi che contribuiscono a formare identità “meticce”, in due modi: il primo è dato dalle innovazioni tecnologiche e organizzative, ideologiche ed economiche che esse portano con sé, sia quando si tratta di invasioni massicce (ma spesso non prolungate nel tempo), sia quando si tratta di occupazioni militari ridotte in quantità e di breve durata (come quella russa di Parigi dopo la sconfitta di Napoleone, che vide nascere il concetto e la parola di “bistro” come locale oggi diremmo “fast food” perché “bistrò” era quanto dicevano i cosacchi rusi agli osti francesi per sveltirli…), sia quando si tratta di gruppi di conquistatori che si intrecciano con le élite locali come avvenne con quelli di origine scandinava che assieme agli autoctoni slavi diedero vita alla Rus’ di Kiev, la prima entità statuale russa. Il secondo è dato dalle reazioni che le invasioni provocano, ad esempio va ricordato che il nazionalismo e romanticismo tedeschi (nonché l’opera di Von Klausewitz L’arte della Guerra) fiorirono soprattutto come reazione all’invasione napoleonica, che tra l’altro rimise in discussione le teorie sulla difesa del territorio e sul ruolo che in essa doveva avere il popolo. L’acquisizione del carro da guerra e la sua rielaborazione da parte dell’Egitto dopo che gli Hyksos ne avevano fatto lo strumento proprio della sconfitta degli Egizi è un altro esempio. Certo stragi e pulizie etniche da parte degli invasori, deportazioni e devastazioni non sono apporti positivi diretti all’identità di una comunità, eppure si pensi al valore identitario che hanno la sconfitta serba della Battaglia della Piana dei Merli (15 giugno 1389) da parte dei Turchi, che ancora oggi è considerata l’elemento unificante maggiore dei Serbi, e la vittoria sovietica sul nazismo il 9 maggio 1945 in quella che viene definita “Grande Guerra Patriottica” e che rappresenta uno degli elementi più forti di una identità che continua nel post-stalinismo ancora sovietico, nel post-URSS, nel post-Gorbaciovismo, nel post-Eltsinismo fino a Putin e certo oltre.
Vai all’ottavo articolo
I libri di Silvio Marconi
Uno studio che, lungi dall’avere un obiettivo “enciclopedico” o di minuziosa analisi storica, vuole evidenziare quelle connessioni e correlazioni – tradizionalmente taciute e rimosse – tra i fenomeni ed i processi che portarono alla crisi ed al crollo dell’Impero Romano d’Occidente e quelli operanti in un’Asia la cui complessa storia viene, tuttora, sottovalutata.
Quando una farfalla batte le ali in Cina si sofferma sul ruolo che, nella crisi e nel crollo dell’Impero Romano d’Occidente, ebbero tanto la Persia quanto, indirettamente, la Cina, dimostrando come il pregiudizio etnocentrico che ancora permea la formazione, la divulgazione e la costruzione dell’immaginario occidentale sia un pernicioso ostacolo a una comprensione di ben più ampio respiro e alla lezione metodologica che ne se ne può trarre.
In questa prospettiva, il riconoscimento di una molteplicità di poli e fattori transculturali è la precondizione per affrontare qualsiasi problematica: storica, politica, economica o strategica.
Una precondizione troppo spesso, volutamente, ignorata da una cultura occidentale che, a differenza di quelle orientali, ha rifiutato la logica olistica privilegiando un approccio molto settoriale.
Silvio Marconi – ingegnere, antropologo, operatore di Cooperazione allo sviluppo, Educazione allo Sviluppo e Intercultura – fa ricerca, da anni, nell’ambito dell’antropologia storica e dei sincretismi culturali. Ha pubblicato, al riguardo: Congo Lucumì (EuRoma, Roma, 1996), Parole e versi tra zagare e rais (ArciSicilia, Palermo, 1997), Il Giardino Paradiso (I Versanti, Roma, 2000), Banditi e banditori (Manni, Lecce, 2000), Fichi e frutti del sicomoro (Edizioni Croce, Roma, 2001), Reti Mediterranee (Gamberetti, Roma, 2002), Dietro la tammurriata nera (Aramiré, Lecce, 2003), Il nemico che non c’è (Dell’Albero/COME, Milano, 2006), Francesco sufi (Edizioni Croce, Roma, 2008), Donbass. I neri fili della memoria rimossa (Edizioni Croce, Roma, 2016).
Prezzo di copertina: 18 euro Prezzo effettivo: 15.5 euro