Islam, confraternite, esoterismo e dintorni

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Islam, confraternite, esoterismo e dintorni

E’ questo il terzo articolo di una serie, curata dal nostro collaboratore Silvio Marconi, su “eterodossie, eresie o, semplicemente sincretismi nell’Islam”.

Il primo riporta il titolo della serie. Per leggerlo cliccare qui!

Leggi il secondo articolo: Aicha e il Sufismo.

 

Proseguiamo ad approfondire alcuni aspetti della vasta galassia delle presenze di concezioni e pratiche esoteriche nell’Islam, da un lato solo in parte legittimate dal testo coranico, dall’altro ampiamente correlate ad un’altra sfera di concezioni e pratiche che molti riconducono al termine-contenitore di “eterodossia” (quando non di “eresia” o “apostasia”) e che spesso si traducono in forme di rituali possessivi.

 

Livelli differenziati ed iniziatici di conoscenza

Si è già accennato alla presenza nel pensiero sufico di concezioni centrate sull’esistenza di livelli differenziati ed iniziatici di conoscenza, da acquisirsi attraverso lunghi e complessi percorsi iniziatici sotto la guida di un maestro, e di concezioni e pratiche attinenti una conseguente dissimulazione di tali conoscenze in rapporto con i non-iniziati, che amplia di gran lunga quel concetto di taqija (o taqiya, a seconda di come lo si traslittera) presente nel Corano esclusivamente come dissimulazione della propria fede musulmana per salvarsi dalla persecuzione omicida.

Tali presenze danno vita a veri e propri sistemi “ermetici” e l’uso di questo termine non è casuale ma intende sottolineare la forte parentela tra questo aspetto-chiave del Sufismo e il pensiero appunto dell’Ermetismo greco, nonché con il NeoPlatonismo e con correnti quali lo Gnosticismo in ambito cristiano. Ancora una volta, quando usiamo questi termini stiamo in effetti parlando di una rete di polisincretismi che abbraccia millenni, dalla Protostoria al tardo medioevo, e dimensioni spaziali di migliaia di chilometri, dall’India (e perfino dalla Cina) all’Ellade, dal Maghreb all’Afghanistan, dalla Palestina all’Andalusia, dalla Sicilia al Sahel.

“Ermetico/Ermetismo” rimandano al dio greco Ermes, entità che Martin Bernal (in Atena Nera, EST, Milano, 1997) sottolinea avere un ruolo mitologico-concettuale omologo a quello di Thoth e di Anubi nella cultura egizia più antica, figure a loro volta già sincretizzatesi fra loro in Egitto e influenzate da concezioni proto-berbere e sudanesi, collegate alla ctonicità ed al mondo dei defunti e, contemporaneamente, sorgente di concezioni dissimulative. E’ Bernal stesso (ibidem) a sottolineare come sia stretto il rapporto fra quei polisincretismi antico-egiziano/proto berberi, l’Ermetismo, il Neoplatonismo e la Gnosi, che in molti casi era un sistema di concezioni e pratiche riservate alla élite dei gruppi che seguivano l’Ermetismo. In questo ambito, il Neoplatonismo rappresenta certamente una realtà fortemente ellenizzata, sebbene non “ripulita” degli influssi sincretici di origine asiatica, ma in cui permangono i risultati della sincretizzazione con i sistemi, a loro volta polisincretici (come già detto) di matrice nilotica e del resto Platone viaggiò lungamente in Egitto (390 a.C.) e trasse dalla cultura egizia molti elementi delle proprie concezioni, arrivando ad indicare in Thoth il creatore dell’alfabeto, della scrittura, dell’aritmetica e di ogni altra scienza. Va a tale proposito notato, aprendo una parentesi, che Marx (Opere, 1975, vol.I, lb. I, parte UV, pag. 166) arrivò ad affermare che “la Repubblica di Platone […] è soltanto un’idealizzazione del sistema egizio delle caste”. Quanto allo Gnosticismo, è ancora Bernal, fra gli altri, a sottolineare come tale corrente in ambito cristiano abbia correlazioni forti con il dualismo di matrice iranica (e meglio sarebbe dire indo-iranica) e le somiglianze fra Ermetismo, teologia del Vangelo di S.Giovanni e alcune epistole paoline. L’Islam non è escluso affatto da questo universo, tanto che  la figura a cui si rifà l’Ermetismo (sviluppatosi fra il VI secolo a.C. ed il II secolo d.C.), ossia Ermete Trismegisto, viene identificato con un Profeta, Idris, mentre in alcune tradizioni islamiche viene identificato in una triade di personaggi, di grande saggezza, uno dei quali vissuto prima del Diluvio e gli altri due (uno babilonese ed uno egizio) dopo il Diluvio.

 

Espansione dellIslam e nuovi polisincretismi

L’espansione islamica dalla Penisola Araba alle regioni mesopotamiche, della costa siro-palestinese, iraniche e del maghreb porta a nuovi polisincretismi, che fanno fiorire in particolare le correnti sufiche le quali, a loro volta, costituiscono brodo di cultura, canale privilegiato, porta principale perché essi si manifestino; così è, ad esempio, per l’influsso delle correnti dualistiche iraniche in ambito sufi. Ad esempio, nel IX secolo, il maestro sufi al-Hakim al-Tirmidi propone che si può ottenere la “intimità” (wilaya) con Dio attraverso un “servizio sincero, un concetto ripreso secoli dopo in ambito cristiano da Teresa d’Avila. Tale possibilità, però, è graduata, cosicché se tutti i musulmani possono raggiungere un primo livello (amma) enunciando la “proclamazione di fede” (shahada), solo una élite di “intimi” (awliya) possono accedere al secondo e più alto grado (khassa); questa ripartizione riprende quella delle concezioni dualistiche iraniche e verrà ripresa successivamente dalle concezioni esoteriche in ambito europeo .

La dimensione esoterica non è affatto estranea alle correnti sciite, anzi, essa è ancor più accentuata nell’Ismailismo sciita, che oggi appare erroneamente una corrente marginale dell’Islam e che invece fu un fenomeno di amplissima portata e grandissima importanza, le cui conseguenze si proiettano, come vedremo, in vari modi fino all’oggi. Va ricordato a questo proposito come elemento introduttivo storico che una delle correnti ismailite, quella Fatimide, dominò il Nordafrica, dall’Algeria all’Egitto,  e la Sicilia nel X secolo.

 

Sfere essoterica ed esoterica nell’Ismailismo

Di Nola (L’Islam, Newton Compton, Roma, 1991) nota come nell’Ismailismo si considerino due sfere, quella “essoterica”, per tutti i credenti, centrata sul seguire gli insegnamenti coranici e canonici, perseguire la vita retta ed esercitare la pietà religiosa (zahir), ed una segreta, “esoterica”, “interiore” (batin, e per questo gli Ismailiti vennero detti anche Batiniya), riservata agli “eletti”, che può essere anche in netto contrasto con i dettami canonici ed è chiaro come anche in questo caso siano necessarie concezioni e pratiche dissimulative, che ben si sposano col fatto che il Sufismo non è appannaggio solo delle correnti sunnite ma fortemente presente anche in quelle sciite. Due esempi vengono citati da Di Nola nel suo testo; il primo è quello della setta qaramita (detta “dei Carmati” in Occidente), nata ad opera di gruppi radicali ismailiti attorno all’877 nella Bassa Mesopotamia. La creazione di questa confraternita che possiamo definire “militante” deriva dalla fusione di elementi della antica cultura nabatea, di elementi di ribellismo politico radicale e di elementi dell’Ismailismo che danno origine a vere e proprie “comunità ribelli” con un carattere che Hakim Bey chiamerebbe “TAZ” (Temporary Autonomous Zones), ossia di rifiuto totale delle strutture e delle sovrastrutture delle Istituzioni islamiche dominanti all’epoca; le concezioni della Qaramita includono elementi di esoterismo numerologico, gnostico e sufico ed essa pratica la totale dissimulazione, avendo un’organizzazione totalmente segreta ed articolata in livelli concentrici di adesione e di conoscenza iniziatica.

L’altra esperienza citata da Di Nola è quella dei Drusi, che paradossalmente sono più noti, almeno nominalmente, in Occidente oggi per il loro ruolo nell’area che va dalla parte settentrionale della Palestina e dalle Alture del Golan occupate dagli Israeliani, ad aree della Siria, ai Monti dello Chouf libanesi, dove hanno avuto fra l’altro grande importanza durante le varie guerre che hanno insanguinato per decenni il Libano. Anche i drusi sono una filiazione, originariamente, dell’Ismailismo, e nascono dall’azione di un certo Darazi, che nel 1018 inizia a sostenere che il califfo fatimida al-Hakim è in realtà l’incarnazione di una “Religione Universale” che trascende Ebraismo, Cristianesimo, Islam, ecc. ed ha in modo esoterico “transitato” attraverso Adamo, i Profeti (incluso l’ultimo di loro, Muhammad), Ali (secondo la tradizione Alicentrica che oppone appunto ai Sunniti gli Sciti, che nascono proprio come “partito di Ali”) ed i califfi fatimidi. I Drusi, proprio sulla base di questa apparente gigantesca “apertura” al trasversalismo religioso, portano in realtà le concezioni della dissimulazione, dell’esistenza dei livelli iniziatici differenziati, dell’esoterismo del proprio pensiero ai livelli estremi. Per loro mentire all’”infedele”, in qualsiasi situazione (non solo di pericolo) non è neppure un diritto ma un dovere, i loro testi sacri sono del tutto segreti ed ignoti agli stessi studiosi, i livelli di conoscenza sono addirittura tre (cosa che verrà poi copiata dai Templari…..): quello di base, degli “ignoranti” (guhlal), quello intermedio, degli “istruiti” (‘uqqal) e infine quello dei “perfetti” (agawid), la stessa denominazione che useranno poco tempo dopo i Catari/Albigesi in ambito cristiano. E’ la medesima tripartizione di livello propria anche di altre confraternite sciite radicali, come i Nusayri siriani, fioriti successivamente, fra i secolo XIV e XV, che nelle loro concezioni riprendono molti elementi del dualismo iranico e che adottano festività esplicitamente sincretiche: Natale, Battesimo di Gesù, Domenica delle Palme, Pasqua, Pentecoste, San Crisostomo, Santa Caterina, Santa Barbara assieme alle festività canoniche dell’Islam sciita; una confraternita che nel suo trasversalismo religioso figlio in effetti dei polisincretismi addirittura accetta la concezione di matrice indiana della reincarnazione.

Più in generale, e si tornerà su questo aspetto, l’Ismailismo nelle sue diverse correnti è stato una fucina di polisincretismi dal forte contenuto esoterico, ma anche spesso dall’accentuato carattere di radicalismo politico, le cui influenze si proiettano fino all’attualità, ma l’Ismailismo e in generale l’ambito sciita non hanno alcun monopolio di simili realtà; basti pensare in ambito sunnita alla Mawlawiyya, fondata nel XIII secolo in Anatolia e dotata anch’essa di una gerarchia iniziatica, la confraternita divenuta famosa per le sue pratiche estatiche basate sulla danza rotatoria (“dervisci danzanti”) e che ebbe una grande influenza nell’Impero Ottomano, che attingeva sincreticamente a concezioni sul rapporto fra estasi e danza rotatoria già citate da Aristofane e che vengono dall’universo culturale antico indo-persiano.

Ha poco senso, quindi, ridurre ad esempio l’Ismailismo nel suo complesso e anche le tante sue diverse e spesso opposte correnti alla categoria di “eterodossia”, tanto più che in aree non insignificanti e per periodi non irrilevanti (si è visto l’esempio dei Fatimidi) correnti islamilite hanno egemonizzato il potere politico-istituzionale e militare e sono state, quindi, tutt’altro che marginali e gli effetti di tali egemonie e della loro fine si scontano ancora adesso. Basti ricordare che il Califfato fatimida, trasferitosi dalla originaria sede di Al Mahdia nell’odierna Tunisia alla città costruita ex-novo de Il Cairo, sul Nilo, nel 969, venne abbattuto non dai crociati cristiani, ma dai musulmani sunniti. Fu infatti il sovrano sunnita della dinastia Zengide Norandino ad inviare le truppe comandate dal condottiero curdo Shirkuh contro i Fatimidi de Il Cairo e fu il nipote curdo di Shirkuk Salah ad-Din (noto in Occidente come Saladino) che si impose come vizir della capitale fatimide e poi, nel 1171, impedì la successione dell’ultimo imam fatimide e riunificò le terre dominate dai Fatimidi a quelle dell’Islam sunnita, creando così oltre tutto le condizioni per la grande campagna islamica di riconquista delle città mediorientali occupate dai Crociati. Crociati che, invero, avevano avuto invece rapporti dialettici quando non ottimi sia con i Fatimidi, sia con l’altro nemico acerrimo dell’Islam sunnita (e del Saladino), la setta degli Hashishin (su cui sarà necessario pure tornare per la sua importanza) che flirtava apertamente coi templari, ispirandone oltre tutto molti elementi organizzativi, simbolici, architettonici, concettuali e culturali in genere.

 

Altre confraternite

Altre confraternite in ambito islamico sviluppano pratiche non casualmente consimili a quelle del cosiddetto “fachirismo” indiano; è il caso della Rifa’iyya, che esiste dal XII secolo, i cui aderenti ingoiano serpenti, si rotolano sui carboni ardenti, ovvero quello della Kubrawiyya, nata invece alla fine del XIII secolo, che centra le sue pratiche estatiche attraverso la percezione della luce in vari colori, attraverso la ricerca di apparizioni e di quella di fenomeni cosiddetti “sovrasensibili”, mentre in Africa Settentrionale sempre nel XIII secolo sorge la confraternita Madaniyya, nota soprattutto per l’impiego rituale di talismani, pozioni e filtri “magici”.

Sarebbe forse pretendere troppo da media e “cultori della materia” (non dico certo da politicanti islamofobi….) occidentali che si appiattiscono su stereotipi di comodo nel trattare le drammatiche vicende che l’Occidente stesso ha innescato nell’arco che va dall’Afghanistan all’Algeria che si ponesse maggiore attenzione a quanto siano rilevanti i ruoli che polisincretismi, influssi di concezioni esoteriche, divaricazioni e rivalità fra correnti islamiche hanno nelle vicende degli ultimi cento anni in Medio Oriente e nel Maghreb e di quanto le diverse realtà sufiche e sciite ovvero anti-sufiche ed anti-sciite islamiche abbiano giocato e giochino da attori e talora da marionette in tali contesti; certo tali dimensioni erano perfettamente presenti ai grandi studiosi soprattutto della scuola britannica che furono per tutto il secolo XIX e la prima metà del XX i consulenti ed i co-progettisti dei piani del colonialismo e poi del neocolonialismo in quelle terre. Essi sapevano con che cosa avevano a che fare, sapevano come usare quel “qualcosa” nel Big Game contro la Russia zarista e nella competizione con la potenza coloniale francese, sapevano come alimentare (quando non creare) le discordie ed i conflitti che servivano nella logica del divide et impera ed hanno lasciato una messe di studi, una ricca panoplia di metodologie che i loro poveri epigoni euro statunitensi non sanno neppure usare, persi come sono dietro al loro delirio di onnipotenza produttore di documenti falsi per innescare guerre (Iraq) e impantanamenti di fatto a combattere ogni volta quei soggetti che essi stessi hanno allevato, ieri “combattenti per la libertà”, poi “terroristi”, poi ancora “ribelli moderati”.

Se una analisi di quei polisincretismi venisse fatta davvero, si capirebbero meglio il rapporto fra Sciiti e Sunniti in Iraq, il ruolo degli Alawiti in Siria e quello dei Drusi in Libano, la disomogeneità kurda, il fenomeno wahabbita, quello del marabuttismo maghrebino, quello del radicalismo pashtun e quello del secessionismo del Balucistan e molto altro.

Ma da qualche decennio si crede in troppi ambiti occidentali che basti lo strapotere militare per dominare senza costruire una vera egemonia, nonostante dal Vietnam in poi quello strapotere non abbia mai vinto davvero un solo conflitto (al di là dei farseschi “mission accomplished”). Così, a studiare quegli aspetti, a cercare di interpretarli, di capirli, anche di usarli, a parte inascoltati studiosi occidentali come Cardini e qualche rivista come LIMES, è rimasta l’altra scuola, quella russa, che, anch’essa radicata nel Big Game fin dall’epoca zarista, non ha certo impedito errori ed orrori come quelli delle repressioni zariste nel Caucaso o dell’intervento sovietico in Afghanistan, ma ha almeno garantito la non-rimozione di analisi particolareggiate, etnostoriche, etnoreligiose, antropologiche senza le quali gli insuccessi sarebbero sicuri. E i risultati anche di questa differenza, oltre che di altre, si vedono quotidianamente……

 

I libri di Silvio Marconi

 

Uno studio che, lungi dall’avere un obiettivo “enciclopedico” o di minuziosa analisi storica, vuole evidenziare quelle connessioni e correlazioni – tradizionalmente taciute e rimosse – tra i fenomeni ed i processi che portarono alla crisi ed al crollo dell’Impero Romano d’Occidente e quelli operanti in un’Asia la cui complessa storia viene, tuttora, sottovalutata.
Quando una farfalla batte le ali in Cina si sofferma sul ruolo che, nella crisi e nel crollo dell’Impero Romano d’Occidente, ebbero tanto la Persia quanto, indirettamente, la Cina, dimostrando come il pregiudizio etnocentrico che ancora permea la formazione, la divulgazione e la costruzione dell’immaginario occidentale sia un pernicioso ostacolo a una comprensione di ben più ampio respiro e alla lezione metodologica che ne se ne può trarre.
In questa prospettiva, il riconoscimento di una molteplicità di poli e fattori transculturali è la precondizione per affrontare qualsiasi problematica: storica, politica, economica o strategica.
Una precondizione troppo spesso, volutamente, ignorata da una cultura occidentale che, a differenza di quelle orientali, ha rifiutato la logica olistica privilegiando un approccio molto settoriale.

 

Silvio Marconi – ingegnere, antropologo, operatore di Cooperazione allo sviluppo, Educazione allo Sviluppo e Intercultura – fa ricerca, da anni, nell’ambito dell’antropologia storica e dei sincretismi culturali. Ha pubblicato, al riguardo: Congo Lucumì (EuRoma, Roma, 1996), Parole e versi tra zagare e rais (ArciSicilia, Palermo, 1997), Il Giardino Paradiso (I Versanti, Roma, 2000), Banditi e banditori (Manni, Lecce, 2000), Fichi e frutti del sicomoro (Edizioni Croce, Roma, 2001), Reti Mediterranee (Gamberetti, Roma, 2002), Dietro la tammurriata nera (Aramiré, Lecce, 2003), Il nemico che non c’è (Dell’Albero/COME, Milano, 2006), Francesco sufi (Edizioni Croce, Roma, 2008), Donbass. I neri fili della memoria rimossa (Edizioni Croce, Roma, 2016).

Prezzo di copertina: 18 euro Prezzo effettivo: 15.5 euro