I Quaccheri: una breve presentazione (Seconda parte)

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I Quaccheri: una breve presentazione (Seconda parte)

Abbiamo concluso il post precedente accennando al prossimo trasferimento di drappelli di quaccheri inglesi verso il Nuovo Continente. Li seguiremo, dunque, in tempi ragionevoli oltreoceano ma, al momento, mi voglio concedere una breve premessa parzialmente autobiografica.

Domenica scorsa ho voluto visitare una storica Meeting House della Religious Society of Friends in una cittadina satellite di Liverpool: Saint Helens.

È una meeting house di dimensioni contenute ma ha la particolarità di essere il più antico edificio municipale. Ha iniziato ad essere utilizzato dalla Religious Society of Friends, nel 1678, per iniziativa del pittore quacchero George Shaw of Bickerstaffe.

A chi volesse avere maggiori informazioni su questa Meeting House segnalo questo pdf, corredato anche con buone fotografie: St Helens Meeting House.

Ho scelto di iniziare il secondo post di breve presentazione dei Quaccheri da questo luogo perché ha una sua “strategicità temporale”, oltre ad averne avuto, per un certo periodo, una geografica.

La meeting house ha iniziato ad essere utilizzata dai Friends in un periodo a cavallo tra la promulgazione del Conventicle Act (1664) − il cui dichiarato intento era sopprimere le assemblee (raduni con più di cinque persone di età superiore ai sedici anni) religiose non conformiste (non autorizzate, cioè, dalla Chiesa d’Inghilterra), dando vita a parte delle persecuzioni cui abbiamo accennato nel post precedente −, il suo inasprimento nel 1670 e l’inizio di una maggiore distensione, con la promulgazione del Toleration Act, nel 1689.

Uno dei vantaggi della Meeting House di Saint Helens, data la criticità del suo primo periodo di attività, era la sua posizione relativamente remota (dato che la cittadina ancora non esisteva, dunque l’edificio era praticamente isolato in campagna) ma, allo stesso tempo, non molto distante da alcuni centri importanti dell’Inghilterra del nord-ovest, primi tra tutti:  Liverpool e Manchester.

Come potete vedere dalle foto del pdf segnalato, la Meeting House, con le sue lunghe panche di legno, ha mantenuto un aspetto piuttosto retrò che ricorda la dimensione assembleare dei Quaccheri dei secoli passati. Avviciniamoci ora, come promesso, agli Stati Uniti, più precisamente alla Pennsylvania, ovvero: alla “foresta di Penn”.

 

 

William Penn raccontato da Voltaire

 

Di poco successivo alla fondazione della Meeting House di Saint Helens è il testo di Voltaire Letters Concerning the English Nation. La prima edizione, pubblicata a Londra, è del 1733[1] e se ne trova una copia nella biblioteca della Meeting House di Liverpool che ho letto con grande interesse. È una raccolta di brevi saggi, in forma di lettere, che Voltaire compose a seguito di un suo soggiorno in Inghilterra di circa tre anni (1726-1729). L’edizione presente nella Meeting House liverpulliana è anche disponibile on line, sul sito archive.org (scaricala qui: Letters Concerning the English Nation).

Nelle prime quattro lettere Voltaire parla dei Quaccheri: l’argomento maggiormente trattato nella sua opera. Dedicherà difatti solo una lettera rispettivamente alla: Chiesa d’Inghilterra, ai Presbiteriani e ai Sociniani o Antitrinitari, una al Parlamento, una al Governo per poi occuparsi, in altre lettere, di importanti personaggi inglesi: Bacone, Locke, Newton e di altre istituzioni del paese.

In breve: l’illuminista Voltaire − vissuto tra il 1694 ed il 1778 − mostra di avere una particolare simpatia per i Friends e si sofferma, nell’ultima lettera che dedica loro, a delinearne cruciali passaggi storici.

Voltaire scrive meno di vent’anni dopo la morte di William Penn (1644-1718) e possiamo dire non sia avaro di parole lusinghiere riguardo questo illustre quacchero che ebbe un ruolo di primo piano nella migrazione e nel radicamento di molti suoi correligionari (oltre che di altri, cosiddetti, Dissenters: appartenenti ad altre denominazioni del Protestantesimo radicale inglese, talora con ramificazioni in Olanda ed altri paesi europei) nel Nuovo Continente.

Traduco liberamente passaggi inerenti William Penn dal libro di Voltaire, con le pagine spesse e un po’ pesanti ed un inconfondibile “odore di storia”:

 

«Intorno al 1666 emerse la figura illustre di William Penn che implementò il potere dei Quaccheri in America e li avrebbe fatti apparire venerabili agli occhi degli europei. Era l’unico figlio del vice-ammiraglio Penn, particolarmente caro al Duca di York che sarebbe, successivamente, diventato re con il nome di Giacomo Secondo (James II). All’età di vent’anni William Penn incontra un quacchero a Cork, in Irlanda (Thomas Loe), dopo averlo conosciuto ad Oxford e diventa un quacchero a sua volta, facendosi presto notare. Forma infatti una “società” di giovani quaccheri che si incontra  nella sua abitazione. Di ritorno a casa del padre, invece di inginocchiarsi chiedendo la sua benedizione, mantiene in testa il suo cappello[2] dicendogli: caro amico, sono contento di trovarti in buona salute! Il vice-ammiraglio pensa, in principio, che il figlio sia impazzito per scoprire presto che è, semplicemente, diventato un quacchero. Inutili i tentativi del padre di farlo tornare ad avere un comportamento “normale” o, almeno, di ottenere che si tolga il cappello di fronte al Re ed al Duca di York, evitando di usare i pronomi confidenziali Thee e Thou. William si ritrova dunque cacciato di casa e, grato a Dio per avergli dato, in giovane età, l’opportunità di soffrire per la Sua causa, inizia a convertire un alto numero di persone. La fama di William Penn giunge alle orecchie di George Fox che lo raggiunge a Londra. Insieme decidono di andare “in missione” in altri paesi e [nel 1677] si imbarcano per l’Olanda dove vengono accolti con grande favore da Elisabetta di Boemia, Principessa Palatina cui Cartesio dedicò la sua opera I Principia. La Principessa tiene diversi incontri, con i Friends, nel suo palazzo all’Aia, sviluppando un’opinione altamente positiva del Quaccherismo[3].

In Germania, dove l’abitudine di usare Thee  e Thou non viene affatto approvata, l’accoglienza non è altrettanto calorosa. Di ritorno in Inghilterra, William Penn si riconcilia con il padre, oramai gravemente malato e da cui riceve, poco dopo, una ricca eredità, consistente soprattutto in crediti con la corona britannica. Ottiene dunque potere sovrano su di una provincia americana a sud del Maryland, mettendosi in viaggio, con due navi cariche di Quaccheri, alla volta di quella che sarà la Pennsylvania dove William Penn fonderà la città di Filadelfia, ad oggi [siamo alla fine degli anni Venti del diciottesimo secolo] la città più fiorente in America.

 

 

Il primo passo di William Penn è l’alleanza con i suoi vicini nativi americani con l’unico trattato − tra la gente originaria di quel continente e Cristiani − non ratificato da un giuramento e che non è stato mai disatteso. Il nuovo sovrano è, allo stesso tempo, il legislatore della Pennsylvania, autore di leggi “prudenti” che, sino ad oggi, non sono state cambiate. La prima è di non nuocere a nessuno sulla base di ragioni riconducibili alla religione e di considerare alla stregua di fratelli tutti coloro che credono in Dio. Dunque anche molti mercanti iniziano a popolare la colonia ed i nativi, invece di fuggire nei boschi, fraternizzano con i pacifici Quaccheri (contrariamente a quanto accaduto con altri Cristiani che hanno conquistato e sfruttato l’America). Molti tra loro, di conseguenza, si convertono.

Non può non essere del tutto inusuale, per un sovrano, che il più povero dei suoi sudditi vi si rivolga utilizzando i pronomi confidenziali Thee e Thou. È altrettanto inusuale, per un governo, non avere neanche un prete al suo interno e, per la gente comune, non possedere armi, né di offesa né di difesa, per coloro addetti ai pubblici uffici essere assolutamente alla pari con tutti gli altri e per i vicini non avere rapporti di rivalità reciproca. William Penn può essere dunque glorificato per aver portato sulla terra la tanto decantata “età aurea” che, probabilmente, non è mai esistita se non in Pennsylvania».

 

Purtroppo l’età dell’oro in Pennsylvania (l’ambizioso esperimento inizia nel 1681) non dura a lungo. Nel tempo, i Quaccheri divengono minoritari mentre i nuovi coloni, usi a sistemi maggiormente spregiudicati, assumono gradualmente il controllo del territorio. Nel 1756 il consiglio di Pennsylvania dichiara guerra a due tribù di nativi ed i pochi Quaccheri che vi sono rimasti decidono di lasciarlo.

 

 

Da “movimento” a “istituzione” con assonanze quietiste

 

Stando a diversi contributi sull’esperimento in Pennsylvania, il pacifismo dei Quaccheri si rivela problematico ma, allo stesso tempo, profondamente ispiratore di quella che sarebbe stata la successiva democrazia americana. La società intellettualmente e religiosamente plurale che i Quaccheri contribuirono notevolmente, non senza fatica, ad implementare in Inghilterra e che affascinò, come abbiamo visto, l’illuminista Voltaire, si affermò facilmente anche negli Stati Uniti.

Filadelfia è stata la città dove sono state redatte la Dichiarazione d’Indipendenza, il 4 luglio 1776 e la Costituzione degli Stati Uniti, stilata tra maggio e settembre 1787 per poi essere ratificata a giugno dell’anno successivo. Fino agli inizi dell’Ottocento Filadelfia era la città più grande in America e, dal 1790 al 1800, è stata la capitale provvisoria degli Stati Uniti.

L’inizio del Settecento vede i Quaccheri in un processo di ripiegamento su loro stessi. L’ambizione di realizzare un mondo diverso era stata ridimensionata dalla riuscita, possiamo dire, solo parziale dell’esperimento in Pennsylvania. Secondo alcuni commentatori, scrive John Punshon nel suo bel libro Portrait in Grey. A Short History of the Quakers, le stesse persecuzioni che avevano subito in Europa avevano contribuito a “spengere il loro ardore iniziale” ed il ritiro dal mondo poteva essere visto come una sorta di recuperative process (processo recuperativo, per quanto credo l’espressione inglese sia piuttosto intellegibile). Lo stesso Punshon, tuttavia, ritiene che questa appena esposta non possa essere la sola spiegazione. È un dato certo che, diversamente da altri gruppi dissidenti nella vecchia Europa, i Quaccheri escano rafforzati dai tentativi di sopprimerli ma si trovano costretti a darsi un’organizzazione più rigorosa (anche forti di alcune cruciali pubblicazioni di importanti autori della Society: il già citato William Penn e Robert Barclay, per menzionare i più importanti che ne fanno “un popolo del libro”) che, a parere di Punshon, compromettono, in qualche modo, la libertà spirituale dei tempi in cui, più che un’istituzione, erano un movimento (per usare le categorie care al sociologo Francesco Alberoni). Va poi detto che, trovandosi contemporaneamente a crescere nel vecchio e nel nuovo continente, si trovano a seguire due percorsi paralleli pur, naturalmente, comunicanti, trovandosi esposti a diverso genere di influenze. Interessante l’accostamento che viene fatto in maniera, direi unanime, dagli studiosi tra l’orientamento settecentesco della Religious Society of Friends ed il Quietismo. In effetti le somiglianze tra i due fenomeni sono evidenti, mentre si può dibattere sulla misura in cui si possano considerare rilevanti. Merita sicuramente segnalare che quello che viene considerato il massimo esponente del Quietismo: Miguel De Molinos, vissuto tra il 1628 ed il 1696 è un contemporaneo di George Fox (vissuto, come abbiamo visto, tra il 1624 ed il 1691). Torna dunque ad essere pertinente il filo rosso, rafforzato nel caso di Fox e Molinos anche da una stretta coincidenza cronologica, cui si accennava nel post precedente tra diverse esperienze religiose, trasversali a diverse tradizioni che abbiano come minimo comun denominatore quella che abbiamo definito una “religiosità interiore”: una tendenza insopprimibile che attraversa, spesso sotto traccia, la storia del sacro.

Ho consultato diverso materiale sul Quietismo, preoccupato di non essere riduttivo nella sua, pur necessariamente sintetica, presentazione.

Ho scelto, alla fine, di proporre qui il seguente passaggio ripreso da questo sito:

 

«Autori e scritti “quietisti” rivelano, come primo dato, che essi si muovono in un clima e in un ambiente tipicamente mistico e concentrano la loro attenzione o preoccupazione nella spiritualità personale di raccoglimento o interiorità; la chiave di riferimento è nel binomio meditazione-contemplazione sotto molteplici forme ed espressioni. La più caratteristica è la contemplazione di “quiete” da dove deriva immediatamente il tipico “quietismo”.

[…]

In consonanza con questo basilare punto di partenza, il quietismo si presenta come un metodo o cammino sicuro e veloce per raggiungere la perfezione. Consiste fondamentalmente in un processo di interiorizzazione nel quale lo sforzo personale della meditazione e dell’attività personale deve andare diminuendo praticamente fino a scomparire, essendo sostituito dalla contemplazione ogni volta più pacifica e spontanea della quiete.

L’attenzione dell’anima e del direttore spirituale devono porsi in modo da non disturbare l’azione divina, lasciando che Dio faccia la sua opera in maniera più efficace di qualunque impegno umano. L’atteggiamento di quiete, ricettività e passività è fondamentale. Lo sforzo umano deve concentrarsi sulla pratica delle virtù e sulla purificazione delle passioni per non ostacolare l’opera divina nell’anima. Ad un determinato livello è opportuno ridurre l’attività delle opere esteriori, delle pratiche devozionali e degli esercizi ascetici, per quanto meno vantaggiosi, inclusi gli ostacoli per l’attenzione intima all’unione contemplativa.

Quando si vuole raggiungere la perfetta quiete, e l’attenzione dello spirito è concentrata in Dio, è segno che si è arrivati al totale abbandono in Dio[4] con assoluta indifferenza rispetto ai propri interessi e ai successi della vita. Importante, allora, è non perdere questa passività dinanzi all’azione di Dio».

 

In estrema sintesi potremmo dunque dire che i Quaccheri, nel corso del Settecento, divengano più quietisti ma, allo stesso tempo, maggiormente strutturati, ripiegandosi sulla propria vita di comunità. È ad esempio interessante il dato che, fino al 1859, era impossibile rimanere tali se ci si sposava al di fuori della Religious Society of Friends.

Allo stesso tempo, verso la fine dello stesso secolo, sull’onda lunga della rivoluzione industriale, si sviluppano veri e propri imperi quaccheri nell’industria, nel commercio e nelle banche.

Il mondo quacchero sviluppa dunque anche una propria natura, pur fortemente, “elitaria” e, di conseguenza, la sua sfera di influenza si allarga, bilanciando con la cosiddetta Faith in Action (Fede attiva) la tendenza quietista che ha continuato tuttavia ad essere una delle caratteristiche della Society.

È riconducibile in buona parte agli sforzi dei Quaccheri la promulgazione, nel 1833, del British Slavery Abolition Act (il decreto di abolizione della schiavitù nelle colonie britanniche), cui ne avrebbero fatto seguito altri, nei decenni successivi, negli Stati Uniti.

Concludiamo qui questo secondo contributo di breve presentazione della Religious Society of Friends. Nel terzo e ultimo contributo riprenderemo a seguire il lavoro dei Quaccheri nel corso del diciannovesimo e del ventesimo secolo, giungendo sino ai giorni nostri. Del resto ritengo che la storia di questa espressione anticonformista del Cristianesimo sia talmente articolata ed appassionante che non poteva non essere diluita in diversi post.

Manuel Olivares

 

I Quaccheri: una breve presentazione (Prima parte)

 

[1] Il testo venne tradotto in francese l’anno successivo. La Francia, tuttavia, era ancora sotto una monarchia assoluta (siamo in pieno Ancien Régime), basata sul diritto divino del re e in cui la chiesa cattolica aveva, di conseguenza, un ruolo dominante. Il testo venne dunque rapidamente identificato come sgradito al regime e venne rapidamente soppresso. Venne ripubblicato, nel 1758, con il titolo definitivo: Lettres philosophiques.

[2] L’abitudine, tutta quacchera, di non togliersi il cappello davanti ai “superiori”, venne inaugurata dal fondatore della Religious Society of Friends, George Fox, assieme al rifiuto di giurare e all’utilizzo dei pronomi confidenziali: Thee e Thou, equivalenti all’utilizzo del tu, in italiano, in alternativa prima all’utilizzo del voi (che sappiamo essere ancora in uso in alcune aree del sud-Italia) e poi a quello, più comune, del lei. Queste espressioni anticonformiste rimasero a lungo una delle caratteristiche peculiari dei Friends o Quaccheri.

[3] In realtà, stando al testo di Rufus M. Jones: The Story of George Fox (MacMillan & Co, London, 1922), il fondatore della Religious Society of Friends non avrebbe mai incontrato, di persona, la Principessa Palatina che invece incontrò William Penn e Robert Barclay (altra figura fondamentale della Society) in un loro precedente viaggio. George Fox, scrive Rufus M. Jones, non potendola incontrare di persona, le scrisse una lettera di forte pregnanza religiosa che venne molto apprezzata dalla destinataria. Questa, in una lettera di risposta, promise di seguire i consigli di Fox, “nella misura in cui Dio le avrebbe dato la luce per farlo”.

[4] Il concetto di totale abbandono in Dio viene espresso con il termine arabo Fanā, nel Sufismo.