Falso è diverso da discutibile

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Falso è diverso da discutibile

Il primo di una serie di articoli di approfondimento del nostro collaboratore Silvio Marconi.

 

Nella precedente serie di articoli, si è affrontata sinteticamente la questione delle “invenzioni identitarie” e delle mistificazioni connesse ad esse. Ora si vuole approfondire una delle questioni a cui si è fatto cenno in quegli articoli, per evidenziare le differenze esistenti fra diversi tipi di pericoli insiti nelle procedure, nelle metodologie, negli strumenti usati da soggetti di vario genere in epoche e luoghi distinti nell’attività che abbiamo chiamato “invenzione identitaria”.

Questa differenziazione ed il suo evidenziamento sono importanti perché non tutti i meccanismi hanno conseguenze altrettanto significative e devastanti e, conseguentemente, a tale differenza deve corrispondere necessariamente una diversità nelle reazioni necessarie per non permettere che quei meccanismi portino alle conseguenze insite nella loro applicazione.

La prima distinzione, che sembra da un lato banale e dall’altro manichea, è quella fra l’uso di elementi discutibili e l’uso di elementi indiscutibilmente falsi nei processi di definizione identitaria. Ci si deve innanzi tutto chiedere se tale distinzione sia possibile e legittima e la risposta è in entrambi i casi positiva solo che non si usino criteri soggettivi e ci si riferisca per determinare la “verità” di un concetto solo su elementi scientifici e non ideologici, religiosi o di altro tipo. Per un sostenitore dell’assolutismo monarchico, l’idea stessa di un sistema repubblicano è inaccettabile esattamente come per il sostenitore di un sistema repubblicano risulta da respingere l’istituto monarchico in sé, assolutista o costituzionale; così la questione venne risolta nel referendum italiano del 1946 con la scelta netta fra i due sistemi, non con impossibili compromessi, ma ciò non toglie che il sistema monarchico e quello repubblicano coesistano ancora nel nostro Pianeta, siano riconosciuti entrambi dall’ONU e non abbiano l’uno minore legittimità dell’altro. Nel sistema monarchico, però, e precisamente nella sua forma più “pura” ed assolutista, il sovrano è tale “per grazia di Dio” (nei sistemi di monarchia costituzionale lo è “per grazia di Dio e volontà della Nazione”) e questo legame tra sovranità regia e divinità implica due passaggi assai discutibili: quello circa l’esistenza di una divinità e quello circa un ruolo della volontà specifica di tale divinità  nella scelta del sovrano. Sul piano scientifico, che è quello che contraddistingue la modernità in tutto il Mondo, non esiste alcuna possibilità di dimostrare l’esistenza o l’inesistenza di Dio (uno o plurale), come invece si può ormai provare senza ombra di dubbio che la Terra non è piatta e che essa ruota attorno al suo asse ed attorno al Sole; meno ancora può esistere una dimostrazione del fatto che, pur ammettendo l’esistenza di una divinità, si debba ritenere che essa non sia un “Creatore assente”  (ossia responsabile della Creazione ma che non interviene in alcun modo negli eventi umani), come pure sostengono invece numerosi credi religiosi attuali o del passato, invece che un soggetto che agisce così specificamente nelle vicende umane dall’avere anche il compito di…scegliere i sovrani, ma non si può dimostrare scientificamente neppure il contrario.

Paradossalmente, dunque, una costruzione identitaria centrata su un fattore dinastico, come in effetti è avvenuto varie volte nella Storia, è certamente discutibile e rifiutata ad esempio dalla coscienza civile di chi si riconosce nella Costituzione repubblicana italiana ma non è di per sé “falsa”. Lo stesso vale naturalmente per ogni altro tipo di strutturazione di un sistema politico basato su progetti che sono discutibili ma non “falsi”: una società fondata su un comunitarismo anarchico, un sistema oligarchico, la repubblica centrata sui Soviet, lo Stato liberale classico, le “comuni popolari” maoiste, una “democrazia assembleare” ed altri sono modelli discutibili di società ma nessuno di essi può essere definito “falso” se non nel fuoco della polemica politica e dello scontro più duro. Costruire una identità collettiva sulla base dell’adesione a uno di quei modelli è possibile ed in effetti è avvenuto, al di là degli stessi vincoli di confini, nazioni, lingue; ad esempio i gruppi anarchici hanno sempre avuto una comunanza identitaria fatta non solo della condivisione del comune ideale anarchico ma anche di linguaggi, ritualità, simbologie, pratiche travalicanti le nazioni di appartenenza o di residenza e l’internazionalismo socialista e comunista non è stato solo le tre “Internazionali” né men che mai solo il ruolo dell’URSS ma ha visto anch’esso la costruzione di una identità collettiva articolata, ricca di pratiche e di memorie, di simboli e di strutture, di riti e di linguaggi e lo stesso si può dire per ogni altra realtà politico-ideologica basata su elementi discutibili ma non falsi. Infatti è discutibile se deve esistere o meno uno Stato, se deve sussistere o meno la proprietà privata, se il potere deve essere assicurato ai rappresentanti della classe operaia o ad oligarchi presuntamente “illuminati” ma tutto ciò non ha di per sé elementi di falsificazione essenziale, anche se nella propaganda e nella lotta, nell’azione pratica quotidiana e nella gestione delle istituzioni si possono perfettamente usare (e si sono usate) anche elementi falsi a sostegno della propria posizione.

Diverso è, invece, il caso di un modello sociale che si basi sul presupposto di una differenziazione degli esseri umani, ad esempio, in liberi” e “schiavi”; sebbene sia stato il sistema dominante in quasi tutte le società antiche ed in molte di  quelle meno antiche e sia stato sostenuto da insigni filosofi come Aristotele, in quanto non esiste in realtà alcuna differenziazione alla nascita fra gli esseri umani e qualunque artificiale divisione degli stessi si basa pertanto sulla falsità; naturalmente lo stesso si può dire di tutte le tendenze razziste, posto che in effetti la differenziazione dell’Umanità in “razze” semplicemente non esiste e quindi ogni costruzione ideologica basata su questa concezione si fonda su un palese falso.

Sudisti nordamericani e nazisti, sostenitori dell’apartheid sudafricani e ustascia croati, suprematisti texani e “banderisti” ucraini di Piazza Maidan, generali nipponici della Seconda Guerra Mondiale e colonialisti italiani in Libia, “rivoluzionari” francesi cannoneggiatori dei Neri di Haiti e Cavalieri Teutonici, docenti italiani firmatari del “Manifesto fascista della Razza” ed estremisti suprematisti indù hanno tutti una base comune: un falso che diffonde il suo veleno lungo i fili della discriminazione e dell’oppressione, della strage e della deportazione, ma che resterebbe falso anche se non producesse tali conseguenze infami, che hanno moltissimo a che vedere con la “fabbricazione delle identità”.

Ci si potrebbe chiedere se coloro, soprattutto i più acculturati fra loro, che hanno in vari luoghi ed epoche sostenuto la falsificazione razzista e che ne hanno tratto sistematicamente quelle conseguenze atroci fossero davvero convinti di quella tesi o si rendessero conto del suo carattere falso. Se leggiamo Aristotele e gli autori classici greci e romani troviamo una convinta giustificazione dello schiavismo che, però, non assume caratteristiche “razziali”, sebbene si tratti sempre di una falsa distinzione degli esseri umani alla nascita: Greci e Romani schiavizzavano, certo, i popoli vinti, ma anche i debitori del proprio stesso popolo e non facevano alcuna distinzione etnica di tipo “razziale,  tanto è vero che Roma ebbe imperatori nordafricani e mediorientali e che con l’Editto di Caracalla (212 d.C.) tutti gli abitanti liberi dell’Impero ottennero la cittadinanza romana indipendentemente dai loro tratti somatici e dalla loro origine etnica. I teorizzatori del razzismo tardo medievale, come quelli a cui si appoggiò la legislazione discriminatoria contro Musulmani, Ebrei, Moriscos (Musulmani convertiti coattivamente al Cattolicesimo) e Marranos (Ebrei convertiti coattivamente al Cattolicesimo) dei sovrani ibero cattolici nei secoli XVI e XVII, erano quasi esclusivamente prelati che fondavano le loro false teorie sulla strumentalizzazione di passi biblici, eppure ci sono elementi che ci fanno sospettare una malafede in almeno alcuni di loro; è il caso di un Arcivescovo di Toledo e Inquisitore di quella città che scrisse il libro Haebraeomastix, dove sosteneva la necessità di non credere alla conversione degli Ebrei, che restavano “razzialmente tali”) e condannarli tutti a morte: ebbene egli non era altro che l’ex-Grande Rabbino della città, convertitosi ad un Cattolicesimo in cui aveva fatto rapida e folgorante carriera e se si fosse coerentemente applicata la sua teoria il primo ad essere ucciso sarebbe stato lui.

Non meno ipocrita fu il comportamento di tanti gerarchi nazisti i quali, con la sola eccezione di Heydrich, non corrispondevano affatto, da Hitler a Goebbels, da Goering a Speer, ai canoni somatici ed antropometrici che essi stessi avevano reso regola per stabilire chi fosse “vero ariano” e che si trovarono più volte di fronte all’impossibilità manifesta di “classificare” razzialmente determinate popolazioni, fossero i due diversi gruppi di presunti Ebrei della Crimea (che infatti vennero classificati infine uno come “ebreo” e l’altro no…) o i diversi gruppi di Rom presenti nel Reich; non a caso Goering dichiarò: “Sono io a stabilire chi è ebreo e chi no!”. Lo stesso si può dire di altri elementi che vennero utilizzati nella costruzione della falsa identità “ariana” da parte dei nazisti; basti pensare alla teoria che la Terra sarebbe un pianeta cavo, all’interno del quale ci sarebbe un mondo con montagne, fiumi, un cielo, un sole, abitata da una super-razza, spazio con cui si può entrare in contatto attraverso specifiche “porte segrete” in luoghi inaccessibili.

Tralasciando l’esistenza di questa bislacca teoria, dimostrata falsa da tutta la scienza moderna, in epoca pre-scientifica e i romanzetti di Teed, Gardner ed altri dei primi anni del XX secolo, che hanno dato spunti anche a tanti ufologi moderni (che attribuiscono a quella cavità interna l’origine degli UFO) e ad innumerevoli opere di fanrascienza, i nazisti fecero riferimento all’incrocio fra le teorie di alcuni autori sulla “Terra cava” con le mitologie arianiste, spesso deformazione di miti induisti e testi sanscriti, ipotizzando che appunto dentro la “Terra cava” si sarebbe trovato Agartha, il regno dei Superuomini ariani originari, raggiungibile da caverne nel Tibet e nell’Antartide; in particolare utilizzarono gli scritti del 1873 dell’Inglese Edward Bulwer-Lytton (1803-1873), uno scrittore che coniò fra l’altro espressioni assai usate come “era una notte buia e tempestosa…”. Questi ipotizzò, appunto, che la “Terra cava” fosse il luogo di residenza segreta dei Superuomini sopravvissuti a cataclismi terribili che li avevano spazzati via dalla superficie e questi Superuomini erano, appunto, per Himmler e i gerarchi nazisti, soprattutto quelli delle SS, il residuo della razza degli ariani primigeni.

Tutto ciò potrebbe sembrare un coacervo di falsità su cui sorridere, se invece i nazisti non avessero largamente impiegato queste false teorie sia nelle scuole e nelle accademie tedesche, sia come spunto per ricerche di uno specifico istituto creato appositamente dalle SS (l’Ahnenerbe, lautamente finanziato dallo stato hitleriano), sia come base dell’indottrinamento dei principali operatori del genocidio, le SS ed i collaborazionisti al loro servizio.

E’ interessante notare, a questo proposito, che quando si fonda una teoria (ed una pratica) non su elementi discutibili ma su elementi palesemente falsi, come il concetto stesso di “razze umane”, si slitta continuamente nel ricorso di altri elementi non meno falsi a corollario di quella teoria; così è, appunto, per restare all’esempio nazista, per la bufala della “Terra Cava”, per la credenza in una origine nordica di tutte le civiltà umane, per l’attribuzione falsa dei cadaveri di età antica trovati nelle torbiere tedesche ad “omosessuali sacrificati dalla comunità” (per dare una base “ancestrale” allo sterminio omofobo che Himmler effettivamente fece praticare); altrettanto interessante è che la catena di mistificazioni basate sulle falsità che hanno implicazioni identitarie rappresentano un metodo che fa scuola in tutti gli epigoni dei “maestri originari”. Ad esempio, se Himmler ed i nazisti inventarono un “carattere goto” della Crimea e del sud-est dell’Ucraina per giustificarne la prevista annessione al reich hitleriano (Gotenland), i loro epigoni ucraini neonazisti attuali hanno la spudoratezza di sostenere che il re di Polonia Stanislaw Boguslaw Leszczynski (1677-1766) fosse ucraino e che ucraina è l’origine della città polacca di Krakow ma addirittura alcuni storici ucraini attualmente attribuiscono origini ucraine anche ai Faraoni egizi; nello stesso tempo, gli eredi dei filonazisti e razzisti ustascia croati della Seconda Guerra Mondiale sostengono (con tanto di museo) oggi che Marco Polo era croato, solo perché nato in seno ad una famiglia di mercanti veneziani in una delle loro proprietà a Pola, e “croatizzano” in musei e testi scolastici i cognomi veneziani ed italiani di pittori, intellettuali, uomini illustri, cosicché il letterato risorgimentale italiano Pier Alessandro Paravia diventa Alesandra Paravije, mentre il conte Borelli, patriota bolognese, mantiene il suo cognome ma diventa “patriota croato”.

Quando si comincia con l’usare il concetto totalmente falso di “razza”, oltre tutto, si entra in una pseudologica che finisce per stimolare la produzione o l’uso di altri concetti non semplicemente discutibili ma altrettanto falsi, a cascata. Ecco così che Mussolini teorizza l’esistenza della “razza italica”, cosa che fa ridere perfino i razzisti tedeschi e viene ad esempio smentita da un Julius Evola che sostiene una concezione della “razza” non biologica ma fondata sull’elitarismo; ecco che decenni dopo il leghista trevigiano Gentilini arriva a inventare la “razza Piave”, una versione razzista localistica, secondo uno schema trasferito all’ambito umano direttamente da quello cinofilo o da quello dei marchi DOPGC del radicchio. Quel che può stupire è che simili bestialità non appaiano tali a tutti gli ascoltatori e non provochino invece di un seguito verso chi le sostiene, il ripudio, la derisione, l’additamento al ridicolo; al contrario, i Gentilini riescono a vincere elezioni, i Mussolini riescono a costruirsi una vasta egemonia anche in ambito intellettuale e non solo per il pur ovvio opportunismo, gli Himmler perfino prima della presa del potere sono coccolati da ambienti alto borghesi ed accademici che non ci si sognerebbe mai di veder aderire a bufale da birreria. Il problema reale (lo vedremo nel corso degli ulteriori articoli) è che sub-culture grondanti palesi menzogne sono assai più diffuse di quanto si creda, non solo negli ambienti meno acculturati e rappresentino spesso spiegazioni più “convincenti” ed “attraenti” delle teorie basate su verità scientifiche. Un esempio è proprio quello relativo al concetto di “razze umane”, perché le differenze somatiche e nella pigmentazione sembrano confermare a prima vista la loro esistenza ed è assai complesso spiegare che in effetti da un lato la differenza di pigmentazione non costituisce base “razziale” più di quanto non lo possano fare il colore dei capelli e degli occhi e che tutti assieme quei caratteri non cancellano che c’è maggiore differenziazione DENTRO una pseudo-“razza” che FRA individui che si vogliono appartenenti a pseudo-“razze” diverse. Difficoltà che non vale solo in questo caso, ma anche, ad esempio, circa il fatto che non sia il Sole a girare attorno alla Terra, come apparentemente ci viene confermato dall’osservazione diretta quotidiana.

 

I libri di Silvio Marconi

 

Uno studio che, lungi dall’avere un obiettivo “enciclopedico” o di minuziosa analisi storica, vuole evidenziare quelle connessioni e correlazioni – tradizionalmente taciute e rimosse – tra i fenomeni ed i processi che portarono alla crisi ed al crollo dell’Impero Romano d’Occidente e quelli operanti in un’Asia la cui complessa storia viene, tuttora, sottovalutata.
Quando una farfalla batte le ali in Cina si sofferma sul ruolo che, nella crisi e nel crollo dell’Impero Romano d’Occidente, ebbero tanto la Persia quanto, indirettamente, la Cina, dimostrando come il pregiudizio etnocentrico che ancora permea la formazione, la divulgazione e la costruzione dell’immaginario occidentale sia un pernicioso ostacolo a una comprensione di ben più ampio respiro e alla lezione metodologica che ne se ne può trarre.
In questa prospettiva, il riconoscimento di una molteplicità di poli e fattori transculturali è la precondizione per affrontare qualsiasi problematica: storica, politica, economica o strategica.
Una precondizione troppo spesso, volutamente, ignorata da una cultura occidentale che, a differenza di quelle orientali, ha rifiutato la logica olistica privilegiando un approccio molto settoriale.

 

Silvio Marconi – ingegnere, antropologo, operatore di Cooperazione allo sviluppo, Educazione allo Sviluppo e Intercultura – fa ricerca, da anni, nell’ambito dell’antropologia storica e dei sincretismi culturali. Ha pubblicato, al riguardo: Congo Lucumì (EuRoma, Roma, 1996), Parole e versi tra zagare e rais (ArciSicilia, Palermo, 1997), Il Giardino Paradiso (I Versanti, Roma, 2000), Banditi e banditori (Manni, Lecce, 2000), Fichi e frutti del sicomoro (Edizioni Croce, Roma, 2001), Reti Mediterranee (Gamberetti, Roma, 2002), Dietro la tammurriata nera (Aramiré, Lecce, 2003), Il nemico che non c’è (Dell’Albero/COME, Milano, 2006), Francesco sufi (Edizioni Croce, Roma, 2008), Donbass. I neri fili della memoria rimossa (Edizioni Croce, Roma, 2016).

Prezzo di copertina: 18 euro Prezzo effettivo: 15.5 euro