Comunitarismo e Oriente (2)

A cura di Silvio Marconi, autore di Quando una farfalla batte le ali in Cina
Il rapporto fra correnti razziste e ultrareazionarie, quando non pienamente fasciste o naziste, del pensiero e dell’azione occidentale e mondo orientale è multiforme ed articolato, nonché in parte contraddittorio. Il pensiero razzista, infatti, come si è detto in precedenti articoli, fra le sue numerose falsificazioni opera quella di collocare le genti asiatiche in una “razza” inventata e considerata inferiore a quella “bianca” e nella maggioranza dei casi mescola a questo una russofobia ereditata dal cattolicesimo germanista medievale, assimilando alla “barbarie asiatica” anche la Russia e/o i popoli slavi nel loro insieme. Al tempo stesso, elementi e simboli di derivazione asiatica vengono estrapolati dal contesto da parte di quel pensiero e strumentalmente assunti come realtà “ariane”, si tratti della svastica indiana o della presunta radice della casta lamaista tibetana, mentre in alcune correnti del pensiero razzista occidentale si recuperano arcaicismi ruralisti di ambito slavo, sulla base degli studi ottocenteschi di Von Haxthausen, reinterpretandoli però come figli di realtà protogermaniche civilizzatrici delle pianure fra l’Oder e il Volga e si esaltano le vicende (spesso leggendarizzate) e il codice dei samurai giapponesi come esempio di una “corretta” tradizione di una casta guerriera dominante che corrisponde all’ideale che va miticamente dai Cavalieri Teutonici alle SS di Himmler. E’ evidente come in una galassia così ampia, in parte contraddittoria, ma al fondo sempre permeata dalla falsificazione storica e scientifica e dal suprematismo criminale, possano trovare spazio schegge che servono da riferimento esplicito o implicito a tante teorie e pratiche comunitariste, ecologiste, tradizionaliste, mistiche post-Seconda Guerra Mondiale, spesso intrecciate con fermenti provenienti da correnti anarchicheggianti o di sinistre estreme.
Si tratta di pratiche innocenti come l’esaltazione dell’elioterapia e del nudismo, del vegetarianesimo e del veganismo, dell’animalismo radicale e dell’antroposofia che evidentemente non hanno rapporto causa effettuale con il razzismo ed il nazifascismo ma che furono tutti elementi che fecero parte organica in modo rilevante anche delle concezioni razziste e poi naziste che portarono infatti a veri e propri programmi statali di loro promozione nell’ambito dell’idea di (ri)costruzione della “pura razza ariana dominatrice”. Si tratta di concezioni e pratiche meno innocenti, come quelle relative alla contrapposizione fra la “superiorità” del lamaismo rispetto alla “inferiorità” della realtà cinese, che si ritrova anche, spesso inconsapevolmente, in tanta parte dei seguaci dei movimenti anticinesi e per il Free Tibet attuali, quelle attinenti il rifiuto della medicina, della scienza e della razionalità post-illuministe a cui viene contrapposto come panacea il ricorso alle sole pratiche ayurvediche, meditative, mistiche di matrice vedica (cioè “ariana” secondo i deliri razzisti che ne negano la matrice asiatica), quelle relative ad una esaltazione del rapporto fra “sangue, suolo e identità” care ai romantici tedeschi ottocenteschi, a taluni populisti russi ma anche e soprattutto ai nazisti. Si tratta, infine, di concezioni niente affatto innocenti, come l’arianismo, il suprematismo bianco, l’antisemitismo, la slavofobia, che si nutrono anche a livello simbolico di elementi ruralisti, comunitaristi, ecologisti, tradizionalisti, folkloristi rivisitati, distorti, artefatti ma che contaminano spesso sia organizzazioni ecologiste (è successo in passato anche con i Grunen tedeschi, non a caso…), sia comunità autogestionarie, sia movimenti politici che si proclamano seguaci della democrazia diretta, sia organizzazioni animaliste o escursionistiche, sia a realtà della galassia bio e che in più consentono ad organizzazioni esplicitamente nazifasciste di dare vita, come avvenuto in Italia e non solo, a costellazioni di associazioni collaterali che si occupano di alpinismo, veganismo, ambientalismo, difesa identitaria, cibo, sanità, ecc… Non casualmente, quasi tutte queste commistioni hanno l’Oriente fra gli elementi costitutivi, sia pure, ripeto, in forme ascientifiche, astoriche, distorte ma che non per questo sono del tutto aliene dalla ricerca storiografica, archeologica, etnografica, antropologica, filologica di alto livello; basti pensare al fatto che un grande studioso di religioni, antropologo ed orientalista quale il rumeno Mircea Eliade ebbe simpatie per le antisemite e filofasciste “Guardie di Ferro”, fu ambasciatore del regime fascista di Antonescu dal 1940 al 1945 e scrisse testi di esaltazione del regime portoghese di Salazar e che d’altra parte lo “scopritore” dei rapporti fra la cultura islamica e Dante fu in Italia uno dei più insigni islamisti del nostro Paese, ossia quel Cerulli che fu però anche consulente del genocidio perpetrato da Graziani in Etiopia e quindi criminale di guerra, che come tanti altri nulla pagò alla fine del Secondo Conflitto Mondiale, mentre il più grande studioso italiano del Tibet, Tucci (a cui è intitolato il Museo Nazionale di Arte Orientale di Roma) fece parte di una “Commissione di studio sui problemi della razza” istituita dall’Accademia d’Italia e fu esaltatore del Giappone militarista e alleato di Hitler e Mussolini, al punto che fu sottoposto ad epurazione fra il 1944 e il 1947, riassunse nel 1947 la direzione dell’Istituto Medio e Estremo Oriente (ISMEO), ma il Museo venne a lui intitolato solo nel 2005, 21 anni dopo la sua morte, proprio per le sue posizioni razziste, sottolineate anche dalla Comunità Ebraica romana che criticò per questo la intitolazione a lui di una strada della Capitale nel 2010.
Uno dei personaggi-chiave di questa commistione, le cui influenze si riverberano anche nell’oggi, è stato Giulio Cesare Andrea Evola (1898-1974), conosciuto con il nome con cui amava farsi chiamare, Julius; non è qui il caso di approfondire le sue concezioni tradizionaliste-aristocratiche, ma alcuni elementi vanno messi in luce in rapporto al tema che si sta affrontando. Evola non fu un fascista a 360° anche se svolse incarichi per il regime e tenne corsi di mistica fascista; i suoi punti di riferimento fin dagli anni ’20 sono Nietzsche e Gentile ma già nel 1926 pubblica L’uomo come potenza, in cui mostra il suo interesse per il Taoismo e soprattutto per il Tantrismo, che utilizza come basi per il suo pensiero individualistico ed elitista, che intreccia con le sue frequentazioni di circoli esoterici, che saranno importanti nella sua successiva elaborazione. Essa sfocia nel suo coordinamento del cosiddetto “Gruppo di Ur” esoterico (che ebbe fra i suoi adepti per corrispondenza Mircea Eliade), sciolto nel 1929 a seguito delle rimostranze vaticane post-Patti Lateranensi, ma la cui rivista pubblicò numerosi testi antichi mesopotamici ed altri testi orientali. Intanto, nel 1928 aveva pubblicato Imperialismo pagano, testo in cui auspica che il fascismo si alimenti del paganesimo romano e rigetti il Cristianesimo e se questo, dopo i patti Lateranensi del ’29, lo porta a collocarsi in posizione eterodossa rispetto alla linea ufficiale di Mussolini, gli dà invece uno spazio rilevante nella Germania post-1933, anno in cui in coincidenza con l’avvento del nazismo viene pubblicata la traduzione in tedesco del suo libro, che avrà grande influenza sugli ambienti del nuovo Reich hitleriano. E’ degli stessi anni ’30 la pratica alpinistica/ascetica di Evola che farà da riferimento concreto ma soprattutto simbolico a tante associazioni alpinistiche esplicitamente o nascostamente collaterali a movimenti neonazisti e neofascisti del secondo dopoguerra, tanto più che un anno prima della sua morte Evola pubblica nel 1973 una rielaborazione di quelle esperienze in Meditazioni delle vette, dove stabilisce un rapporto fra “ascesa” ed “ascesi” per la costruzione del suo “Uomo Nuovo”.
E’ però il suo testo del 1934, Rivolta contro il mondo moderno, che rappresenta il pilastro essenziale dell’evolismo coevo e successivo, perché in esso la condanna del presunto degrado umano da un’età di semidei a quella del dominio della “plebe proletaria” è collegata alla concezione delle “quattro età” della tradizione induista che, in piena sintonia con l’arianismo nazista, viene considerata la base del pensiero superiore e non a caso da questa data inizia la collaborazione di Evola alla scuola di mistica fascista con lezioni sul tema della razza, a cui fanno seguito decine di articoli su tale tema su giornali e riviste fasciste, anche con precisi intenti antisemiti ma con la particolarità che Evola non considera gli Ebrei una “razza biologica” ma una “entità spirituale opposta agli Ariani”, il che non impedisce che scriva la prefazione al falso libello (prodotto, ormai si sa, dalla polizia zarista) I Protocolli dei Savi di Sion sulla presunta cospirazione “giudaica” per dominare il Mondo, né gli impedisce (pur criticando la “rozzezza” del teorico nazista del razzismo Rosenberg) di esprimere ammirazione per le SS e le loro concezioni. Per non sbagliarsi confondendo le sue critiche al “razzismo biologico rozzo” di un Rosenberg con un vero antirazzismo (o semplicemente a-razzismo), basti ricordare il suo Il Mito del Sangue, pubblicato nel 1937 e ancora nel 1942 dove appoggia il suo pensiero ai teorici del razzismo moderno, da Gobineau a Chamberlain e il suo razzismo si ripresenta come nucleo essenziale del suo pensiero quando sviluppa quella teoria della necessità di una Europa guidata dalla Germania hitleriana come “terza via” fra capitalismo statunitense e bolscevismo sovietico, un’idea cara a tanti movimenti neofascisti a partire dagli anni ’70 del XX secolo, fra cui spicca quel “Terza Posizione” creato nel 1978 da Adinolfi e da quel Fiore che oggi guida “Forza Nuova”, sulla base di una organizzazione detta “Lotta Studentesca” (oggi denominazione, non a caso, dell’organizzazione studentesca di “Forza Nuova”…). Significativamente, “Terza Posizione” usa come simbolo il wolfsangel, che fu quello della Divisione corazzata SS “Das Reich”, che oltre ad innumerevoli crimini sul fronte orientale, durante la Seconda Guerra Mondiale fu responsabile del più grande massacro realizzato in terra di Francia, quello di Oradour, dove vennero trucidati 642 civili, simbolo oggi è usato fra gli altri da gruppi suprematisti bianchi e dal reparto neonazista ucraino “Azov” .
Ma Evola, mentre approfondisce le teorie razziste e cerca di “elevarle” a un livello “spirituale”, rilancia il rapporto con le culture orientali e specificamente col Buddhismo, col suo La dottrina del risveglio, del 1943, un libro che serve a molti soggetti diversi nel dopoguerra per ispirarsi all’“Evola spiritualista-orientalista” inventandosi la possibilità di separarlo dall’Evola filonazista e razzista. Evola vorrebbe nel 1941 partire volontario per la Campagna di Russia dato che non ha più l’età per essere arruolato, ma non essendo iscritto al partito fascista viene respinto, eppure questa sua volontà mostra quale fosse il suo atteggiamento al momento, che viene dimenticato facilmente da chi oggi si maschera da suo ammiratore e contemporaneamente da russofilo; un atteggiamento che preferisce il nazismo al fascismo (da qui e non da antifascismo il suo rifiuto di iscrizione al partito fascista) in quanto migliore interprete dello spirito precristiano, come afferma nel suo Per un allineamento politico-culturale dell’Italia e della Germania del 1942. E’ nel 1949, scampato alla fine del conflitto, che un “nuovo” Evola comincia ad influire su un ampio spettro di soggetti in Italia: da quell’anno collabora con la rivista La Sfida, che ha fra i suoi fondatori Pino Rauti, mentre nel 1951 viene processato (e assolto) come ispiratore dei “Fasci di Azione Rivoluzionaria” e questo processo (in cui la difesa è affidata a Carnelutti, uno dei coautori del Codice Civile del 1942 ed a Pisenti, ex ministro della RSI) rende Evola popolarissimo tra le nuove leve del neofascismo italiano che avviano una riedizione a pioggia delle sue opere la cui influenza andrà ben al di là dell’ambiente nostalgico perché, proprio a partire dalle teorie elitiste, esoteriche ed orientalistiche di Evola, si costruisce un doppio livello di interpretazione delle sue opere: uno letterale per la gente comune ed uno “interiore” per una èlite di iniziati, nuclei germinali della “nuova aristocrazia”, della “nuova razza spirituale” cara tanto ad Evola quanto alle SS. Intanto, Evola continua a scrivere e pubblicare: nel 1953 esce Gli uomini e le rovine, ove si scaglia contro il razionalismo, nemico del “principio di autorità” (che corrisponde al fuhrerprinzip nazista) che è per Evola la garanzia della tradizione spirituale e dell’elevazione dell’aristocrazia umana, mentre in La metafisica del sesso (1958) egli utilizza elementi importanti del Tantrismo per esaltare il ruolo spirituale della sessualità, un tema che paradossalmente verrà ripreso, astraendolo dal contesto del pensiero evoliano, da molti post-sessantottini e movimentisti del 1977 di ogni appartenenza ideologica, tanti dei quali si ritrovano nelle esperienze comunitariste di quegli anni e successivi. Altro testo che avrà un riflesso ben al di là degli ambiti della destra neofascista ed arriverà a contaminare perfino ambienti del Movimento del ’68 che si autodefiniscono “di estrema sinistra” è Cavalcare la tigre, del 1961, in cui Evola continua la sua critica passatista alla modernità ma soprattutto indica una via di “resistenza spirituale” sulla base dell’organizzazione di comunità capaci di isolarsi il più possibile da tale modernità per prefigurare l’“Uomo Nuovo” (superiore) che costruisce un futuro ancorato alla natura ed al passato antimaterialista, antidemocratico, anti-illuminista e, naturalmente, anti-bolscevico ed anti-ebraico. Né la sua influenza termina con la sua morte nel 1974, sia sugli ambienti esplicitamente o meno neofascisti, anche attraverso la Fondazione da lui creata poco prima di spirare, sia su ambienti “neutrali” o perfino apparentemente opposti; negli anni ’70-’80 si sviluppano due fenomeni a cui non saranno estranee alcune esperienze comunitaristiche. Da un lato soggetti come “Organizzazione Lotta di Popolo” (che si schiera con i vietcong e con i Palestinesi, al punto da assumere l’acronimo OLP) dal 1968 e la stessa “Terza Posizione” successivamente, sviluppano fra le altre teorie quello che viene chiamato “nazimaoismo”, pur criticato (dopo un’analisi del “Libretto Rosso” di Mao) proprio da Evola ed in parte dall’ideologo Freda (implicato nei processi relativi alla fase dello stragismo neofascista) che però nel 1969 ad un Convegno Internazionale a Ratisbona sostiene la nascita di uno “Stato Popolare” non dissimile dal modello maoista e arriva ad affermare: “il popolo guerriero del Nord-Vietnam, col suo stile sobrio, spartano, eroico di vita, è molto più affine alla nostra figura dell’esistenza del budello italiota o franzoso o tedesco-occidentale”.
Dall’altro lato, numerosi soggetti si ispirano ad un miscuglio fra Guénon, Evola, Castaneda, Schuon (autore svizzero tedesco, guenoniano, di La Tradizione dei Pellirosse) e quel Neihardt, autore di Alce Nero parla (non a caso pubblicato in traduzione italiana nel fatidico 1968), di cui si è ormai dimostrata l’operazione mistificante relativa ad una presunta memoria del capo “indiano” Alce Nero in realtà fabbricata a tavolino. Tale miscuglio influenza ambienti della sinistra extraparlamentare, giovani neofascisti, settori dell’antimperialismo di sinistra, “indiani metropolitani” del 1977, antiUSA di ogni segno, indigenisti anche di buon livello, settori dell’ARCI e della galassia nera, artisti alternativi e seguaci del peyotismo, che hanno ben poco in comune se non un generico anticapitalismo e il riferimento mitico e artificioso ad un “mondo pellerossa” più costruito a tavolino che reale, esattamente (e spesso congiuntamente) con quanto avviene verso il “mondo induista” o a quello “tibetano”, tutti identificati sulla scia più o meno nascosta dell’evolismo reale o deformato, come alternative al capitalismo industrialista, consumista, scientista, antiambientalista ma anche al comunismo burocratico, al capitalismo di stato, all’operaismo, al progressismo.
L’influenza di quel miscuglio su taluni ambienti afferenti a movimenti studenteschi, ecovillaggi, gruppi artistici e musicali, cooperative, gruppi di squatters, comunità autogestionarie, centri sociali, non prescinde mai, se ne sia coscienti o meno, sia pure in misura diversificata, da elementi evoliani relativi al rapporto che intercorre fra anticapitalismo, legame con terra e tradizione, élitarismo esoterico, costruzione di una “razza” spiritualmente superiore, principio di autorità, e si può pertanto dire che l’orientalismo ed il nativismo, pur non potendo certo identificarsi con l’evolismo, sono ancora oggi due veicoli essenziali per il permanere, esplicito e soprattutto occulto, di una influenza dell’evolismo che non ha paragone con alcun altra sorgente del pensiero razzista e reazionario italiano di ogni tempo, poiché Evola è stato il modello di tutti i tentativi successivi di fondere quella che alcuni autori hanno chiamato “iconoclastia rivoluzionaria” (che si trova nel dannunzianesimo fiumano come nell’esperienza sessantottina, nelle SA di Rohm come nel servizio d’ordine del Movimento Studentesco milanese, nelle Guardie Rosse cinesi come negli estremisti indù attuali, ecc.) con l’affermazione della “Tradizione” con la T maiuscola, che non è la tradizione di etnografica memoria, ma una tradizione la cui pretesa spiritualità è appunto imbevuta di élitismo, esoterismo, spiritualismo, iniziatismo e razzismo. Come questo si traduca in marmellate e in aeromotori, in escursioni nei boschi ed in danze neotribali, in donazioni di risorse alle comunità ed in veganismo, in catene commerciali del bio ed in convegni sulle tribù degli Indiani delle pianure, in meditazioni trascendentali ed in editoria, in bed and breakfast ed in ascesi, in mandala ed in militanza anti-Pechino, in squadrismo neofascista ed in pacifismo altermondialista è certo discorso troppo complesso per affrontarlo esaustivamente, ma il rimuoverlo rappresenta un grave pericolo.
I libri di Silvio Marconi
Uno studio che, lungi dall’avere un obiettivo “enciclopedico” o di minuziosa analisi storica, vuole evidenziare quelle connessioni e correlazioni – tradizionalmente taciute e rimosse – tra i fenomeni ed i processi che portarono alla crisi ed al crollo dell’Impero Romano d’Occidente e quelli operanti in un’Asia la cui complessa storia viene, tuttora, sottovalutata.
Quando una farfalla batte le ali in Cina si sofferma sul ruolo che, nella crisi e nel crollo dell’Impero Romano d’Occidente, ebbero tanto la Persia quanto, indirettamente, la Cina, dimostrando come il pregiudizio etnocentrico che ancora permea la formazione, la divulgazione e la costruzione dell’immaginario occidentale sia un pernicioso ostacolo a una comprensione di ben più ampio respiro e alla lezione metodologica che ne se ne può trarre.
In questa prospettiva, il riconoscimento di una molteplicità di poli e fattori transculturali è la precondizione per affrontare qualsiasi problematica: storica, politica, economica o strategica.
Una precondizione troppo spesso, volutamente, ignorata da una cultura occidentale che, a differenza di quelle orientali, ha rifiutato la logica olistica privilegiando un approccio molto settoriale.
Silvio Marconi – ingegnere, antropologo, operatore di Cooperazione allo sviluppo, Educazione allo Sviluppo e Intercultura – fa ricerca, da anni, nell’ambito dell’antropologia storica e dei sincretismi culturali. Ha pubblicato, al riguardo: Congo Lucumì (EuRoma, Roma, 1996), Parole e versi tra zagare e rais (ArciSicilia, Palermo, 1997), Il Giardino Paradiso (I Versanti, Roma, 2000), Banditi e banditori (Manni, Lecce, 2000), Fichi e frutti del sicomoro (Edizioni Croce, Roma, 2001), Reti Mediterranee (Gamberetti, Roma, 2002), Dietro la tammurriata nera (Aramiré, Lecce, 2003), Il nemico che non c’è (Dell’Albero/COME, Milano, 2006), Francesco sufi (Edizioni Croce, Roma, 2008), Donbass. I neri fili della memoria rimossa (Edizioni Croce, Roma, 2016).
Prezzo di copertina: 18 euro Prezzo effettivo: 15.5 euro